IL BORN OUT E IL TIRO ALLA FUNE


 Questo libello tratta specificatamente del mio lavoro, che è quello dell'educatore. E' volutamente ironico ma ovviamente è maggiormente usufruibile dagli addetti ai lavori, ovvero soprattutto ai colleghi. Non me ne voglia chi, lette le prime righe pensa "ma questo che cavolo dice", ha ragione!



LE CAUSE GLI EFFETTI COME COMBATTERE IL B.O. CONCLUSIONI


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IL BORN OUT

         La prima cosa che ci viene in mente pensando agli educatori ed al Born Out (B.O.), è se esso è connaturato alla professione, ovvero se prima o poi tutti ci caschiamo, o se invece è un fatto estrinseco al ruolo: può capitare o meno, a seconda delle vicissitudini lavorative e di quelle professionale e/o personali, del fato o del culo posseduto.
Elaborare un manuale di sopravvivenza per l’educatore, cioè trovare un modo di evitare il B.O. risulta quindi complesso e disagevole se non sono ben chiari i presupposti teorici.
In un ambito di analisi sociologica che abbia un minimo di scientificità, possiamo basarci e rifarci a quattro domande tipo. Dopo di che proveremo a dare delle risposte.

1. Perché una persona, mediamente intelligente e con un minimo di cultura (almeno il diploma di Scuola Superiore), decide:

                  a) di fare la scuola per educatori

                  b) di lavorare come educatore

2. La suddetta persona “è” un educatore o “fa” l’educatore?

Il dilemma, anche se di primo acchito può sembrare fazioso, in realtà è un presupposto della massima importanza. Questo tema cercheremo di svilupparlo meglio in seguito.

3. Perché nonostante le spalate di materiale organico e di deiezioni varie che ci arrivano addosso continuiamo a fare gli educatori?

Perché non apriamo un negozio di souvenir thailandesi,  oppure una birreria o non prendiamo in mano lo studio da avvocato di papà?

4. Educare: chi, come, perché. E perchè mai?

Da una approfondita indagine effettuata su di un numero imprecisato di colleghi, risulta che l’educatore lo si fa:

•     Per fame;

•     Per missione;

•     Perché non si sa che altro cazzo fare;

Proveremo qui di seguito a definire le varie tipologie di educatori:

Gli affamati


         Coloro i quali lo fanno per fame hanno un minimo di giustificazione. E’ l’unico lavoro che hanno trovato e ne sono rimasti invischiati. Resta da capire il perché continuano a farlo anche se nel corso della loro vita hanno avuto altre possibilità: il babbo è andato in pensione ed ha lasciato il negozio di frutta e verdura a disposizione, lo zio si è offerto di assumerli come autisti, la mamma ha bisogno di un aiuto nel negozio di estetista. Però loro se ne fottono.
Continueranno a fare gli educatori anche se verbalmente diranno sempre che non vedono l’ora di cambiare lavoro.

I missionari


         Ci sono poi coloro che lo fanno per missione. Sia l’origine di tipo religiosa, ideologica o politica a noi poco ne cala.
Resta il fatto che è una scelta voluta! Non imposta dal bisogno né dall’ansia di allocazione.
Pur non essendo la maggioranza risultano essere i più pericolosi. Per il B.O. degli altri!
Sono talmente attivi e vivono il loro lavoro come obiettivo unico della loro vita che sono in grado di farsi portavoce di tutta la categoria, anche se questa mai nulla chiese loro.
Riteniamo che come sottospecie, siano gli unici alieni al B.O., nel senso che anche se ci cascano, hanno talmente tanta forza interiore e fede da non rendersene nemmeno conto.E qualcuno ci dimostri il contrario.
Ci dispiace per i loro colleghi!

 I cazzeggianti


         La maggioranza degli educatori però rientra in quella sottospecie di individui che raggiunta una certa età, crisi dell’occupazione permettendo, non sapevano che cazzo fare nella loro vita.
Nella norma costoro hanno già avuto altre esperienze lavorative in altri campi e generi; una qualche militanza politica e/o confessionale. Un rifiuto più emotivo che razionale per l’arrivismo e la competizione, una sorta di viscerale, mal espresso, inconscio senso della giustizia.
Si sono trovati a sperimentare, nonostante i consigli contrari genitoriali e parentali fino al quarto grado, il lavoro di educatore e li sono rimasti, trovando forse in esso un modo di esistere e di provare a giustificare la propria presenza al mondo. Molti arrivano dai Boy Scouts, altri dall’estrema sinistra, alcuni da ambedue (ci sono le eccezioni, ma questi ultimi tendono ad utilizzare le camere a gas).
La New Age attualmente in voga e qualche nano pelato vagante in parlamento stanno spostando il mercato, ma a noi non interessa. Stiamo parlando di professionisti seri, con anni di esperienza sulle spalle; non di ragazzotti tronfi con tutte le risposte in tasca o di mistici vaneggianti (buoni quelli).
Tornando quindi a bomba, se  oltre a decidere di fare l’educatore, un ragazzo nel fiore dell’età, per la quale il maggior interesse dovrebbe essere rispetto all’altro sesso ed alle piacevolezze che il casuale connubio potrebbe fornire, decide di fare la scuola per educatori, le soluzioni sono poche:

•     avrebbe dovuto essere meglio educato;

•     non sa che cazzo sta facendo;

•     pensa di essere Dio;

Passiamo quindi al secondo quesito:

“siamo” educatori o “facciamo” gli educatori?

    Come già espresso in precedenza la domanda non è oziosa. Chi pensa di “essere” un educatore farebbe meglio a terminare qui la lettura. Mai vorremmo incrinare le sue certezze ultraterrene, la sua non riconosciuta (almeno da noi), superiorità.
Noi, semplici mortali, “facciamo” gli educatori e ogni tanto sbagliamo anche qualche volta più, qualche volta meno ma tant’è.
Agli “dei” dell’educazione, ai loro accoliti, ai discepoli, ai loro referenti, lasciamo la gloria e l’imperitura memoria.
Preferiamo rimanere umani!
C’è da dire che gli educatori con la “E” maiuscola, ovvero coloro i quali “sono educatori” se ne fottono allegramente di quello che i loro sottoposti morali possono pensare. Quindi possiamo procedere, lasciando loro con estremo gaudio le filippiche sul “verbo” educativo.
Riteniamo, più prosaicamente che ogni educatore è una persona, ed in quanto tale portatrice di proprie idee, emozioni, pensieri.
Facciamo gli educatori per fato, per scelta, perché la brunetta che tanto ci piaceva ci ha proposto di lavorare con lei nell’assistenza (ma poi non c’è stata), perché la mamma era contenta che ci occupassimo degli altri (papà avrebbe preferito che ci occupassimo dei soldi).  Comunque sia, qua (it et nunc), partiamo dal presupposto che facciamo gli educatori. Non lo siamo. Al massimo qualcuno potrebbe rivendicare di avere un diploma che lo definisce tale. A costoro ribadiamo che il pezzo di carta in quanto oggetto, definisce una sorta di autorizzazione a espletare (cioè fare), una certa professione; a svolgere un ruolo. Non c’è scritto che uno “è” un educatore, ma solo che è abilitato a farlo.

Arriviamo quindi al punto dolente.

Perché si continua a fare gli educatori?
Perché dopo anni e anni di prese in giro, di merda da ingoiare, di utenza non rispondente, di superiori incapaci, di politiche sociali fallimentari e chi più ne ha più ne metta, continuiamo a fare gli educatori?
E’ un quesito da non trascurare. In primo luogo perché il B.O. sul quale in questa sede stiamo ragionando, è relativo ad un ruolo lavorativo specifico. Basterebbe (forse), cambiare ruolo per risolvere il problema. Ma se il problema rimane e il ruolo non si può o non si vuole cambiarlo... bhe ...qui gatta ci cova.
Infatti, guarda caso, la maggior parte degli intervistati nel corso della nostra inchiesta ha candidamente ammesso che se dovesse decidere di cambiare mestiere, non saprebbe cosa altro fare.
Questo vuol dire che l’educatore è difficilmente riciclabile. Oramai non sa fare nient’altro. E’ talmente preso dal suo ruolo e dalle sue implicanze che non è in grado di trovare un’altra occupazione.
Gli unici lavori che potrebbe essere in grado di fare sono quelli a basso profilo,  generici. Non pesanti ovviamente perché l’età è quella che è e le botte prese durante la carriera hanno ormai minato il fisico.
In sostanza i lavori adatti ad un educatore che vuole cambiare mestiere sono quelli che normalmente vengono destinati ai disabili o alle persone con dei problemi. Strano destino sarebbe: da promotore di integrazione e di ricerca di posti ad hoc a possibile utilizzatore degli stessi.

Non è facile la vita per un educatore.
Questo, ovvero il desiderio di rinnovarsi e di cambiare professionalmente è per quanto concerne il B.O. una delle fasi più pericolose.
Si rischia di cedere, di mollare le braghe e di lasciarsi scorrere addosso la vita e i liquami che essa comporta.
         Avete una quarantina di anni, magari una famiglia da mantenere; vi piacerebbe guadagnare qualcosina in più. La vostra macchina è da rottamare ed i vostri figli rottamano a ritmi insostenibili vestiti, libri, suppellettili e scarpe. Soprattutto le scarpe.
Voi è da quando avevate 14 anni che portate il 43 e vi va ancora bene; loro (i figli), lo portavano a 12 e ora che ne hanno 16 sono già al 46. Praticamente un numero all’anno e tra estive, invernali, classiche, da ginnastica, per i pattini, per gli sci eccetera... vuol dire almeno una decina di paia di scarpe nuove da acquistare all’anno.
In termini di costi, con il nostro attuale stipendio, la visione si fa a dir poco apocalittica. Quindi, nella speranza che la crescita dei figli si arresti quanto prima (e al diavolo se si sentono inferiori, uno psicologo costa meno di un cambio di guardaroba annuale), vi guardate intorno per vedere se c’è un barlume di possibilità di cambiare lavoro.
Una delle ipotesi sarebbe quella di fare carriera nell’ambito della professione stessa, ma sia che lavoriate per il pubblico, sia per il privato, vi accorgerete subito che l’esperienza maturata in tanti anni di onorata professione non vi verrà assolutamente riconosciuta.
Un’altra possibilità sarebbe quella di fare una scalata carrieristica al ruolo di coordinatore ma, calcolatrice alla mano e volti di coordinatori conosciuti ben presenti in mente, fate il classico 2+2. Non vi conviene poi più di tanto. Lo stipendio è più alto, d’accordo, ma la differenza è normalmente irrisoria: quanto un paio di scarpe da ginnastica.
Le responsabilità aumentano mentre il potere decisionale diminuisce. Poi, sfiga non voglia, potreste trovarvi a coordinare i vostri ex colleghi.
Orrore! Questo mai!
Comunque dovreste trovarvi a coordinare degli educatori e conoscendo la categoria vi possiamo assicurare che la cosa non potrà entusiasmarvi più di tanto.
Lasciate quindi questa ipotesi e guardate al mercato del lavoro in generale.
La situazione è a dir poco desolante.
A parte l’aspetto occupazionale di per sé le aziende cercano sempre gente dinamica, motivata, con esperienza, disponibile ad essere schiavizzata e a fare tutto ciò che l’azienda stessa ritiene necessario per il proprio profitto (cioè quello dei padroni).
Ovviamente non è assolutamente credibile che alla vostra età siate ancora così disponibili e vogliosi di spremere le vostre residue energie per il bene dell’azienda e per il profitto del proprietario. Nessun dirigente del personale potrà mai credervi.
         Però almeno, un diploma ce l’avete. Potreste sempre riesumarlo.
Se è umanistico siete fottuti. Senza una laurea non verrete nemmeno presi in considerazione. Se al contrario avete un diploma tecnico, consolatevi, siete fottuti due volte. Ormai persino l’ultimo usciere della più piccola fabbrichetta produttiva ne sa più di voi sulla produzione, sia essa chimica, meccanica o su quant’altro il vostro diploma affermi che avete fatto finta di studiare venti anni fa.

Scartata quindi l’ipotesi industriale non restano che due strade:
mettersi in proprio oppure tentare un concorso pubblico in un altro ambiente di lavoro (cultura, politiche giovanili, istruzione, belle arti), qualcosa insomma, per lo meno, anche lontanamente affine a ciò che avete fatto finora.
Bene. Toglietevi dalla testa quest’ultima ipotesi. Vi siete mai chiesti come mai, soprattutto nell’ambito del servizio pubblico molti coordinatori e responsabili dei servizi arrivano dall’Istruzione o da altri Assessorati?
Perché anche da loro non ci sono possibilità di carriera e quindi emigrano. Potete provarci ma quei pochi posti disponibili andranno sicuramente a qualcuno dell’ambiente. Insomma le vostre possibilità, a meno che non abbiate qualche santo in paradiso, saranno meno di zero.
Vi rimane la possibilità di mettervi in proprio ma considerando che i pochi soldi che avevate li avete usati per pagare l’anticipo dell’alloggio, che il vostro mutuo scade fra 20 anni, che l’università dei vostri figli ridurrà le vostre finanze all’osso, che ci sono le vacanze dell’anno scorso ancora da finire di pagare e che quindi nessuna banca vi farà mai credito, vi dovete ingegnare a reperire un’attività in proprio che non preveda un  grosso investimento iniziale.

Cercando di evitare i lavori illegali tipo scippi, furti e rapine, ed escludendo quelli moralmente discutibili della serie usura, spaccio di droga e prostituzione, se trovate qualcosa che un vecchio educatore possa fare in proprio, fatelo sapere anche a noi. Ve ne saremo eternamente grati.
In altre parole un educatore con una certa esperienza (o vecchiaia), non è più riciclabile sul mercato del lavoro. Questo, a quanto sembra, è uno dei motivi principali  per i quali si continua a fare gli educatori. Risulta quindi ovvio che il blocco delle possibilità di modificare la propria posizione lavorativa sia in termini di carriera sia di cambiamento totale, è una grossa fonte di stress e di conseguenza di rischio di B.O.

Educare chi, come, perché. E perché mai?


Molti educatori giungono alla professione da esperienze nel campo sociale. Altri da esperienze di precariato nello stesso ambito.
Siano queste attività i soggiorni estivi o gli accompagnamenti di disabili, siano lavori di animazione con i ragazzini, collaborazioni con parrocchie o con enti vari, organizzazione di feste per barboni, senza tetto, immigrati o anziani, quasi tutti gli educatori quando cominciano a lavorare sono più o meno convinti di sapere a che cosa vanno incontro.
E il B.O. è già lì, dietro l’angolo che attende allegramente sghignazzando l’esame di realtà di un educatore finalmente entrato nella “produzione industriale”, per ghermirlo e strappargli a unghiate la pelle della schiena.
In generale sono tre i campi principali all’interno dei quali un educatore si trova ad operare: handicap, minori, adulti.
E per favore non andiamo a cercare casi particolari come il minore maghrebino con lieve handicap psichico o il polacco clandestino con problemi motori o il napoletano senza fissa dimora bisognoso di intermediatore culturale e di interprete. Stiamo parlando in generale.
Quindi tre campi suddivisi in due grosse fasce: diurna e residenziale.
Intervistando svariati colleghi e parlando con altri, si è evidenziato come la maggioranza di loro abbia cambiato spesso campo e fascia.
Abbiamo l’educatore che dal Centro Socio Terapeutico (CST),  è andato in una Comunità  Alloggio perché stufo di lavorare con handicappati che hanno esaurito le loro capacità evolutive. Educatori che dalle Com. All. sono finiti nei CST perché stanchi di fare turni stressanti e di non vedere mai i propri figli. Educatori scappati dalle Com. All. per adolescenti perché era la quarta volta che gli veniva rubata la macchina. Gente andata ad operare sul territorio nella speranza di non dover più dover essere costretto a lavorare con certi colleghi. Insomma chi più ne ha più ne metta. In genere comunque si rileva che per ogni cambiamento o anche solo di ricerca di una modificazione, all’origine ci sia un certo disagio di tipo lavorativo o di carattere famigliare.
Dal punto di vista lavorativo ci sono tutte le delusioni che il nostro lavoro comporta rispetto alle aspettative che fantasticamente ci siamo fatti. Non stiamo ad elencarle tutte perché altrimenti più che un manuale di sopravvivenza, questo libello sembrerebbe un muro del pianto epistolare.
Dal punto di vista personale si va dalla noia mortale per aver visto per troppi anni le stesse facce di utenti e colleghi, all’incazzatura di doversi occupare tutti i pomeriggi di qualche figlio di puttana perché non stia sulla strada non sapendo se i propri (figli), siano in giro a farsi spinelli o a rubare nei supermercati. Tanto non hanno diritto a nessun servizio.
Spesso però il cambiamento di utenza e di fascia porta ad un rimotivazione professionale dell’educatore.

Si ricordano due aneddoti divertenti. Due educatori che parlano, una che opera in un CST e l’altro in una Comunità Alloggio per minori:

- Penso che tra breve chiederò il trasferimento. Tutti i giorni le stesse facce, gli stessi utenti.

Quello che si picchia da solo e le abbiamo provate tutte: in 15 anni abbiamo tentato col comportamentismo, la psicoanalisi, la sistemica, la psicomotricità, lo yoga. Non è cambiato niente. L’altra, tutte le volte che ha le mestruazioni prende a botte qualcuno. Mica i compagni vero? Quelli li fa solo incazzare. Tanto per il climax. Però poi mena noi!

Voglio passare ai minori. Pensi che un posto ci sia?- Dice l’educatrice in preda ad un certo nervosismo.

- Bho? Si. In fondo c’è molta gente che chiede il trasferimento, soprattutto dalle comunità.- Risponde il collega, leggermente preoccupato.

- Si lo immagino. I soliti problemi delle mamme con i turni. Per fortuna non ho di queste menate. Non ho figli e i turni nn mi preoccupano più di tanto.-

- Guarda che non è come credi, - cerca di dire l’educatore con imbarazzo,- non è solo un problema di turni...-

-Si! Si!- fa l’altra - A chi la vuoi dare a bere. Lo sanno tutti che appena si fanno dei figli gli educatori cercano di farsi spostare sul diurno per seguire la famiglia. E’ nella logica delle cose. Ma io sono ancora disposta a spendermi. Non ho paura di qualche ragazzino incazzoso, dopo anni di psicotici ho visto sicuramente di peggio.-

- No. Guarda. Forse non mi sono spiegato.- Cerca di interloquire l’educatore nel tentativo di mitigare un entusiasmo a suo modo di vedere mal riposto.

- Vabbè. Sarà anche più faticoso. Ma vuoi mettere? Cerca di capire, fino a qualche anno fa nei CST arrivava gente dagli istituti. Doveva crescere, potevi farci qualcosa. Inserimenti lavorativi, convivenze guidate, abilità sociali e di autonomia da recuperare. Ora i giovani disabili inseribili non passano più da noi, al massimo ci chiedono di fare gli accompagnatori. Blah! Giusto fargli prendere il pullman. Per il resto se ne occupano dei burocrati  che hanno perso il senso della ragione, della continuità educativa. Ormai da noi arrivano solo più dei cadaveri; possiamo cantargli la canzoncina, far sì che mantengano qualche abilità. Ma in sostanza invecchiamo insieme; facciamo badanza, altro che educazione. Tra un po’ non sarà più possibile riconoscere l’educatore dall’utente. Invece voi almeno lavorate per il futuro. Saranno dei ragazzini stronzi, dei figli di puttana, famiglie a rischio, delinquenti. Però lavorate in funzione di obiettivi specifici. Li tenete in comunità per qualche anno ma poi li lasciate andare. C’è un lavoro dietro, una crescita.

Non andate in pensione con gli stessi utenti. Avete almeno un ricambio di facce, di storie, di ipotesi di lavoro.-

- Frena. Calma. Per come la dipingi tu sarebbe un paradiso lavorativo. Guarda che la realtà è ben diversa.-

- Ma dai! Già il fatto che ogni anno, al massimo due, cambiate utenza è incoraggiante. Facce nuove...-

- Si! Nuove storie!- Interrompe l’altro.- Col cazzo che è così. Ti ritrovi con una ragazzina di 10 anni o un gagno di 8 e se va bene te li tieni fino ai 14. Quando se ne vanno è perché lo hanno deciso loro. Non certo perché la famiglia ha superato i problemi.

Sempre che non facciano avanti e indietro dalla comunità a seconda delle stagioni.

In Novembre c’è la raccolta delle olive, quindi tutti al paese; servono braccia. A Gennaio non c’è niente da fare e fa freddo. Sopportare i figli in casa? Non sia mai! E perché poi? C’è la comunità, cosi magari li fanno studiare e recuperano quello che hanno perso a Novembre.

Oppure ti trovi con la ragazzina che rientra in casa dalla madre che prima faceva la puttana ma che poi ha smesso perché ha trovato un brav’uomo che si guarda anche la figlia.

Eccome se la guarda. Prima se la fa e poi, schiaffone più schiaffone meno le manda tutte e due, madre e figlia, a battere su qualche marciapiede cittadino.

Ci sono nostre comunità dove hanno soggiornato in un arco di tempo di 10 anni almeno 3 generazioni di utenti. Sai cosa vuol dire?

Tu pensi che noi lavoriamo in guadagno, in crescita. Palle!

Guarda, forse è meglio continuare a cantare la canzoncina agli handicapponi, almeno sai che cosa ti aspetta.

E non pensare che sul diurno o sul territorio sia molto meglio. Magari gli fai passare l’anno scolastico, magari rallenti le cose. Ma alla fine sei tu che sei perdente. Ti ritrovo col  fegato a pezzi, qualche minaccia di morte, la macchina vandalizzata. Il telefono lo devi eliminare se non vuoi che ti rompano le scatole anche di notte, ma non risolvi nulla.

Ti cercano quando sono nella merda. Ma non ne vogliono uscire fuori!-

 

         E’ certo che ipotesi di questo genere non sono molto utili a creare entusiasmo lavorativo e discrete aspettative. La percezione di non avere scampo è un’ottima arma in mano al B.O. che, come sappiamo, è sempre lì pronto a colpirci. Possibilmente a tradimento.
Prima però di cercare di capire come si possa prevenire, curare, eliminare il B.O. è opportuno stabilire in maniera scientifica quali ne sono le cause e quali gli effetti.
Essendo però causa ed effetto  spesso fra loro in rapporti di circolarità, abbiamo deciso di suddividere in “temi” la vita di un educatore, lasciando all’intelligenza del lettore l'analisi della collusione microscopica fra causa dello stress e conseguenze dello stesso.
Noi ci limitiamo a dare degli indizi, il lavoro non può ovviamente essere completo! E’ solo l’inizio di un’opera epica rispetto alla quale viene richiesto il contributo di tutti gli educatori interessati.

    Ovviamente saranno preferiti quelli in natura economica,  alimentare, etilica, ludica. Se poi vi viene in mente qualcos’altro, meglio ancora.

 
LE CAUSE GLI EFFETTI COME COMBATTERE IL B.O. CONCLUSIONI

LE CAUSE

         Non è possibile in questa sede essere esaustivi rispetto alle cause del B.O.. Ci permettiamo però di indicare quelle principali. I dati sono ovviamente reperiti dalle schede e dalle interviste effettuate in previsione di questo lavoro. Non daremo ovviamente giudizi di valore ma vogliamo solo sottolineare quelle che, a parere degli educatori che si sono espressi, sono le maggiori cause di stress lavorativo. Usiamo in questo caso il termine stress in quanto, sempre secondo gli educatori, è propedeutico al B.O. vero e proprio. In una logica di prevenzione e tale vuol essere questa relazione, ragionare sui motivi dello stress è di per sé implicitamente un modo di prevenire l’insorgenza del B.O..
Tornando alle cause. Sono tantissime. Cercheremo, suddividendole per capitoli, di spiegarne alcune.

 

L’UTENZA


         Si sa per certo che il lavoro dell’educatore è destinato ad una utenza. E’ altrettanto certo che l’utenza in questione non è l’ideale. Lavoriamo sulle problematiche sociali. Sul disagio. Di per sé non è semplice, se poi si vuole farlo bene, con un minimo di cognizione di causa, la cosa si fa triste.
Sia che si lavori nel pubblico (sfiga), sia nel privato (almeno ci si può vendere), il contatto con l’utenza è una prerogativa irrinunciabile del lavoro educativo. A meno che non siate degli imboscati che preferite mandare gli altri in prima linea.
Il disagio sociale dell’utenza comunque si riflette immediatamente nel disagio dell’educatore.
Sia che si lavori con l’handicap, sia con i minori o con gli adulti, il fatto stesso di avere a che fare con persone che oggettivamente hanno dei disagi, crea uno scompenso. Se da una parte ci si può sentire in colpa per il fatto di essere dei privilegiati (si fa per dire: a nessuno gliene frega niente se la fidanzata vi ha lasciato o se non sapete con  chi uscire alla sera), dall’altro ci si rende anche conto che l’assistenza in genere si autoalimenta. Voi cercate di fare di tutto perché un utente si renda autonomo, indipendente eccetera, e questo vi guarda in faccia e vi dice “e perché mai? Ci sei tu che ci devi pensare.”
E’ comunque difficile trattare dell’utenza in maniera esaustiva e completa. Per forza di cose siamo costretti a ridurre la questione. Ci sembra ipotizzabile una suddivisione per “grandi temi”, che sono poi quelli con i quali ci si confronta quotidianamente.
L’handicap. Soprattutto quello mentale. Quello fisico presupporrebbe una trattazione a parte e in quel caso l’ironia potrebbe anche non essere di buon gusto per cui ci limitiamo. Parliamo quindi della fetta maggiore di educatori, ovvero quelli impegnati, sia nel pubblico che nel privato, nei CST, nelle Comunità Alloggio, sul Territorio.
Ci sembra abbastanza evidente come il lavoro sull’handicap, sia un lavoro in perdita. Nel senso che cerca di limitare i danni, ma non ha nessuna possibilità di superarli. Certo si cerca di fare il possibile in senso evolutivo, ma “gnugnu” sono e “gnugnu” restano. Magari impareranno a prendere il pullman, oppure riusciremo ad inserirli in un posto di lavoro ma la “normalità” è un’altra cosa.
Ed è proprio qui che lo stress colpisce. Gli educatori coinvolti nell’indagine hanno tutti espresso una grossa sensazione di stanchezza nei confronti dell’utenza disabile proprio perché è molto difficile fare un discorso di evoluzione. Soprattutto nei CST (e analoghi), il rischio è di invecchiare insieme all’utenza. Senza stimoli, senza risposte. Persi in un tran tran quotidiano che uniformizza.
Invitate la vostra vicina di casa al ristorante e vi trovate a mettere i piedi sul tavolo o a parlare di merda o ad alzarvi e metterle il tovagliolo intorno al collo come se niente fosse. D’altronde sono cose che fate tutti i giorni. Probabilmente la ragazza non apprezzerà molto e chiamerà un taxi e voi vi stupirete della cosa. Nessun problema. Quando si passano otto ore al giorno in un certo ambiente può succedere. Il problema è che a forza di avere a che fare con dei rifiuti e delle deiezioni uno si sente un po’ isolato. Alla fine si è costretti a frequentare solo educatori. Loro almeno capiscono. Però si crea un giro chiuso. Questo è stressante.
Le botte che si prendono poi, sono tante. Chiedete a qualsiasi collega che abbia avuto a che fare con gli handicappati e sicuramente sarà in grado di raccontarvi alcuni gustosi episodi di violenza. Non vogliamo parlare di quelli che escono sul giornale ma di quelli più miseri, ma quotidiani, che fanno parte del bagaglio di esperienze di un educatore di una certa data.
Un altro caso di stress sulla disabilità è quando ci si affeziona troppo ad un ragazzo. Guarda caso tutti gli educatori continuano a chiamarli ragazzi anche se hanno 60 anni. In questo frangente si tende a perdere la concezione della realtà. Si investe su uno solo, dimenticandosi degli altri e a volte anche di se stessi.
Abbiamo visto educatori portarsi a casa gli utenti come volontariato, al di fuori di ogni regola lavorativa o sindacale, perché se lo “sentivano” dentro. Li abbiamo visti anche scoppiare per le contraddizioni che mano a mano insorgevano fra il loro ruolo di educatori professionisti e quello di sostegno a tutto campo. Della serie lavorare in un modo o nell’altro 24 ore al giorno, può essere distruttivo.

         Analogo discorso, pur se con alcune sfumature può essere fatto per i minori. Quei poveri piccoli indifesi che cercate di togliere dalla strada, dove si divertono, per mandarli a scuola. Per cui se potessero, vi pianterebbero un coltello nella schiena e lo girerebbero anche per vedervi soffrire. Sono comunque nei vostri cuori. Ve li portate a casa a Natale e a Capodanno e poco importa se oltre al regalo di prammatica si portano via anche il portafoglio di vostro figlio, sempre che non lo convincano ad andare con loro a fare “un giretto”.
Il minimo che può succedervi è che vi rubino le gomme dell’auto e quando cercate di far capire loro che non è proprio il massimo del comportamento che vi aspettavate vi risponderanno tranquillamente che è nella loro natura. Sono o non sono seguiti dai servizi sociali?
Quindi se vi trovate poi a picchiare vostro figlio perché ha lasciato le mutande sporche per terra e non le ha messe nel cestino apposito, non vi preoccupate più di tanto. Con qualcuno dovevate pur sfogarvi.

    Gli adulti non sono da meno. Tossici, alcolisti, depressi, arrivano li e vi dicono:- La mia donna mi ha lasciato. Sto di merda.-
Dovete dar loro un aiuto. Mica potete dirgli che anche la vostra fidanzata vi ha mollato e non sapete dove sbattere la testa.
 Insomma bisogna sempre dare una mano a chi è nella cacca ma nessuno pensa mai che nella cacca ci potete essere anche voi.
Soffrite e lavorate. Se poi andate fuori di testa non avete diritto alcuno. Al massimo vi licenziano o vi dicono che non siete competenti; il che è quasi lo stesso.
In una maniera o nell’altra quindi non è facile il contatto con l’utenza. Presupporrebbe un grande equilibrio, una grossa disponibilità e la capacità di non fare troppi confronti.

 

LE FAMIGLIE


    Gli utenti però non sono mai soli. Alle spalle hanno quasi sempre delle famiglie, gli educatori raccontano che spesso queste sono peggio degli utenti. Da quelle assistite da generazioni, per cui c’è sempre qualcuno che pensa anche a loro a quelle che chiedono guarigioni miracolose o servizi improponibili o che dell’utente se ne fregano proprio ma non vogliono perdere il denaro che porta a casa. Insomma ce n’è per tutti i gusti.
Non mettiamo in dubbio che il ricorrere all’assistenza e ai servizi educativi sia un bisogno che affonda le sue radici in un disagio. Affermiamo però, confortati dal pensiero di molti educatori, che questo spesso esuli dal bisogno per divenire un’abitudine. A volte a danno dell’utente realmente bisognoso. Non è nostra intenzione fare una analisi sociologica, per la quale non saremmo preparati, ma rimanendo nel campo dello stress nel lavoro educativo ci risulta che anche le famiglie sono una buona fonte.

-         Penseremmo di inserire suo figlio al lavoro. C’è un posto adatto a lui.-

Educatore che parla ad una mamma di un handicappato. La madre risponde:

- Si ma la pensione?-

- Se lavora avrà uno stipendio.-

- Ma passa il pulmino?-

- No. Prenderebbe i mezzi pubblici. Ci pensiamo noi a insegnarglielo.-

- E la mensa? E’ gratis?-

- Dovrà contribuire come tutti gli operai, ma per lui sarebbe un grosso passo avanti.-

- E per l’estate?-

- Come per l’estate? Avrà il suo periodo di ferie come tutti. Il solito mesetto.-

- Ecchè solo un mese. Io lo porto a darmi una mano a raccogliere le pesche al paese, siamo sempre stati via due mesi mò ora solo uno gli date? No così non va. Tanto ha la pensione. Qui non paga il pullman né il mangiare. No No! Non parliamo di lavoro. Va bene così!

          Atteggiamenti del genere sono più frequenti di quello che potrebbe sembrare e non aiutano certo a lavorare serenamente e lo stress, malignamente, e li che ti chiede -“ma chi cazzo te lo fa fare?”-

          Anche qui possiamo distinguere una serie di profili delle famiglie assistite:

Assistenzialismo bieco:


     Sono quelle famiglie alle quali tutto è dovuto. In genere sono genetiche, nel senso che sono da generazioni che vengono assistite.
Sono di casa ai servizi sociali, hanno ottimi rapporti (magari armi alla mano), coi dirigenti e nessun senso di responsabilità. Tutto è delegato. Tranne una cosa. I soldi! Per loro qualsiasi tipo di servizio deve essere gratuito ma non solo: l’importante è che sulla base del bisogno, presunto, inventato o reale, ci sia un ulteriore finanziamento.
Sono quelle famiglie che arrivano con dei macchinoni da dodici metri e vi dicono che non possono occuparsi della madre, del figlio, della zia, perché devono andare a ristrutturare la casa al paese e si incazzano anche se il sussidio non è pronto, se la pensione è in ritardo o se la comunità non ha posto.
Per un educatore  questo tipo di famiglia presuppone un tipo di intervento molto problematico. Voi che viaggiate con un catorcio vecchio di dieci anni e che non avete ancora finito di pagare, che abitate in una casa in affitto perché non potrete mai permettervi una proprietà, dovete rispondere al loro bisogno di assistenza e di servizio educativo. Si continua a discutere sui bisogni reali e su quelli indotti ma nel frattempo il vostro lavoro vi impone di occuparvi anche di loro. Il massimo è quando vi prendono anche per il culo, sfottendovi per la vostra stupidità.
Con queste famiglie lo stress è assicurato.

 

Le Politicanti:


    Sono una categoria particolare, sono quelle famiglie che aderiscono a tutte le associazioni, frequentano partiti politici, personalità pubbliche, non disdegnano neanche di andare in TV a piangere sul loro drammatico fato. Agli educatori richiedono di essere promotori di rivoluzioni epocali, culturali e sociali. Salvo poi dimenticarsi che sono dei lavoratori come gli altri e usarli come capro espiatorio quando le cose non funzionano come loro avrebbero voluto. Ovviamente non andranno a verificare se è proprio la politica (e i loro amici politici), che non hanno assolto al loro dovere. La colpa è sempre dell’educatore che non si è prodigato abbastanza. Anche con queste famiglie sarà facile andare sotto stress. Non ce ne vogliano, i diritti sono diritti, ma possiamo rivendicarne qualcuno anche noi? Ultimamente poi si sta verificando sempre più uno strano fatto. Queste famiglie, associate, rivendicano il diritto ad essere loro a gestire i servizi, a loro uso e consumo, spesso senza neanche pensare poi troppo all’utenza, ma con i soldi del contribuente…
Un po’ come se un malato di appendicite rivendicasse la capacità diagnostica e volesse essere operato al cuore… Ma?

Le Timido - Dignitose:


     Sono quelle che arrivano all’ultimo minuto perché non ce la fanno più. Si vergognano di chiedere aiuto a chicchessia e lo fanno solo se costrette. Non vogliono pesare, non desiderano dare fastidio. Spesso non sanno di avere dei diritti. Bisogna andarle a cercare, stanarle, non sempre è facile. Ci fanno sentire quasi come un accessorio, potresti non esserci e per loro la realtà non cambierebbe poi  di molto. Provate a spiegare loro che una società civile si deve occupare di tutti e non solo dei prepotenti e dei profittatori. Sono talmente umili che fanno venire agli educatori un senso di colpa. Quindi via con gli straordinari non pagati, con le ore di sonno perse, con le telefonate da casa. Anche in questo caso lo stress è in agguato; già di per sé ci si chiede se è giusto intervenire poi, lo sconforto di sapere che mentre altri hanno di tutto e di più anche se non dovuto ci sono persone che  non hanno mai usufruito di nulla ci fa sentire delle merde. Perdiamo tempo con gente che cerca solo di sfruttare l’occasione per i propri interessi e ci scappano di mano le situazioni di vero bisogno. Se uno si ferma a pensarci non ha neanche il coraggio di guardarsi allo specchio al mattino.
Sarà anche per questo che molti educatori hanno la barba e le educatrici non si truccano quasi mai?

          Ovviamente non possiamo qui entrare nel merito di ogni famiglia. Diverso sarà l’approccio ai servizi educativi a seconda dei singoli casi.
Dalla mamma dell’handicappato che non vuole inserirlo al lavoro perché la pensione equivale ad uno stipendio e nel frattempo ha gratuitamente il servizio di un centro diurno, al padre spacciatore che vuole un inserimento in comunità perché ha beccato il figlio a farsi una canna.
Insomma ne abbiamo per tutti i gusti. Peccato per il povero educatore al quale tocca cercare di mettere ordine in questi marasmi mefitici.
A scapito della propria salute e dell’integrità mentale già normalmente provata.
Tutti gli educatori si sono prima o poi trovati ad essere minacciati di morte, castrazione o violenza carnale (a seconda del sesso), da qualche genitore particolarmente incazzato. Molti si sono trovati con le gomme dell’auto tagliate o i finestrini rotti. Parecchi hanno dovuto cambiare numero di telefono.
          Quello che però fa imbestialire e che non si può reagire umanamente. Bisogna altresì mantenere alto il profilo professionale, ingoiare il rospo  senza neanche l’ausilio di un Fernet e pensare che magari qualche ragione ce l’hanno anche loro. Peccato che spesso la colpa non sia vostra ma di cose e strutture più grandi di voi. In quanto ultima ruota del carro, ma anche, con termine tecnico, front line, sarete voi a subire i primi contraccolpi di una qualsiasi delusione da parte delle famiglie.
Insomma le aspettative e le illusioni e le conseguenti disillusioni delle famiglie vengono normalmente sfogate sugli educatori che spesso nulla possono fare al riguardo.

 

I COLLEGHI


          Dalle analisi effettuate sui risultati delle schede di rilevamento dati emerge, in tutta la sua portata culturale, un dato particolarmente significativo e denso di contenuti.
Dalle risposte ottenute sembra che il gruppo di lavoro, inteso genericamente come l’insieme di colleghi coi quali ci si trova quotidianamente ad operare, siano una delle classiche fonti  inesauribili di stress, demotivazione e B.O.
Conoscendo vizi e virtù della classe educatrice la cosa non ci può certo stupire.
Dalle interviste effettuate emergono delle “costanti comportamentali” che ci consentono di elaborare dei “profili” entro i quali determinati atteggiamenti, comportamenti e posizioni possono essere integrati.
Ci preme però soprattutto sottolineare ed analizzare i profili che con il loro modo di operare si sono maggiormente rilevati come apportatori di stress all’interno del gruppo di lavoro.
In altre parole cercheremo di definire quali sono gli educatori più rompiballe ma soprattutto, in un secondo tempo, come fare per eliminarli o anche solo per disinnescare o limitare il loro potenziale distruttivo.

I perfetti


          In primo luogo, come educatori rompiballe, secondo i sondaggi, ci sono gli educatori perfetti, gli onnipotenti. Qualsiasi cosa facciano, foss’anche pulire i cessi o cambiare un pannolone, lo faranno sicuramente meglio di voi, con una maggior valenza educativa. Fin qui sarebbe il meno. Il problema grosso è che non solo sono convinti di essere i migliori, ma vogliono convincere anche voi. Se anche una semplice operazione, come il cambio di un pannolone, voi lo fate nella stessa identica maniera da loro ideata, non andrà lo stesso bene.
O avete un atteggiamento sbagliato, troppo morbido o troppo duro, o non fate abbastanza attenzione agli aspetti emotivi della cosa o ne mettete troppa. Il colore del vostro maglione non è consono all’ambiente e forse anche il vostro deodorante non è funzionale all’intervento che dovevate fare.
Insomma ogni vostro atto viene vagliato, analizzato e valutato da queste figure che tutto sanno, tutto hanno letto, tutto hanno sperimentato.
Generalmente non sono persone votate al lavoro o all’utenza; hanno una vita privata e altri interessi. Loro non devono sforzarsi di imparare delle cose nuove, sanno già tutto. Insomma visti dal di fuori sembrano anche simpatici. Hanno del fascino.
Problematico è lavorarci insieme, soprattutto in situazioni di contiguità quotidiana.
Il massimo dell’effetto stressante però lo ottengono al momento in cui il gruppo di lavoro deve prendere delle decisioni.
Sono bravissimi nel demolire qualsiasi teoria e punto di vista dei colleghi; dotati di un sorriso da carnivoro a 46 denti e di una parlantina sciolta e fluente, espressa in un italiano perfetto e farcito di tecnicismi dal significato oscuro, ma che nessuno si può permettere di ammettere di non conoscere, sono in grado di fare passare ore di riunione su cavilli etici o formali. Quando poi il gruppo, ormai esausto dalla disamina di centinaia di alternative, sta per gettare la spugna e rimandare la decisione, arrivano loro. Belli, tranquilli e riposati, vi sfornano la soluzione con aria subdola e saccente, della serie “siete delle bestie ignoranti che non capite niente”.
In genere le loro soluzioni sono pragmatiche. Se voi vi siete persi sulla moralità di una decisione, vi sputeranno in faccia la necessità politica. Se al contrario avete analizzato l’opportunità politica di una presa di posizione vi svergogneranno con la chiara limpidezza della necessità di una svolta etica.
Ovviamente le decisioni le avevano già in testa in precedenza e guarda caso, sono sempre quelle a loro più confacenti e convenienti e come al solito voi avete torto e loro ragione.
Se poi alla fine il tutto si risolve in un fiasco non preoccupatevi. La colpa sarà senz’altro vostra perché non avete compreso l’ambito dell’operazione e la sua portata. Non vi diranno mai:- Perché non hai fatto come ti ho detto?- Oppure:- Non hai eseguito gli ordini.- Sarebbe poco elegante. Se voi foste intelligenti avreste dovuto capire da soli che cosa andava fatto. Ma se non avete neanche capito quello che loro vi hanno detto di fare, allora siete proprio irrecuperabili.
          Avere a che fare con gente del genere è, alla luce delle nostre analisi, oltremodo stressante; gli educatori che lavorano con colleghi che rientrano in questo profilo hanno un’ottima probabilità di andare in B.O.
Al contrario, loro, i perfetti, dal B.O. ne sono quasi immuni. Da un lato perché sono più che convinti che una cosa del genere a loro, non potrà mai capitare, dall’altro perché in generale, non restano mai troppo a lungo nello stesso posto.
Dopo un certo lasso di tempo, sufficiente a far esplodere il gruppo e a mandare i colleghi in tilt, consci della loro superiorità intellettuale e della oggettiva impossibilità di lavorare con persone così incapaci, si trovano un altro luogo di lavoro e un altro gruppo da distruggere.
In questo profilo troviamo anche alcuni “carrieristi”. Sono coloro i quali non si limitano a cambiare gruppo di lavoro ma decidono, in quanto esseri superiori, di essere destinati a mete più alte come coordinare il lavoro degli altri, organizzare corsi, seminari, dedicarsi all’amministrazione.
Se è stressante averli come colleghi, averli come capi è da suicidio. Ma ne parleremo quando affronteremo il tema dei superiori.

 

I missionari


          Un altro tipo di educatore particolarmente rompiballe è quello che, con buon senso comune, viene definito: ”il missionario”.
Al contrario del precedente e dei comuni mortali, i missionari, non lavorano per vivere ma al contrario vivono per lavorare. L’unico scopo della loro esistenza è di occuparsi di qualcuno o di qualcosa a tempo pieno.
Sono coloro ai quali le ferie bisogna imporle e quando partono si portano dietro un utente oppure vanno a fare delle ferie di volontariato, ma ogni settimana sicuramente, vi telefoneranno sul lavoro per sapere come vanno le cose.
Il loro livello di creatori di stress è lievemente inferiore a quello offerto dagli “dei” per il semplice motivo che loro non si sentono superiori a voi, anzi sono i primi a chiedervi consigli su come operare, a coinvolgervi; magari alle tre del mattino, per telefono.

- Ciao, scusa, lo so che non è l’ora, ma non riuscivo a dormire. Continuo a pensare a Paolino e mi sono venute in mente un paio di soluzioni.-

- D’accordo, ma non potremmo parlarne domani? Sai com’è, stavo dormendo e quando squilla il telefono nel cuore della notte penso subito che sia schiattato qualcuno! Il che non mi rende proprio dell’umore adatto per parlare di lavoro.-

- Si ti capisco, mi dispiace, ma è importantissimo. Ne va del lavoro di un anno...-

    E via di questo passo fino a quando non avrete ascoltato tutte le teorizzazioni, le soluzioni, le analisi, le interpretazioni e le alternative ipotesi di intervento sul fatto che Paolino, che so, si mette le dita nel naso.
All’indomani, quando arriverete al lavoro stremati e con gli occhi pieni di sonno, l’educatore missionario vi verrà incontro con il sorriso sulle labbra:- parlare con te ieri sera,- “ieri sera? Ma se era notte fonda!”- mi ha fatto molto bene sai? Sono riuscito a capire alcune cose. Il tuo contributo è stato essenziale.-
Il fatto che voi non abbiate detto niente è irrilevante. L’importante è stata la vostra presenza, anche se intercalata da ippopotameschi sbadigli e da qualche minuto di silente ronfare.
D’altronde a loro poco cala di quello che voi fate o pensate, la loro è una missione e comunque sia vanno avanti per la loro strada. Continuano ad essere stupiti del fatto che dopo 15 ore di lavoro non abbiate più voglia di andare ad una riunione serale di educatori o ad una presentazione di un libro (educativo, sull’educazione), accampando come scusante, flebile ai loro occhi, che non vedete i vostri figli dal mattino  e vostro marito dalla sera prima. Se poi siete single, siete fottuti. Con quale cuore, di fronte agli immensi problemi dell’educazione contemporanea, con casi che dovrebbero strapparvi lacrime di disperazione e suscitare in voi uno sdegno tale da mettere in moto la vostra voglia di reazione ed il vostro desiderio di operare fino allo stremo delle vostre forze, come potete, ora, declinare un dibattito con il luminare XXXXXX (1) solo perché avete un appuntamento in birreria. Non vi verrà detto di vergognarvi ma leggerete una tale riprovazione nei loro languidi occhioni, che come minimo vi dovrebbe togliere il sonno per una settimana per il senso di colpa.
          Se invece giunti alla seconda media rossa con anche solo una remota ipotesi di poter concludere la serata a casa della simpatica biondina con la quale state amichevolmente chiacchierando di atletica leggera, non pensate né al caso né alla collega, non vi preoccupate. Forse siete fra i pochi educatori ancora sani di mente rimasti in circolazione.

 

Gli imboscati


          Un altro profilo di educatori rompiballe e quindi fonte di B.O. per chi sta loro accanto, sono i cosiddetti “imboscati”.
Sono quei colleghi che per un motivo o per l’altro si cercano e costruiscono una “nicchia ecologica” dalla quale è difficile schiodarli.

- Cose ne dite di fare una festa in quartiere?-

- Ah no. Qui le feste si fanno solo a natale e con gli inviti già pronti. Usiamo ancora le fotocopie del natale 1975.-

- Ci sarebbe da dare un contributo operativo all’iniziativa della Circoscrizione...-

- Se proprio volete fate pure. Io resto qui. Era meglio quando non c’era tutto sto casino.-

          Insomma sono quelli che vivono una tranquilla routine e soffrono e fanno soffrire se questa gli viene anche minimamente modificata. Qualsiasi novità li manda in ansia, ogni nuovo ingresso di personale o di utenti crea loro degli scompensi psicofisici che in genere sfociano in un discreto periodo di mutua.
Per loro la tradizione è legge. Ogni cambiamento è vissuto come rivoluzione universale e mina le basi della loro organizzazione di vita.
Di per sé non sono particolarmente pericolosi, sempre che si accetti lo status quo e non si cerchi di modificarlo. Nel momento in cui però, per un qualsiasi motivo, gli si cambia le carte in tavola la loro reazione può esser veramente destabilizzante.
Possiamo dividerli in due sottospecie: gli struzzi e le serpi.

Gli struzzi di fronte ad un cambiamento anche minimo tendono a mettere la testa sotto la sabbia e ad aspettare che il maremoto passi e che torni il solito tran tran. Vi faranno diventare matti con i loro -“non so..., forse..., però in genere..., noi facevamo...” - e via dicendo. Si appelleranno alla tradizione, alla sua sicurezza. Non vi boicotteranno apertamente ma non muoveranno un dito per aiutarvi a modificare le cose. Se poi i vostri cambiamenti risulteranno vantaggiosi anche per loro non vi diranno certo grazie. Lo daranno per scontato, anzi sicuramente era da almeno una decina di anni che loro pensavano la stessa cosa solo che non erano sicuri che fosse il momento giusto per proporla e quindi hanno tralasciato.

          Le serpi invece non si limitano ad essere passive ma si propongono in prima persona per rovinare qualsiasi iniziativa. Sono quelle persone che godono nel vedere i colleghi che litigano fra di loro. Le banderuole che appoggiano prima uno e poi l’altro a seconda di come ritengono sia più conveniente. Sono quelli che vivono di pettegolezzi sotterranei, di telefonate anonime, di rapporti privilegiati con i capi, per cui dopo che voi vi siete fatti il mazzo per progettare qualcosa di nuovo, vi verrà negato da superiori perché, in separata sede le serpi ne avranno già parlato coi capi, segandovi in partenza.

          Sembra che siano i più amati dai superiori in quanto sono sufficientemente furbi da non entrare in  competizione con loro ma anzi appoggiano ogni loro decisione, se poi queste sono di disturbo al loro quieto vivere, continueranno come se niente fosse. Incolpando però voi dell’insuccesso di ogni iniziativa.
In genere sono stanziali. Nel senso che non amano spostarsi da un posto di lavoro all’altro. Per cui alla fine, quando i gruppi vanno in crisi, le altre persone se ne vanno o vengono mandate via, mentre loro riescono a rimanere salde al loro posto. D’altronde non è mai colpa loro se un gruppo non funziona ma sempre di chi arriva fresco fresco con idee nuove, a loro ostiche. Le ostriche invece le apprezzano, soprattutto se offerte dai superiori, coi quali, come già detto,  hanno un rapporto privilegiato.
Lavorare con costoro è stressante in quanto ci si sente praticamente in gabbia. Qualsiasi cosa si faccia è sbagliata ma se non si fa niente, in quanto impossibilitati, si viene considerati imbecilli e destabilizzanti. Ovviamente sono bravissimi a gestire rapporti funzionali con l’utenza , con le famiglie eccetera. Rasentano quasi una certa aria di clan o di mafiosità. Non stupitevi se alla domenica al posto di stare con la propria famiglia  si  avventureranno su per gli erti monti in cerca di funghi col genitore di un utente, fa parte del loro modo di lavorare.
Ovviamente non lasceranno traccia del loro lavoro. Non troverete progetti, relazioni,  verifiche, nulla di nulla di scritto. Solo la loro parola. E che ciò vi basti.

 

I burnoutizzati


          Come già detto in precedenza, qui esaminiamo solo i profili degli educatori che sono fomentatori e creatori di stress. Ovviamente esistono anche altre modalità lavorative, ma non è questa la sede per dibatterne. Ci limitiamo quindi a definire a grandi linee l’ultimo profilo. Quello dell’educatore in B.O. conclamato.
Costoro, poverini, hanno tutta la nostra solidarietà, ma in questa sede dobbiamo essere scientifici, analitici e oggettivi. Quindi, solidarietà a parte, siamo costretti a dire che un collega in B.O. è di per sé pericoloso.
Nel senso che il B.O., a quanto sembra, è contagioso. Quasi virale.
Anche se non è facile definire il B.O., né diagnosticarlo su di una persona, tutti noi nell’arco della nostra carriera abbiamo prima o poi avuto a che fare con un burnoutizzato.
L’incoerenza dialettica, le crisi esistenziali, l’incapacità di elaborazione, l’inaffidabilità e via dicendo, sono i sintomi che dai colleghi vengono colti.
Normalmente si parla di B.O. rispetto a chi ne soffre, meno purtroppo a chi deve subire il collega in B.O.
          Non è nostra intenzione fare anche una disamina di questa casistica, che lasciamo ad un altro momento; resta comunque significativo, soprattutto in termini di prevenzione, il fatto che il B.O. è trasmissibile per via aerea. Peggio di un raffreddore. Quindi, in un ottica di superamento dello stress, sarà opportuno tenere conto anche di questo fattore.

GLI EDUCATORI E I FIGLI


          Perché parlare dei figli degli educatori? Cosa c’entrano con il B.O.?
Ebbene, nonostante le apparenze contrarie c’entrano e molto.
In primo luogo perché spesso subiscono le conseguenze del B.O. genitoriale ma soprattutto perché altrettanto spesso ne sono una concausa.
Ma procediamo con ordine. I pargoli degli educatori sono fra i bambini più problematici e rompiballe del mondo. Superati forse, solo da quelli degli psicologi, degli psicoanalisti e degli insegnanti.
Normalmente o sono dei selvaggi “Devono crescere esprimendo tutta la loro creatività” o sono delle lagne mostruose che non possono neanche permettersi di aprire bocca che mamma o papà o entrambi sono lì, testi classici alla mano, per stabilire fasi, momenti, eziologie  fenomeniche eccetera.
Sarebbe quindi meglio diffidare dei figli dei colleghi, ma soprattutto dei colleghi con figli.
          Impossibile invitarli a cena. Se i figli sono dei selvaggi vi trovate con la casa smontata in men che non si dica e non potrete neanche lamentarvi in quanto mentre il frugoletto sta beatamente distruggendo la vostra preziosa collezione di francobolli appiccicandoli alla tappezzeria, vi permettete di pronunciare un timido:

- Scusa caro, ma queste sono cose che un bimbo non dovrebbe toccare. Se vuoi ho ancora del Lego da qualche parte,- che verrete fulminati dallo sguardo educativo - supervisionale del genitore.

- Insomma. Non puoi castrare così il pupo. In fondo è la prima volta che viene a casa tua, (“e anche l’ultima” pensate voi), deve fare conoscenza con lo spazio, ha bisogno di introiettare il movimento abitativo in un’ottica di comprensione del luogo tempo inerente il processo di crescita maturativa...-

- Si ma sono francobolli che valgono un sacco di soldi. Erano del nonno.- Fate voi ormai angosciati.

- Cosa vuoi che sia qualche pezzo di carta appiccicaticcio rispetto all’equilibrio psico - affettivo di mio figlio. Se adesso glieli togli rimarrà sicuramente traumatizzato. La paghi poi tu l’analisi?-

- No, cioè, scusa, non voglio assolutamente traumatizzare nessuno -“e neanche pagare l’analista”- sarà che sono un po’ stanco e forse dovrei andare a dormire presto.- Questo lo dite anche se siete solo al secondo piatto, nel tentativo di limitare i danni. Chissà a cosa passerà dopo i francobolli se gliene date il tempo.

- Sai domani sarà una giornata pesante...-

- Si certo, capisco, anche per me sarà dura. Lavoro al mattino ed ho un sacco di impegni ad alto livello. Poi al pomeriggio devo andare a parlare alle maestre di Paolino. Non che lavorino male,  insomma anche loro sono delle professioniste. Solo che, ecco, non mi convincono alcune delle attività che gli fanno fare, perché sai, lui è in quel periodo di crescita durante il quale...-
          La prossima mezz’ora è dedicata all’anamnesi psico - socio - educativo - affettiva del malefico gagno il quale, ormai ritappezzata la stanza coi vostri francobolli si è dedicato a colorare a pennarello la vostra collezione di fumetti. Fortunatamente quelli erotici sono troppo in alto per le sue piccole manine altrimenti verreste uccisi all’istante per aver attentato alla sua crescita sessuale.
          Giunti finalmente al termine di una estenuante serata sarete ovviamente invitati a casa loro in modo da poter meglio comprendere le dinamiche famigliari di un ambiente educativamente costruttivo, atto a porre in essere tutte le risorse biocompatibili per una perfetta maturazione, eccetera.
          Questo se vi capita il selvaggio. Se invece per vostra sfortuna beccate lo “psicologizzato” sarete sicuri di salvare le collezioni di francobolli e di fumetti ma non si potrà dire altrettanto della vostra integrità mentale.
Il fanciullo resterà li, immobile su una sedia, in attesa di ordini superiori. Guarderà la mamma in attesa di un cenno di riscontro positivo prima di servirsi per la seconda volta del gelato che avevate comperato apposta per lui. Non avrà nessuna macchia sul vestito e non cercherà mai di alzarsi da tavola prima della fine della cena e neanche dopo.
Se malauguratamente, cercate di discutere, o anche solo di chiacchierare di qualcosa che non siano le sue fasi di crescita, ovviamente differentemente definite da mamma e papà, vi ritroverete all’incrocio di sguardi allibiti e furenti.

- Forse non è il caso di parlare di questo!- La mamma.

- Certo in questa fase evolutiva la comprensione può essere equivoca.- Il papà.

- Ma io volevo solo...- cercate di interloquire.

- Si ma da un professionista come te ci si aspetta un po’ più di attenzione.- Vi interrompe uno dei due genitori.

- Bhè. Veramente sarei fuori servizio.- Cercate di giustificarvi con un po’ di ironia. Ma ovviamente la risposta che otterrete sarà del tipo:

- Si capiamo. Ma anche tu non puoi dimenticare la tua cultura e la tua preparazione. In te cerchiamo anche un appoggio nel migliorare le tecniche educative cui sottoponiamo nostro figlio.-

“A quando la vivisezione?” Ma questo lo pensate solamente.

          Se per sdrammatizzare e per allontanare il pargolo dal tavolo dal quale non si era ancora scollato e rimaneva impettito a guardare i genitori, gli proponete di andare in camera a fare un giochino col vostro PC, sarà la mamma a saltare su.

 Chissà perché ma sono sempre le mamme ad essere le più apprensive.

- Quale gioco vuoi fargli fare?-

- Ma non so, uno qualsiasi, sceglierà lui, io gli faccio vedere come funzionano e poi lui si arrangia...-

- Col cavolo che si arrangia. Prima mi fai vedere che giochi hai, poi decidiamo se sono adatti a lui. Non è che sei collegato coi pedofili americani Eh?-

- No. Cioè, io. Non è così facile collegarsi. E poi il modem è spento.-

- Sicuro che non c’è niente di inadatto alla sua attuale fase di crescita?-

- Bhè. Non so. Sono solo giochini.- Fate voi imbarazzato.

- Giochini, giochini. Stiamo facendo di tutto per evitargli una crescita troppo frettolosa ed emotivamente instabile. Sai che certi giochi creano uno stimolo alle violenza che poi e difficile da gestire...-

Voi pensate che se il pupo le desse un sonoro calcio negli stinchi, sarebbe una violenza più che giustificata che non dovrebbe essere gestita, bensì agita. Ma lo pensate solamente mentre fate vedere a mamma il giochino prescelto, fra i più idioti e meno divertenti fra quelli che avete.
          Ovviamente dovrete giocare tutte le schermate, anche se non siete mai arrivati oltre alla quinta perché vi siete sempre rotti le balle prima. Devono controllare tutto. Che non ci sia nulla di pericoloso.
Quando alla fine sedete Paolino col mouse in mano davanti al PC, sperate di risolvere la serata facendo una tranquilla chiacchierata; tirate fuori una bottiglia di liquore, le sigarette e fate per tornare in cucina o in salotto pensando di essere seguito dai genitori, essendo ormai il piccolo impegnato per almeno un’ora.
Errore!
Entrambi saranno a fianco del fanciullo, prodighi di consigli su come svolgere il gioco e per evitargli i traumi della sconfitta. L’unica loro reazione sarà alla vista della bottiglia e delle sigarette.

- Non vorrai mica fumare nella stessa stanza di Paolino vero?-

-No certo. Pensavo di andare di la e sederci tranquilli.-

- E lasciarlo da solo davanti al computer? Non ci penso nemmeno. E metti via quella bottiglia. Non vogliamo che prenda certi vizi.-

    A voi non resta che ubbidire e sedervi in attesa che Paolino, con il costante aiuto dei genitori, finisca il gioco. La vostra speranza che gli venga sonno in fretta sarà frustrata. Il sonno gli verrà all’ora giusta.
E quando questa sarà giunta, avrete da ottemperare ad un contro invito a casa loro, al quale non potrete sottrarvi; per vedere la sua cameretta, i suoi giochi, il suo spazio nel quale crescere equilibrato...eccetera.
          In un modo o nell’altro non si può scappare da un invito a cena dei colleghi con figli. Sarà che a forza di lavorare coi figli degli altri, normalmente disagiati che porta a sopravvalutare i propri. Resta il fatto che prima o poi verrete cuccati e invitati a cena.
Sarà magari dopo una riunione protrattasi a lungo:

- Dai, già che siamo qui vieni con noi che ci facciamo due spaghetti.-

 O sarà un invito più formale:

- Domani (ovviamene Venerdì o Sabato sera), facciamo una cena fra amici. Perché non vieni anche tu?-

Inutile dire che a certi inviti non si può dire di no. Dovendo lavorare per cinque giorni alla settimana con le stesse persone, un no ad un invito a cena potreste pagarlo per almeno un anno.
          Se finite a casa del “selvaggio” avete poco da fare. Farà tutto lui. L’abitazione non è una normale casa ma un laboratorio euristico a disposizione del bambino.
Non preoccupatevi se mangerete patatine con la marmellata, mozzarella con la nutella e torta con la maionese. Che volete. Sicuramente avrà cucinato lui o perlomeno avrà ordinato a mamma come cucinare, la quale, ovviamente entusiasta vi proporrà i piatti più ripugnanti, commentandoli amorevolmente.

- Assaggia questo. Gorgonzola mantecato con zucchero, marmellata di prugne e dadini di pancetta. E’ un gusto un po’ strano ma interessante. Sai Paolino è in una fase di scoperta dei gusti e gli piace sperimentare cose nuove.-

    E’ inutile cercare di evitare l’assaggio con scuse del tipo che il gorgonzola non lo digerite e che la marmellata di prugne ha sul vostro intestino un effetto quasi immediato, dovrete mangiare volenti o nolenti. Mica vorrete castrare la creatività di Paolino, frustrando la sua iniziativa culinaria, non assaggiando la sua produzione? Vorrete mica traumatizzarlo?
E mentre cercate di ingerire le peggio schifezze che mente umana possa  inventare, vi toccherà anche sorbirvi la videocassetta della carica dei 101, l’ultimo disco di Cristina D’Avena e la lettura ad alta voce di Biancaneve.
 Il tutto ovviamente in contemporanea e a volume altissimo.
          Il Paolino selvaggio non è certo uno di quei bambini che giunti ad una certa ora vanno a letto. Sicuramente vorrà sperimentare la vostra resistenza al sonno ed alla noia sottoponendovi tutti i suoi disegni degli ultimi tre anni, seguiti da una scatola di meccano con annesso progetto di aereo che neanche all’Alenia sanno fare, ma che voi sarete costretti, inginocchiati sul pavimento a cercare di montare, con Paolino che vi confonde i pezzi mentre mamma lo guarda entusiasta sospirando.
Guarda il pupo ovviamente, non certo voi né le gocce di sudore che imperlano la vostra fronte. Né udirà lo scricchiolio sinistro (e anche destro), delle vostre ginocchia doloranti e neppure la strana piega che ha ormai assunto la vostra schiena. Insomma dovrete subire fino a montaggio completato. Il prodotto sarà, grazie all’aiuto di Paolino, simile ad un aeroplano quanto può essere simile una nave ad un carro armato.
Ma se provate a fare delle modifiche alle modifiche del gagno, il quale terminata l’enfasi creativa sta accompagnando alla batteria la colonna sonora di Phocaontas, verrete immediatamente fucilati sul posto. In primis da Paolino stesso, che sperimenterebbe su di voi la sonorità delle bacchette sulla pelle non conciata. Subito dopo dalla madre, inviperita perché una giornata così ricca e creativa (per Paolino, non per voi), debba finire in maniera così traumatica.
Non sarete al sicuro se non dopo aver raggiunto la vostra casa, chiuso la porta a doppia mandata e staccato il telefono. Paolino è già in grado di usarlo!
          Se invece capitate a cena dal Paolino psicologico, cominciate pure col lasciare a casa le sigarette o al massimo in macchina. Non portate la canonica bottiglia di vino. Verrebbe bevuta dopo la maggior età di Paolino.
Non portate fiori alla mamma. Il pupo potrebbe fare confusione e chiedersi (sic!), se per caso fra voi e lei non ci sia qualcosa di losco. Non portate dolci, gelati, o alimenti vari: ciò che non compra la mamma non è buono.
Al massimo può essere consigliabile recuperare dalla libreria un classico della psicologia infantile. Inutile sottolineare che il tomo deve essere di stretta osservanza della scuola seguita dai vostri ospiti pena l’espulsione a vita (magari), dalla cerchia degli intimi.
Consigliamo anche di premunirsi di un kit di sopravvivenza, da lasciare rigorosamente in macchina, composto da almeno: 2 Alka Seltzer, 1 pacchetto di sigarette, 1 bottiglietta di fernet, 1 di brandy o grappa, 6 lattine di birra o 1 bottiglia di vino bianco, 1 pacchetto di fazzoletti di carta, 1 di salviettine umidificate.
Se poi i genitori sono di scuole diverse, come spesso succede, lasciate perdere anche i libri ma non offritevi di lavare i piatti. Paolino è abituato a vedere in cucina le stesse figure. Un cambiamento sarebbe traumatico.
Giungete quindi a mani vuote, macchina piena e mente aperta.
 Sarà sicuramente Paolino stesso a farvi da guida in casa per dimostrarvi la propria appartenenza e l’ottima conoscenza dello spazio abitabile.
Con dolcezza potrete fermarlo, accampando una gran fame quando, ormai giunti in camera sua ed annotato tutti i giochi in ordine alfabetico o per categorie logiche, comincerà a raccontarvi, in ordine cronologico, tutti i racconti della sua collezione di Topolino.
Se siete fortunati alle vostre spalle avrete papà che, citando i sacri testi, vi spiegherà esaurientemente la differenza psicologica fra Paperino e Topolino. Se siete sfigati ci sarà anche la mamma che mentre la pasta scuoce, vi parlerà del ruolo della donna nei fumetti per bambini.
La cena sarà un miscuglio corretto di proteine, vitamine, sali minerali. Il tutto praticamente privo di gusto ma sicuramente equilibrato.
La conversazione, di alto livello (vietati sport, motori e sesso), sarà infarcita da mammeschi incitamenti a Paolino:

- Dì al nostro amico perché le carote crude con lo yogurt fanno bene?-

- Perché assommano le proprietà dei bacilli vivi con le proteine del latte e le vitamine delle carote non denaturate.- Risponde saccente il pupo.

- Visto?- Fa papà.- Stiamo cercando di far crescere in lui la scintilla della curiosità intellettuale, anche per quanto riguarda una alimentazione sana ed equilibrata.-

    E via con frivolezze del genere.
Al dolce, di latte di soia, con succo d’acero e capperi, il discorso si fa più serio: Paolino e la scuola.
Alla tisana di verbena con punte di asparagi e fiori di camomilla in tazza (tocco di eleganza trasgressiva), la discussione può aprirsi ad argomenti più pregnanti.
E’ papà che ovviamente inizia.

- Lasciamo stare la scuola, sappiamo tutti che gli insegnanti non hanno mai letto XXXXXXXX 1. E’ meglio parlare di cose più piacevoli. Lo sai che Paolino...”-

    E li comincia la vostra Waterloo: Paolino a cavallo, Paolino In piscina, Paolino a messa, Paolino agli scouts.
Paolino lì presente che compunto annuisce, ma sottotono, senza cercare di apparire.
Se siete sfigati oltre agli aneddoti vi toccherà subire anche le foto. La vostra sfortuna è proverbiale se vi toccano anche le diapositive.
Se poi dovrete subirvi anche i video amatoriali lasciate perdere. La vita non fa per voi.
Come si dice, quando si arriva al fondo, non resta che scavare. Ma se al posto di un Paolino vi trovate con una Paolina, era meglio se vi portavate il piccone. Nessuno potrà esimervi dall’assistere ad un saggio di danza eseguita per voi, solo per voi, in cucina e senza accompagnamento musicale.
All’ora canonica, non un minuto prima non uno dopo, il pupo dovrà andare a nanna.
La mamma lo accompagnerà in bagno per le quotidiane abluzioni serali, mentre voi resterete col padre che vi parlerà dell’importanza dei momenti precedenti la messa a letto.
Verrete salutati da un Paolino perfetto nel suo pigiamino demodè con gli orsacchiotti e vedrete scomparire entrambi, mamma e bambino con un:

- Buonanotte a tutti.- del pupo e un:

- Torno subito.- Della mamma.

Dopo un quarto d’ora passato per lo più in silenzio, cercando di reprimere la voglia di fumare, anche il padre si alzerà:

- Vado a rimboccargli le coperte. Sai è importante che a quell’età la figura paterna sia presente e non solo aleatoria. Ti lascio solo cinque minuti. Non ti dispiace vero?-

- No figurati. Magari vado sul balcone...-

-Si ma non fumare, con la porta aperta il fumo arriva fin di là.-

     E mentre voi pensate al balcone come possibile strumento di: omicidio di una famiglia intera, fuga rocambolesca da una situazione assurda, suicidio, anche il padre si allontana, lasciandovi solo con i vostri truci pensieri.
Dopo un quarto d’ora di attesa cominciate a cercare qualcosa da leggere in giro, ma a parte libri di psicologia e pedagogia infantile non trovate altro se non dei Topolino o dei Tiramolla. Oppure dei libri didattici sulla vita delle formiche o sulla vita sessuale del panda maggiore (quasi estinto), disegnato da un pedagogo professionista che ha fatto attenzione anche alla psicologia dei colori. Infatti nessuno aveva mai visto un panda azzurro e fucsia! Ma si sa. Per la psiche dei bambini...
Dopo un’ora di solitudine cominciate ad essere inquieti. La voglia di fumare si fa pressante e il pacchetto che vi gira nella tasca non aiuta.
Il pensiero del brandy chiuso nel cruscotto della macchina invoglia ad alzare le tende. Ma l’educazione (il super io?), la fa da padrona e restate tristi, silenti e assorti, assisi al vostro posto, in attesa del ritorno dei genitori.
Quando dopo un’ora e mezzo, uno per volta, fanno il loro ingresso in cucina, i loro volti sono radiosi. Per nulla consci del dramma che avete appena subito, non hanno la più pallida idea dei pensieri, fugaci e incontrollabili che vi hanno colpito.
Non immaginano le visioni che voi avete visto dietro alle vostre palpebre socchiuse, dei loro corpi spiaccicati sul marciapiede, cinque piani più in basso, o del corpo di Paolino lanciato sui loro mucchi d’ossa rovinati da attenta tortura.
No. Sono ansiosi di raccontavi come, chissà perché, forse, anche la vostra presenza, abbia stimolato Paolino a farsi narrare una favola fino alla sua conclusione. Cosa mai accaduta prima.
 

- Ti immagini,- fa mamma,- prima arrivavamo alla dodicesima pagina e si addormentava. Oggi, dopo una così bella serata, ha voluto rimanere sveglio fino alla fine. E’ un grosso passo avanti, un’evoluzione. Chissà se domani vorrà farsi leggere di nuovo una fiaba fino alla fine?-

- Dev’essere una fiaba molto lunga.- Fate voi per sottolineare che sono assenti da ben 130 minuti. Ma l’appunto non viene colto. Anzi.

- No. E’ breve, sedici pagine. Ma noi non le leggiamo come tutti gli altri. Cerchiamo di interpretare i personaggi, di dar loro una voce. Poi, quando qualche frase è più complessa ci fermiamo per spiegargli le allegorie, le metafore, i significati simbolici. Sai bene che le fiabe hanno contenuti apologetici diversi a seconda del modulo di lettura utilizzato. Noi vogliamo che il linguaggio usato sia consono al suo livello di crescita e quindi...bla...bla...-

          La scusa della riunione dell’indomani o della relazione da fare, per la quale sarebbe opportuno documentarsi è nei confronti di questo tipo di persone un’ottima scusa per riuscire a svignarsela nel minor tempo possibile.
E se giunti in macchina vi fate la bottiglietta di brandy accompagnata da una birra e da quattro sigarette una in fila all’altra prima ancora di accendere il motore, non vi preoccupate.
Siamo solidali con voi.
          Anche una cena quindi può essere un presupposto al B.O.. Ma se siete persone normalmente equilibrate non avrete molto da temere. Alcune riunioni coi superiori possono essere molto peggio.

 

Vacanze con colleghi e figli (loro)


          C’è solo una cosa che, rispetto ai figli dei colleghi, può veramente distruggere una persona e mandarla fuori di testa: le vacanze con i colleghi e con i loro figli!
Se non vi è mai capitato, siete persone fortunate.
Già prima di partire le avvisaglie ci sono, ma difficilmente le potrete notare. Andando via con dei bambini è normale che ci si preoccupi dei luoghi, delle risorse, dei divertimenti eccetera. Ma quando oramai avrete dato il vostro assenso e non potrete più tirarvi indietro, cominciano i problemi.
Se avrete scelto un qualsiasi posto di tipo stanziale: campeggio o albergo, sicuramente non sarà adatto al ragazzino. O non c’è abbastanza animazione o ce n’è troppa; l’alimentazione non è equilibrata; il mare sporco e la sera c’è troppo rumore. Insomma se aveste optato per fare le ferie in un monastero a meditare sarebbe stato meglio.
Ma non è ancora il peggio. Se malauguratamente vi foste associati ad un viaggio itinerante, non avete scampo. Sarà una tortura.
Se pensavate di partire con la macchina carica solo della vostra roba, scordatevelo; la “loro” auto non sarà mai abbastanza capiente per contenere tutte le cose “assolutamente indispensabili e necessarie” per il bambino.  A seconda dell’età potrete trovarvi a caricare sulla vostra auto m3 di pannolini:

-Laggiù sicuramente non li troviamo-

Ttricicli, biciclette, filtri per l’acqua.

- Ma la compriamo in bottiglia.-

- Non importa. Magari ci sputano dentro all’imbottigliamento.-

Per continuare con decine di chili di carta igienica.

- Là la fanno ancora con il petrolio.-

 Omogeneizzati, pappine e pappette varie. Giocattoli di tutti i tipi, compresa la pista per automobiline che sviluppa tre Km di percorso.

- Non si sa mai. E se piove?-

- Ma come la monti. In tenda? E l’elettricità?-

- Non importa, va anche a pile.-

Quindi caricherete anche  pile, integratori vitaminici, un pronto soccorso che neanche la protezione civile possiede, maschere, pinne, scarponi da montagna, ramponi, piccozze, salvagenti, canotto, tavola da surf, corda da arrampicata.

- Ma non andiamo verso il mare?-

- Se si è itineranti, non si sa cosa si incontra. Meglio essere previdenti.-
Probabilmente sarete voi a dover rinunciare alla vostra attrezzatura fotografica, per far posto alla scatola delle costruzioni del pupo.
          Si narra nei circoli di categoria, di una vacanza in Turchia di un gruppo di educatori con al seguito una bambina di dieci anni. A quanto si racconta, ma non si sa se la storia è vera, tutto il gruppo dovette girare fino a notte fonda per il centro di Istanbul (che non è New York e nemmeno Torino), per trovare un ristorante che avesse gli spaghetti al ragù, in quanto la malefica ragazzina voleva gli spaghetti a tutti i costi e li voleva al ristorante.
Non si accontentava di quelli portati da casa e cotti sul fornellino.
 No, lei li voleva al ristorante, magari servita da un cameriere in costume locale. Li desiderava in maniera così morbosa che erano due giorni che non mangiava obbligando così il gruppo a raggiungere la capitale in fretta e furia, unico posto in cui ci fosse qualche possibilità di trovare l’agognato ristorante.
Non è dato di sapere come sia andata a finire la storia. Ovvero se la bambina è stata soffocata con 10 Kg. Di spaghetti scotti infilati in gola, se è stata annegata nel Bosforo, se è stata scambiata per due cammelli o se è tornata sana e salva a casa per raccontare alle sue amiche i trucchi del ricatto alimentare.
Rimane come notazione l’enorme rischio che si corre nel fare le vacanze con colleghi con prole al seguito.
Se poi ci andate con il fidanzato/a, non chiedetevi perchè al ritorno vi pianta preferendo a voi un bancario/a, o un idraulico/a. Oppure rimane con voi ma a due condizioni inderogabili: non farete mai  dei figli e alle ferie ci penserà lui/lei.

 

Vacanze con una collega


  Capita a tutti, prima o poi, di conoscere e frequentare una collega anche al di fuori del lavoro. E’ abbastanza normale. In genere si finisce per frequentare gli stessi ambienti, le stesse persone. Può quindi anche capitare che in un attimo di smarrimento del lume della ragione o più propriamente, non sapendo come organizzare altrimenti le vacanze, ci si trovi ad affrontarle con una collega.
 In linea di massima è la disperazione per non aver trovato nessun altro compagno in tempo, magari perché dovete prenderle a Maggio per via dei turni o perché i colleghi non hanno ancora deciso quando fare le  ferie e vi comunicano che cominceranno con un po’ di mutua.
Il risultato è che, vedendovi così depresso e demotivato, una collega vi propone di andare in vacanza con lei, o con loro.
          Ovviamente, a seconda del carattere della collega, potreste essere coinvolti in ordine di obbrobrio:
•     Vacanze di “volontariato”; normalmente in ambito affine al vostro lavoro quotidiano.
•     Vacanze “ecologiche” a ripulire qualche bosco o riattare qualche rudere.
 Scoprirete solo in seguito che il bosco è dello zio e il rudere del cognato della collega. Non vi preoccupate. Le cose vanno così. E poi d’altronde l’ha fatto solo per il vostro bene no?
• Viaggio ascetico-meditativo in qualche località orientale. Vi basterà controllare le vaccinazioni, procurarvi degli antidiarroici e fare testamento. Nella speranza di tornare.
•   Viaggio di avventura in gruppo. Ovviamente prima di partire non conoscete nessuno. E neanche al ritorno. Se vi sembrerà di essere la “buona azione del gruppo” non vi sbaglierete poi di molto. Il peggio che vi può capitare è di essere il capro espiatorio di tutti i guai che immancabilmente succederanno.
•     Viaggio con educatore con figli. Ma di questo ne abbiamo già parlato in un altro capitolo.

•     Voi due soli.

         Ci limiteremo a parlare di quest'ultimo in quanto a nostro avviso risulta essere il più pernicioso in assoluto.
          Ingenuamente avete pensato che, in fondo, partire solo voi due non sarebbe poi stata la soluzione peggiore.
D’altronde, se vi siete abbassati ad accettare questa ipotesi è perché non avevate nessun’altra possibilità.
Per cavalleria, per pigrizia,  nonché per non pregiudicare già dall’inizio la riuscita delle vacanze, lascerete a lei la scelta del luogo o dei luoghi e il tipo di sistemazione.
Data l’esiguità degli stipendi degli educatori siete praticamente sicuri che, se va bene, finirete in un campeggio greco, spagnolo o croato. Unici paesi non distantissimi nei quali l’Euro ha ancora qualche potere d’acquisto relativamente al vostro stipendio. Vada quindi per il campeggio.
 In fondo, pensate voi, l’importante è non andare da soli.
Il primo problema si presenta quando è ora di decidere come sistemarsi: una tenda o due?
Sicuramente con una tenda sola potreste risparmiare qualcosa, ma appena proponete questa ipotesi si apre la prima di innumerevoli battaglie.

-         E secondo te dovremo dormire insieme?-

-         Ho una tenda da quattro posti. – Dite sottolineando implicitamente che non sarete costretti a dormire appiccicati.-

-         Non è che ci vuoi provare?- Ribadisce incollerita.- Con me? –

    Quel “con me?” vi lascia molto perplessi. O è un esame di realtà molto ben fatto, quasi a dire “sarebbe una delle poche volte che qualcuno, non ubriaco o cieco, ci prova”, oppure è proprio una domanda con un sottofondo leggermente minaccioso: “se ci provi te lo taglio”.

- Se andiamo in vacanza insieme è perché sono buona.

    Voi la guardate dall’alto in basso, da destra a sinistra. Vi rendete conto che il rapporto è di circa 1:1 e decidete di mantenere le vostre precedenti conclusioni: provarci con lei non fa parte delle vostre perversioni e che se fosse solo per voi due l’umanità sarebbe già estinta.
Ovviamente non potete esprimere ad alta voce i vostri pensieri, sicuramente si offenderebbe e vi chiederebbe:

 - Perché. Cos’ho io che non va?-

E dato che un trattato di teratologia non sarebbe sufficiente a descriverla, vi limitate ad un composto:

 - Il rispetto che ho per te mi impedirebbe un qualsiasi approccio che non sia di affettuosità amicale.-

     Il che vuol dire che il “Buon Giorno” al mattino, quando la vedrete con gli occhi impastati, i bigodini in testa e una vestaglia a fiorami larghi un palmo, vi sforzerete di offrirglielo lo stesso.

 - Mi limitavo a considerare che con una tenda sola potremmo avere un risparmio forfettario di circa il 30%. Il che significa poterci permettere qualche cosa in più in termini di beni di consumo.- Cercate di mediare.

- E ora che mi ci fai pensare, mio cugino quest’anno si è fatto il camper, quindi non usa la tenda, la sua è un igloo famigliare, doppio abside con camere separate  e veranda centrale, facile da montare, pagheremo per una tenda ma sarà come dormire in due tende separate.-

Così rabbonita la tenda unica in multiproprietà passa l’esame.
Il luogo ovviamente, lo ha già scelto lei:

- Sai me lo ha raccomandato una mia amica che ci è andata con marito e figli, un paesino stupendo, ci sono tutti i servizi. I giochi per i bimbi, le serate con spettacoli di burattini, il cinema con i cartoni animati. Pensa, dice che nei bagni pubblici c’è anche il fasciatoio.-

    Voi pensate, sorridendo amabilmente, che siete due adulti e che il fasciatoio potrebbe essere messo anche nel confessionale della chiesa, per quello che vi riguarda, i burattini appesi a testa in giù ai lampioni della strada principale con le pellicole dei cartoni animati che fungono da corda. Ma sempre sorridendo vi limate ad un:

 - D’accordo ma tu che ne pensi, non sarebbe più interessante fare una vacanza itinerante? Mi spiego. Potremmo fermarci qualche giorno in quel paesino e poi spostarci, cercare un altro campeggio, visitare altri luoghi...-

- Ah no!- Vi interrompe.- Non ci penso nemmeno di montare e smontare la tenda ogni due o tre giorni, caricare e scaricare la macchina e cercare un campeggio decente. E magari finire in un buco di culo dove non c’è niente di carino. Non se ne parla neanche. Ho solo un mese di ferie e vorrei godermelo in santa pace. Mica penserai di andare in uno di quei posti pieno di ragazzini, con le discoteche, i negozietti e i locali notturni? No?-

Voi che ingenuamente avevate pensato proprio ad un posto del genere, nella remota possibilità che qualche ragazza nordica, precoce, libertina e un po’ miope avrebbe eventualmente accettato la vostra compagnia, vi rassegnate a passare un intero mese in una specie di kindergarten con una pia illusione che vi vagola nei meandri del cervello. Che qualche mammina solitaria, una volta sistemato il pupo in qualche attività “ludico ricreativa ad alto contenuto educativo” si lasci stupire, commuovere, affascinare, erotizzare, intenerire, impietosire dalla vostra solinga presenza e vi rivolga la parola.

- No no, figurati. Per meglio comprendere la cultura di un paese è meglio starci per un po’. Se si gira troppo si perdono i particolari.- Dite anche se non con troppa convinzione.

- Certo, e in più potresti portarti da dipingere. Mi ha detto la mia amica che ci sono due scogli sulla spiaggia che hanno dei colori bellissimi.-

Il fatto che voi non sappiate tenere un pennello in mano non la scalfisce nemmeno. L’immagine aulica di vedervi dietro un cavalletto con un basco in testa, una camicia bianca chiazzata di colori e un foulard al collo mentre dipingete un pezzo di roccia, con lei, assisa ai vostri piedi, che si lascia cullare dalla brezza marina tenendo leggiadramente fermo sul capo un cappellino di paglia a tesa larga con una manina l'ha commossa. E mentre l’occhio le si inumidisce vi dice con voce suadente:

- Vedrai. Saranno vacanze tranquille ma bellissime. Finalmente potremo toglierci dal casino e fare un po’ di sana vita nella natura. Una sana colazione al mattino, senza fretta, un giro in spiaggia, un pranzo leggero, un riposino, la merenda, spiaggia, doccia, cena, passeggiata in paese e gelato. E che belle dormite. In un mese saremo come nuovi.-

Il calcolo delle calorie giornaliere che avete fatto mentalmente mentre vi indicava i pasti principali, spuntini esclusi, si aggira sulle 7000 Cal/die. In un mese sarete sicuramente nuovi.
 Nuovi obesi...
          Nella speranza di poter, almeno in loco, modificare la routine giornaliera con qualche escamotage o qualche golpe, cominciate a preoccuparvi dell’organizzazione pratica.
La tenda la mettete voi. La macchina anche.
 Guarda caso lei viaggia ancora con un vecchio catorcio che ha bisogno di un cambio d’olio ogni 100 Km. Il tavolino lei non lo possiede perché è sempre andata con altri che ce l’avevano. Ma le minuscole e consunte sedie del vostro kit, non reggerebbero certo il suo peso. Dovrete quindi sobbarcarvi l’acquisto di un tavolo e di due sedie capienti. Il fornellino e la batteria da cucina sono anni che vi seguono fedelmente ma neanche loro vanno bene.

- E quello sarebbe un fornello? Scusa ma quello va bene si e no per fare il caffè. Per campeggiare bene ci vuole almeno un 3 fuochi con mobiletto, se no dove metti la roba? E anche le pentole. Piuttosto prendi quelle di casa tua. Ma antiaderenti mi raccomando. Altrimenti come facciamo a cucinare il pesce comprato al porticciolo, davanti ai pescherecci? Non trovi?-

“Pescherecci che sono anni che non si muovono da li, mentre il pesce viene scaricato dai camion frigoriferi che arrivano dal Baltico” pensate.

- E poi,- continua lei,- occorre una veranda o un tadzebao con un tavolino di servizio o uno scaffale per gli alimentari no?-

Forse intendeva gazebo, ma fa lo stesso. L’importante è capirsi.
          Insomma dopo aver rinnovato completamente la vostra attrezzatura da campeggio e averla adeguata a quella necessaria ad una famiglia di 6 persone, siete quasi pronti a partire.
 Avete caricato la macchina con logica, pensando che non dovendo lei portare altro che gli effetti personali, lo spazio sia sufficiente.   Sbagliato.

          Quando vi presentate al suo uscio, in perfetto orario, con il classico:

- La macchina è qui sotto in seconda fila, se prendi il tuo zaino...-

    Le parole vi si strozzano in gola, mandandovi di traverso la colazione e il doppio zabaione che vi siete fatto in previsione della giornata. Lei è in accappatoio, con i capelli bagnati. Ai suoi piedi, nell’ingresso, un’interminabile serie di valigie, borsoni, borse, zaini e sacchetti vi attende.

- Un attimo e sono pronta. Il tempo di asciugarmi, farmi la ceretta e truccarmi e poi ci sono.-

    E mentre voi spostate la macchina prima che passi il carro attrezzi e ve la porti via, andate a comprare le sigarette, anche se in macchina non potrete fumare, leggete mezzo giornale al bar tirandovi giù due grappini per tirarvi su il morale, nell’appartamento della vostra collega sta avvenendo una sciagura biblica.
Quando dopo un paio d’ore suonate nuovamente al suo campanello, la scena che vi appare agli occhi è campale.
Bermuda stile Hawaii sotto il ginocchio (per fortuna), camicia a righe tipo pigiama del nonno, azzurre e marroni a maniche corte, collana di conchiglie al collo, orecchini di finto corallo e madreperla da 3 etti ciascuno e capelli arricciati al ferro.

- “Cosi fa più giovane”.-

Ai piedi sandali a zeppa alti 20 cm. Le valigie sono aumentate.

 - Mi sono ricordata che una volta alla settimana in paese danno una piccola festicciola.  Mica posso andarci con la roba che metto in campeggio no?-

- No certo,- fate voi sempre più increduli,- però non so se ci sta tutto sulla macchina...-

- Sai mi sono sempre chiesta perché non l’hai ancora cambiata,- fa lei,- vivi solo, non hai figli, non hai grosse spese, potresti comprarti una station wagon.-

“Anche tu” pensate voi, “guadagni quanto me”, ma lasciate stare e dite diplomaticamente:

- Prima o poi farò anche quello ma ho avuto altre spese, sai com’è.-

- Si si, me lo immagino. Sempre uguali voi maschi.-

“Non ti immagini un bel cazzo di niente, brutta stronza.”  Pensate, sempre sorridendo.

- O.K. Che ne dici di partire?- Fate in tono conciliante.

- Va bene, va bene, ma non facciamoci fretta. Siamo in vacanza no? Se vuoi cominciare a portare giù la roba io faccio le ultime telefonate, chiudo casa e ti raggiungo.-

- Le ultime telefonate?- Voi increduli, mentre un ceruleo colore vi si affaccia sul volto e i grappini fanno a cazzotti con lo zabaione nel vostro stomaco.

- Vorrai mica che parta senza lasciare un recapito a qualcuno no? E chi mi bagna le piante? E poi devo salutare qualche amica. Bisogna organizzarsi.-

- Si ma... Va bene. Vado a prendere la macchina e la carico.-

          Per fare stare tutta la sua roba dovete svuotare la macchina, tirare giù i sedili posteriori e incastrare millimetricamente ogni collo. Quando avete finito il retro della vostra auto sembra un camion di traslochi. La marmitta si avvicina pericolosamente a terra ed è il terzo vigile urbano che passando (di li non passano mai visto il tappeto di siringhe che orna l’asfalto), vi chiede se siete sicuri di non superare il carico massimo ammesso.
Quando avete terminato lo stivaggio e l’unico vostro desiderio sarebbe quello di buttarvi sotto una doccia tiepida, seguita da un birra fresca, dalla vostra ex fidanzata calda e da un riposino di almeno quattro ore, ella scende, nel suo splendore, finalmente, dopo più di tre ore, pronta a partire, con ancora due borse nelle mani.
Per farle stare dovrete spostare di due tacche in avanti il sedile dell’autista e vi troverete a guidare con il volante sotto il naso e le ginocchia sotto il mento.
Ma finalmente potete partire. Ma non avete ancora acceso la macchina che:

 - Scusa un attimo. Non sono sicura di aver staccato il boiler. Vado a controllare.-

Dopo un quarto d’ora torna.

- Tutto a posto ma c’era un messaggio in segreteria. Non potevo non rispondere.-

- Vabbè. Mo partiamo? O No?-

- Certo certo, non ti innervosire. Che strada facciamo?-

- Come che strada prendiamo. Facciamo lo svincolo, ci infiliamo sulla tangenziale, imbocchiamo l’autostrada e ci mangiamo un po’ di chilometri.-

- Ma come. Siamo in vacanza, non abbiamo niente da fare se non goderci le giornate e tu vuoi farmi viaggiare in autostrada dove non si vede niente, solo asfalto e macchine. E poi è più pericolosa. Ma non la vedi tu la TV? Ci sono sempre incidenti mortali. Facciamo la statale, cosi ci vediamo il panorama, i paesini e possiamo fermarci quando vogliamo.-

- Si ma è già mezzogiorno. Non arriveremo mai a destinazione.-

- Al massimo arriveremo domani mattina. Posso sempre darti il cambio alla guida.-

“Col cavolo che ti lascio guidare la mia macchina” pensate in silenzio” non sarà un gioiello ma è l’unico che ho”.
E intanto vi immettete nel traffico cittadino in cerca della statale che vi porti verso la destinazione designata.

          Buone vacanze!

 

I CAPI


          Per un educatore parlare dei capi equivale normalmente a farsi venire in ordine di importanza:

•     un attacco di vomito

•     una crisi intestinale (caghetta)

•     una recrudescenza dell’ulcera

•     la sicurezza di una litigata in famiglia.

•     un collasso

          Parlare con i capi invece crea meno problemi. A parte il normale senso di nausea provato, la consapevolezza dell’ineluttabilità e dell’inutilità della cosa riescono normalmente a contenere la sintomatologia psicosomatica a dei livelli accettabili. A questo si aggiunga l’esperienza e la capacità  di ogni educatore a far fronte alle situazioni più drammatiche mantenendo il sangue freddo e possibilmente la lingua a posto.
 Non ce ne vogliano le colleghe, per le quali sarebbe leggermente antiestetico, ma è quello che normalmente viene chiamato “pelo sullo stomaco”.
Dalla nostra indagine abbiamo rilevato come il rapporto con i superiori sia quasi sempre di tipo conflittuale. Questo per quanto riguarda gli educatori seri, ovviamente. Per i lecchini o gli arrivisti rimandiamo ad altri capitoli.
Di capi, come tutti sappiamo ce ne sono di diversi tipi. Proveremo di seguito ad elencare le specificità di ogni gruppo caratteriale. E’ però necessaria una prima distinzione in tre fasce distinte di ruolo e conseguentemente di potere:

 

1. Il capetto:

          Normalmente è il gradino superiore a quello dell’educatore. In genere coordina l’attività di un gruppo, fa da tramite con le alte sfere politiche e amministrative, dovrebbe gestire l’organizzazione della quotidianità e la progettazione degli interventi.

 2. Il boss:

          E’ il superiore del capetto. Non è operativo, nel senso che difficilmente si confronta con l’utenza o con il quotidiano dei servizi. In compenso frequenta tutte le riunioni politiche o amministrative ad alto livello per poi scodellare ai sottoposti “linee guida”, “priorità di intervento” e amenità del genere.

3. Il dirigente:

          Sia che lavori nel pubblico che nel privato il dirigente lo si riconosce subito. Non parla, emana! Non discute, ordina!
Il suo normale interesse non è che le cose funzionino ma che non ci siano casini.
          Questo in generale. Dato però che questo studio vuole dare delle risposte più concrete cercheremo di analizzare ulteriormente le varie sottospecie di superiori.
          Partiamo quindi da quelli più vicini a noi educatori:

 I capetti


I carrieristi di professione.


          Questi capi (o se preferite coordinatori), sono coloro i quali non hanno la benché minima idea di cosa sarebbero tenuti a fare. Il loro interesse primario è il potere. Il loro periodo come capetti è solo un passaggio verso mete più elevate. Il loro scopo è andare oltre, varcare i confini della dipendenza e rendersi decisori di tutto. Il fatto che non comprendano una mazza dei servizi, del lavoro educativo, del valore sociale di un intervento non li sfiora nemmeno. Per loro l’importante è emergere.
 Non solo si venderebbero a chiunque abbia una qualsiasi possibilità di farli salire più in alto; schiacceranno chiunque provi a mettergli i bastoni in mezzo alle ruote.
Sono le persone che fanno fare progetti megagalattici agli educatori per poi appropriarsene e firmarli per poterli vendere come propri. Se poi non funzionano la colpa sarà degli operatori, dei sottoposti. Accamperanno il fatto che non hanno abbastanza potere decisionale.
Avere un capetto così è un ottimo preludio al B.O.. Se progettate va bene, ma l’idea sarà ovviamente loro. Se eseguite siete fottuti, non hanno molte idee e quelle poche le hanno confuse. Se cercate di essere indipendenti sarete boicottati. Se poi qualcuno più in alto del vostro capetto ha qualche balzana idea rivoluzionaria e se questa può servire a fare carriera, state tranquilli, in una maniera o nell’altra vi verrà imposta.
Questi personaggi normalmente non restano nello stesso posto a lungo. Essendo il loro scopo la carriera faranno di tutto per andare oltre, per fare il gradino successivo.
Nel pubblico faranno tutti i concorsi interni che possano cambiargli il livello, nel privato mireranno a qualche ruolo dirigenziale.
E’ normale e non bisogna sentirsi in colpa se a costoro si augura una carriera veloce e progressiva; spesso è l’unico sistema per toglierseli dai piedi e poter ricominciare a lavorare serenamente. C’è un unico rischio: che aumentino di grado rimanendo nello stesso posto di lavoro. In questo caso l’unica soluzione (legale), e chiedere un trasferimento immediato o trasferirsi ai tropici.


Gli ex educatori.


          Buona razza anche questa. Se sono sufficientemente intelligenti cercheranno di andare a fare i capetti da qualche altra parte. Se invece rimangono nello stesso servizio, qualcosa non funziona. Probabilmente nel loro cervello, ma noi non possiamo certo dirlo apertamente.
Anche se ognuno di costoro ha le sue peculiarità psicopatologiche possiamo distinguerne due tipi in genere: quello che vuole fuggire da un servizio, dal contatto con l’utenza, dai colleghi e pensa che un minimo di avanzamento possa risolvere i suoi problemi e quelli che invece, presi da furore sacro, sono convinti che occupando un posto di maggior potere possano modificare il mondo.
          In entrambi i casi ci troviamo di fronte a persone che “vivono” il ruolo; per loro non esistono orari, rapporti sindacali, lavorativi.
Mentre i primi, i fuggitivi, cercheranno di ottenere consensi utilizzando le solite modalità del genere: “eravamo amici, colleghi”; “quante cose abbiamo fatto insieme” eccetera, i secondi invece opereranno, magari con qualche cognizione di causa, sull’organizzazione dei servizi, cercando ovviamente di imporre, ora che hanno il potere, quello che hanno sempre cercato di fare in precedenza, quando erano educatori, quando magari il gruppo di lavoro li ha segati. In altre parole hanno spesso un atteggiamento di tipo vendicativo: “non me lo avete fato fare quando ero come voi e adesso lo fate perché io l’ho deciso.”
Come già detto l’unica speranza è che cambino luogo di lavoro. Avere un ex collega come capo deve essere una cosa terrificante, da esaurimento nervoso. Altro che B.O. qui si parla di nevrosi allo stato puro.

 

Gli emigranti.


          Sono quelle persone che stufe del loro lavoro in un altro ambito pensano che entrando a far parte del mondo dell’educazione e dell’assistenza possano trovare uno scopo alla loro vita, se non altro a quella lavorativa.
Da un punto di vista statistico nel pubblico sono quelli che cercano un avanzamento di carriera cambiando assessorato tramite concorsi interni. Nel privato sono coloro i quali cercano posti più elevati in altre cooperative o associazioni, oppure se ne inventano di nuove.
In entrambi i casi comunque si possono considerare più vittime che aguzzini. Nel senso che non sanno quello che fanno; e quando lo scoprono ormai è troppo tardi e si trovano nella merda fino al collo.
In questi casi molto dipende dall’individualità del singolo soggetto. C’è la persona che spaventata dal casino del comparto educativo assistenziale cerca di uscirne al più presto, sia facendo ulteriore carriera sia cercando qualche miliardario/a che possa mantenerli. Altri invece si lasciano prendere dal gioco e ci si perdono. Faranno di tutto per riuscire a svolgere al meglio il proprio ruolo cercando di allearsi ai sottoposti ma anche ai superiori.
Sono quei poverini che si ritrovano alla fine fra l’incudine e il martello. Si beccano le responsabilità delle quali vengono giustamente investiti dagli educatori (se guadagnano di più qualche responsabilità dovranno pur prendersela), dall’altra vengono delegati alla soluzione di tutti i problemi gestionali dai “loro” superiori i quali ovviamente hanno di meglio e di più importante da fare.
Insomma per costoro una mezza assoluzione: non sapevano a cosa andavano incontro. Ma anche un consiglio: è meglio informarsi prima di quella che è la realtà e non basarsi solo sul cambiamento o carriera qualsiasi.

 

I missionari.


          Dalle nostre statistiche non si riesce a capire compiutamente se sono più pericolosi questi o gli ex educatori arrivisti. I punti in comune sono molti ma c’è una sottile differenza. I missionari non ricercano il potere per il piacere di esercitarlo. Lo bramano perché avendolo possono condizionare (o almeno ci vorrebbero provare), lo stato delle cose e modificarlo secondo le loro certezze.
Da un punto di vista filosofico il problema può essere inquadrato anche in questi termini: ognuno di loro ha una propria visione del mondo, dell’assistenza e dell’educazione e in quanto tendenzialmente integralisti sono convinti che la loro idea è l’unica “oggettivamente giusta”.
Pur essendo gli autori estremamente liberali (e libertini), e disponibili a vivere in una società multiculturale si domandano, come ipotesi di fantasia, cosa sarebbe il ramo socio assistenziale educativo se  i vari capetti sparsi per i vari servizi dovessero essere tutti di questo genere.
Provate a immaginare un quartiere in cui il coordinatore sia un cattolico convinto: centri diurni per minori e handicappati con messa mattutina e vespri serali, mense del digiuno, preghiere ovunque e magari soggiorni estivi a Lourdes. Se poi invece il nostro capetto fosse di fede islamica oltre alle cinque preghiere quotidiane non si potrebbe neanche più farsi un panino al prosciutto con un sano bicchiere di barbera.
Certo non è solo un problema di religione, anche un coordinatore svisceratamente comunista potrebbe creare dei problemi. A parte l’alza bandiera e il tai chi quotidiano, chi sopporterebbe di cantare “bandiera rossa “ ad ogni piè sospinto? Come spiegare loro che con il nostro stipendio da fame facciamo anche noi parte del proletariato urbano?
Non parliamo poi della sfiga di avere un capo di destra (il termine fascista non si può più usare), sarebbe come dire il massimo dell’incongruenza. Riapertura dei manicomi, scuole speciali, eutanasia... da brivido.
Meglio tralasciare e lasciare al lettore la propria interpretazione; in fondo questa è solo una provocazione.
Ribadiamo comunque come i coordinatori spinti da un impeto missionario siano estremamente pericolosi per il B.O. di un educatore. Nel migliore dei casi se anche voi pensaste che un certa azione non sia del tutto legittima o che  perlomeno non vi sia equamente riconosciuta e/o retribuita, saranno loro i primi a farvi venire dei sensi di colpa grandi quanto il prelievo fiscale che mensilmente vi viene sottratto dalla busta paga. Il che è tutto dire!

 

I boss


          Anche in questo caso, cosi come per i capetti, possiamo distinguere i boss in alcune categorie principali. E’ però necessario in primo luogo qualificare la figura in senso lato.
Generalmente sono più affezionati all’immagine che al ruolo, nel senso che quello che per loro importa non è tanto quello che fanno ma la visibilità che hanno. Che siano presidenti di cooperative, responsabili di istituti, di servizi o quantaltro l’importante per loro è apparire. Sono sempre adeguatamente abbigliati, con quella sobrietà professionistica  e professionale che li distingue dalle altre figure. Portano con sé una sorta di alterigia che anche se spesso non suffragata da effettive capacità e competenze tecniche, mostrano con un malcelato orgoglio e una condiscendenza a volte ostica per chi deve eseguire gli ordini.

 

I carrieristi


          Vale quanto detto per i capetti. Sono anche qui di passaggio. L’importante non è quello che si fa ma il ruolo che si ricopre.  Se poi si trova di meglio si fa in fretta ad andarsene lasciando le cose così come stanno; magari nella merda.
Dagli educatori pretendono il massimo in termini di pubblicità, di visibilità. Non fanno molto sul campo delle idee e della progettazione anche perché forse di idee ne hanno poche e confuse. In compenso sono molto bravi a giocare con i politici proponendo progetti da altri elaborati ma senza poi seguirli.
Per loro gli educatori non esistono né come persone né come professionisti; sono semplicemente uno strumento da utilizzare per avanzare nella scalata ai vertici dell’organizzazione.
I capetti o i coordinatori sono il loro strumento preferito: a loro delegano le responsabilità degli insuccessi mantenendo per sé il merito delle iniziative funzionanti.
Saranno loro ad aver avuto l’idea della mostra mercato, della festa di quartiere, dell’assemblea territoriale, ma non li vedrete mai sporchi di polvere a preparare cartelloni o luci o scenografie.
Se vi va bene li troverete con un bicchiere in mano a parlare coi politici all’inaugurazione, salvo poi cazziarvi perché avete fatto troppo straordinario.

 

Gli emigranti


          Anche per questa categoria vale quanto detto per i capetti. Non capiscono un cazzo di quello che dovrebbero andare a fare ma ne hanno i titoli e quindi ci provano. Chi paga siamo noi e l’utenza. Così va il mondo.
          Provate a spiegare che se uno scontrino manca è perché il ragazzino (quel figlio di...), lo avete mandato da solo a comprarsi la pizza. Educatività, responsabilizzazione, a loro poco frega:

 - A fronte della circolare N° XXX del XXX risulta comunque un ammanco di cassa. Non è certo così che si gestisce un servizio.-

- Mica potevo mandarlo a scuola senza merenda no? -

-  Ci sono delle regole a rispettare! -

- Certo d’accordo ma in certi casi, forse un po’ di elasticità.. -

-  E’ una questione di procedure. Non vorrei che la mia richiesta di trasferimento venga annullata per queste stupidaggini-

          E via di questo passo. Della serie che chi emigra e ha tutto il diritto di farlo, dovrebbe se non altro prima informarsi su quella che è la realtà dei servizi alla persona; soprattutto in situazioni di rischio e di disagio. Se poi un educatore si incazza e comincia a sbattere i pugni sul tavolo ovviamente è perché e troppo fragile e non regge il lavoro.

 

I missionari


          Sono senza ombra di dubbio i più pericolosi in assoluto. Non ci tengono molto alla carriera nel senso che era proprio lì che volevano arrivare. Non si vedono dietro una scrivania alle prese solo con atti di tipo amministrativo burocratico. Loro vogliono continuare a sentirsi partecipi del cambiamento epocale dei servizi e delle strutture, ovviamente da loro stessi gestiti. Sono coloro i quali ricevono spesso e volentieri l’utenza e presi dal loro solito sacro furore promettono mari e monti in funzione di un “diritto inalienabile”. In altre parole sono quelli che vi sbattono un utente in un servizio anche se non è quello adatto a lui. Quelli che anche se il vostro centro o la vostra comunità  sono ormai sature di utenti, ve ne inseriranno altri. E se vi lamentate che il personale non è sufficiente neanche per gestire le normali attività giornaliere vi risponderanno che il risolvere i bisogni degli utenti (poverini), è prioritario rispetto a delle semplici e bieche problematiche aziendali. Insomma basterebbe metterci un po’ più di impegno, di disponibilità e di comprensione.
Mitiche fra queste figure sono quelli che arrivano in ritardo alle riunioni perché erano da altre parti, ad altre riunioni importantissime, ma che si incazzano se ad una certa ora voi cercate di andarvene perché vostro figlio è più di mezz’ora che vi aspetta davanti a scuola. Loro non hanno ancora finito di dire tutto ciò per cui hanno fatto l’incredibile sforzo di essere presenti. Se poi cercate di affermare che le ore di attesa del loro arrivo comunque ve le segnate, verrete ovviamente rimproverati. ”Rubare così delle ore”. Insomma non si fa, potevate andare a farvi un giro. Inutile dire che voi la riunione l’avete fatta lo stesso e avete affrontato altri problemi. Se non ci sono loro, le discussioni hanno poco o nulla valore.
          Una prerogativa di questi capi però è quella di non esserci quasi mai. Hanno sempre di meglio, scusate, di più importante da fare.
          Saranno sicuramente felici però di partecipare ad ogni iniziativa pubblica che voi organizzerete. Ovviamente non vi daranno nessuna mano per prepararla, arriveranno in ritardo e con fare condiscendente e magari una pacca sulla spalla vi faranno notare che i festoni non sono proprio attaccati alla perfezione, che i dolci non sono di prima qualità o altre cose del genere.
E’ chiaro che il primo pensiero di un educatore e di mandarli a quel paese ma come sappiamo non solo non è consigliabile ma può essere controproducente per il vostro lavoro e per la vostra persona.
Infatti uno degli aspetti peculiari dei boss missionari è la capacità vendicativa. Non dimenticano nulla. Se per caso in sede di riunione avete avuto l’ardire di non essere pienamente d’accordo con loro o addirittura vi siete permessi di contraddirli, siete finiti. Fregati. Kaputt. Qualsiasi iniziativa che vi possa venire in mente, qualsiasi idea, progetto, vi verrà bocciato. Non tanto perché non valido ma perché l’avete espresso voi.
Insomma hanno bisogno di sentirsi coccolati, viziati, garantiti. Necessitano che la loro “missione” venga riconosciuta con la giusta importanza e valore.
Quindi a voi non resta che tacere, ascoltare, eventualmente eseguire e ingoiare la bile e gli insulti che spontaneamente fanno capolino fra laringe e faringe. Questo vi creerà qualche problema di digestione e di capacità linguistica; se vi trovate a balbettare non vi preoccupate è abbastanza normale. Probabilmente ci sarà una componente inconscia che in qualche maniera vi impedisce di esordire con un sonoro:

- Ma va ‘ffa ‘n culo!!!-.

    Se poi tornando a casa in auto suonate a dismisura il clacson per ogni coglione che non scatta immantinemente al verde e se pensate a quanti punti vale se prendete sotto la vecchietta daltonica che confonde il giallo con il verde o la donna incinta con carrozzina e pupo, siete semplicemente in B.O.

 

I dirigenti


          Anche per i dirigenti vale quanto detto per i boss. Con una differenza sostanziale: questi ultimi in genere si occupano solo degli aspetti burocratici e amministrativi dei servizi, siano essi cooperative, servizi sociali, scuole, istituti eccetera.
          Normalmente sono abbastanza colti, come minimo sono laureati; magari non sono molto aggiornati in quanto sono già di una certa età e quasi nessuno ha ripreso in mano un libro. In compenso hanno un’incredibile capacità mnemonica nel ricordare tutto ciò che la burocrazia può inventare per rendere il lavoro di chi deve essere operativo il più complicato e sgradevole possibile. Sono i geni malefici dei cavilli legali e formali. La loro specialità è quella di dare un colpo alla botte e uno al cerchio nel senso che sono loro che devono formalizzare e far applicare le decisioni dei politici, ma ovviamente avendo dalla loro la competenza giuridica alla fine sono loro che decidono. Se poi le proposte arrivano dal basso sono sempre loro ad avere l’ultima parola.
          In altri termini potremmo definirli l’ago della bilancia di qualsiasi servizio.
Adorano circondarsi di circolari, leggi, decreti, lettere e materiale cartaceo vario, nonché di segretarie. Parlano solo con i boss e sono praticamente irraggiungibili dagli operatori o dall’utenza. I primi devono seguire la normale scala gerarchica i secondi vengono prontamente dirottati ai politici.
Insomma il potere reale è nelle loro mani.
Per quanto riguarda gli educatori e il B.O. i dirigenti sono figure mitiche, distanti, irraggiungibili.  Come causa di stress spesso non sono direttamente coinvolti in quanto usano gli altri.
Avete un progetto di qualsiasi tipo? Bhè prima dovrà passare al capetto, poi al boss, quindi magari ad un politico il quale a sua volta lo darà al dirigente per poterlo rendere esecutivo. A seconda del giorno, dell’umore dei dolori prostratici o della menopausa il dirigente potrà accettarlo o trovargli qualche strano vizio di forma, o carenze di fondi o qualsiasi altra cosa vi venga in mente ma che possa impedire l’approvazione della vostra idea.
Ovviamente loro non ne hanno la responsabilità, si limitano ad eseguire quelle che sono le loro mansioni, ovvero accertare che tutto sia burocraticamente perfetto.
Si narra di un dirigente di circoscrizione che ha bocciato dei progetti in quanto nelle lettere di presentazione degli stessi gli indirizzi dei destinatari non erano posti in corretto ordine di importanza.
Si narra inoltre di un dirigente di cooperativa che pur di non perdere una commessa per dei soggiorni marini per handicappati, essendo in scarsità di personale, abbia arruolato buona parte della sua parentela facendola arrivare dal paese con la promessa di una vacanza gratis in una nota località turistica e facendoli passare come volontari.
Meraviglie dell’impossibile.
Per amore di correttezza bisogna anche dire che i dirigenti pur non essendo degli stinchi di santo e neppure adatti per essere cotti al forno, sono anche utilizzati spesso come capro espiatorio.
Il boss si è scordato (o non ha voluto), portare avanti un vostro progetto? Bene la colpa è del dirigente che non lo ha neanche letto, non voleva utilizzare i fondi e roba del genere.
 Comunque per noi educatori anche i dirigenti sono una buona fonte di stress anche se non così palese. Sono un po’ il destino, il fato, degli dei. Li si può bestemmiare, maledire, ma non c’è grosso contatto. Si può sempre sperare nella pensione anticipata (la loro, per noi non c’è scampo), e nella sostituzione con qualcuno più illuminato. La speranza è l’ultima a morire.
 La nostra si è suicidata qualche tempo fa.

 

LE CAUSE GLI EFFETTI COME COMBATTERE IL B.O. CONCLUSIONI

GLI EFFETTI

          Ci occuperemo in questo capitolo degli effetti che lo stress e il B.O. hanno sugli educatori e sulla loro vita. Anche in questo caso abbiamo deciso di suddividerli in temi più ampi in modo da dare una visione il più possibile esaustiva dell'argomento.
          Se ne sconsiglia la lettura ai colleghi con tendenze all'ipocondria.

VITA PROFESSIONALE

Demotivazione


           Uno degli effetti principali che un educatore può subire in seguito ad un prolungato periodo di stress o di B.O. è sicuramente la demotivazione al lavoro.
          Vogliamo però in questa sede, distinguere tra quella che è la demotivazione dovuta allo stress, che può essere risolta eliminando le cause dello stress stesso, da quella dovuta al B.O., cronica, per la soluzione della quale sono necessarie misure più drastiche (es. cambiare vita).

 Demotivazione da stress


          In questo caso la causa scatenante è uno stress. Esso può essere di vario tipo: il collega rompiballe, problemi in famiglia, utenza non rispondente, eccetera.
Normalmente, quando tutto va bene, si potrebbe risolvere con un congruo periodo di mutua o di ferie, magari in località esotiche, o eliminando la causa scatenante.
Purtroppo però non sempre le cause sono eliminabili: non possiamo uccidere il collega, il capo o l'utente. E neanche andare a lavorare quando i servizi sono chiusi perché non si sopporta più il gruppo.
Vediamo comunque quali sono i principali sintomi della demotivazione da stress, sul come superarla ne parleremo in un altro capitolo.
La prima cosa che si evince dalle interviste è che in questi casi il problema, come il sole, nasce al mattino.
Vi svegliate, sempre ammesso che abbiate dormito, già di malumore, leggermente incazzosi. Si rallentano i ritmi, nel senso che cercate di stare in casa fino all'ultimo minuto possibile. Infatti uno dei sintomi di demotivazione da stress visibili dall'esterno, sono i frequenti ritardi di chi ne è affetto.
Al lavoro quindi arrivate già incazzati e magari con un po’ di senso di colpa perché il collega ha dovuto coprire l'assenza.
Manca la voglia di essere propositivi:

-  Cosa facciamo oggi? Giardinaggio, bricolage, potremmo uscire...-

- Bho? Fate come volete. Ditemi quel che devo fare.-

- Veramente ci sarebbe anche da andare alla riunione.-

- E a discutere di che?-

- Del progetto che hai presentato sei mesi fa.

-  Già e arrivano adesso a discuterne?-

- Meglio tardi che mai no?-

- A sissi vabbè se è necessario ci vado.-

- Ma era un tuo progetto, ci tenevi così tanto.-

- Bhè. Se vuoi te lo regalo.-

Spesso si è anche troppo reattivi o permalosi:

- Ehi! Non hai visto che Paolino sta distruggendo quel coso?-

- Si e allora?-

- E perché non sei intervenuto?-

- E lascialo fare. Tanto è così tutti i giorni.-

- Ma se seguito non fa proprio così.-

- COSA  CAZZO VORRESTI DIRE. CHE NON FACCIO IL MIO LAVORO? VA BENE SARO' ARRIVATO LEGGERMENTE IN RITARDO MA STO SCRIVENDO ANCHE LA RELAZIONE CHE NESSUNO HA ANCORA FATTO! E SE NON TI VA GUARDATELO TU IL TUO PAOLINO.

    E via di questo passo. Il problema in questi casi è che nei gruppi di lavoro, i colleghi si rendono conto di questo stato di cose e cercano di darvi una mano. Il guaio è che se voi siete già depressi e avreste voluto essere rimasti sotto le coperte, ma essendoci di fianco vostra moglie/marito, il male minore era andare a lavorare, arriva la collega a chiedervi:

- Cosa c'è che non va? Posso darti una mano?-

 Se la mandate a cagare siete giustificati.
Se poi è proprio il lavoro in quel momento che non vi va giù per un qualsiasi motivo potete stare certi che i colleghi cercheranno immancabilmente di coivolgervi il più possibile, nel maggior numero possibile di attività lavorative.
Magari voi nella vostra ingenuità e grazie a quel poco di senso del dovere che vi rimane avreste preferito mettere a posto l'archivio, non toccato da nessuno da almeno tre anni, oppure riorganizzare il magazzino, anche fare qualche pulizia. Invece no! Sarete costretti a partecipare a:

•     una riunione di gruppo della quale non ve ne frega un cazzo;

•      un colloquio con una famiglia per la quale in quel momento pensate che l'unica soluzione sia il gas;

•      una festa in quartiere;

•      e ciliegina sulla torta, una cena fra colleghi per una chiacchierata amichevole;

 Il tutto ovviamente per il vostro bene.
          Il massimo della sfiga lo raggiungete quando lo stress è dovuto ad un collega, il motivo non è importante. E' che in quel momento proprio non vi va giù. Qualsiasi cosa faccia la vedete in negativo quindi cercate di evitarlo il più possibile. Ebbene sarà sicuramente lui il primo a cercare di "riportarvi alla normalità". Sarà sollecito, onnipresente. Insomma non vi lascerà in pace neanche un attimo. Ovviamente le maledizioni che gli lanciate non funzionano cosi come sono ininfluenti i vostri tentativi di evasione.
 Il tragico è che non potete neanche dirgli che è proprio lui la causa del vostro malessere, se la prenderebbe a male e la paghereste fino alla pensione o fino al trasferimento di uno dei due.

         Demotivazione da B.O.


          Qui il discorso si fa più duro. Se nella demotivazione da stress  il recupero è relativamente possibile, nella demotivazione da B.O. si è di fronte ad una cronicità grave.
Anche la sintomatologia risulta essere di gravità maggiore. L'insonnia è all'ordine del giorno, pardon, della notte. Non riuscite ad addormentarvi perché nel vostro cervello una sola frase riesce a giungere alla vostra coscienza: DOMANI DEVI ANDARE A LAVORARE!!!
Al mattino non solo non sentite il trillo della sveglia, che nel sonno scambiate per il trillo di un onirico telefono. Ma quando finalmente riuscite a riemergere dal coma profondo nel quale siete sprofondati verso le cinque del mattino,  non sarebbe strano né anomalo se aveste dei conati di vomito. Il caffè sarà imbevibile, la temperatura o troppo calda o troppo fredda. Quella esterna non quella del caffè.
Se poi avete famiglia...cazzi loro. Li tratterete male, i figli non saranno pronti in tempo, vostra moglie/marito sarà sicuramente in grado di farvi incazzare, qualsiasi cosa faccia.
Quando uscite, ovviamente all'ultimo minuto, l'ascensore sarà sicuramente occupato. La macchina farà fatica a partire o il pullman si farà aspettare un'eternità. Il traffico  sarà bestiale e tutti gli altri autisti dei coglioni che non avevano niente di meglio da fare che andare a congestionare le strade mentre voi avete una fretta della madonna.
Giunti al lavoro, il solo odore dei locali vi farà rigurgitare il caffè.
I colleghi poi. Non ne parliamo. Qualsiasi cosa dicano, qualsiasi cosa facciano, per voi sarà un dramma. Lasciamo perdere i capi. Il solo pensiero vi farà venire delle coliche paurose.
Dal punto di  vista del rendimento poi, è meglio sorvolare, l'unico termine che vi si può affibbiare è "inaffidabili". Dimenticate gli appuntamenti, trascurate l'utenza, durante le riunioni gli unici pensieri che vi vengono in mente sono i diversi modi di far fuori i colleghi.
Insomma una vita di merda.
E non è che tornati a casa la cosa migliori. Anzi se può peggiora, se non altro perché la tensione accumulata durante il giorno comincia a farsi sentire.
L'aggressività che riuscite ad esprimere rasenta il tentato omicidio, con l'aggravante della tortura. In alternativa a questa fenomenologia di tipo più reattivo, c'e quella a carattere depressivo.
 Nulla funziona bene, nessuno capisce le cose. E'  evidente la vostra inutilità in quel gruppo di lavoro, tanto fanno sempre quello che vogliono loro.
I capi ce l'hanno con voi, la società vi impedisce di espletare le vostre funzioni.
I colleghi sembrano pagati per rilevare ogni minima vostra mancanza, ogni parvenza di errore. Non osate aprire bocca, tanto sarebbe inutile. Cos'ì com'è inutile la vostra vita.
La tendenza, o perlomeno il pensiero del suicidio vi si affaccia alla mente sempre più spesso. Tanto non potrete cambiare nulla!
Insomma siete oltre ad una semplice demotivazione rispetto al lavoro. Qui si corre il rischio di una demotivazione rispetto alla vita.
La domanda che ci si pone a questo punto è sul perché si continui a tirare avanti, giorno dopo giorno, sapendo che sarà la stessa merda. Perché non si scappa con i soldi della cassa per il sudamerica (perché sono troppo pochi, coglioni!), perché non si cambia lavoro (non ce n'è), perché non ci si fa un'amante (e chi lo paga il pied a terre?), perché in una maniera o nell'altra non si reagisce?
          La demotivazione da B.O. come risulta evidente è quindi una brutta bestia, da prendere con le molle.

 

Imboscamento


          Un altro degli effetti che lo stress o il B.O. possono avere su di un educatore è quello dell'insorgere di un'insostenibile desiderio di imboscamento.
Si cominciano a invidiare gli orsi che ad un certo punto prendono e se ne vanno tranquillamente in letargo. Si vorrebbe fare lo stesso.
          A quel punto cominciate a sentire la stanchezza di essere sempre in prima linea, sentite il bisogno di prendervi un attimo di respiro. Non vi dispiacerebbe un anno sabbatico. Ma dato che a noi questo non è possibile cominciate a guardarvi intorno cercando un luogo, una nicchia nella quale nascondervi e non farvi più trovare.
Evitate ovviamente il più possibile le riunioni, cercate di gestire il quotidiano senza farvi coinvolgere, smettete di essere progettuali.
Se possibile cercate di occuparvi di una sola cosa, il più possibile distante dall'utenza e dai colleghi, magari vi offrite di occuparvi di alcuni aspetti amministrativi del lavoro che nessuno ha mai voglia e tempo di fare ma che vi consentirebbero, almeno per alcune ore al giorno di starvene fuori dalle balle. Senza che nessuno vi giri intorno.
Ed è qui che spuntano degli strani lavori sul territorio, dei laboratori ancor più strani, la necessità di seguire individualmente un utente, l'organizzazione teorica di mostre o manifestazioni che mai vedranno la luce.
L'importante è stare fuori dal quotidiano, dal gruppo, dagli utenti.

- Stasera andiamo al cinema con tutti i ragazzini. Vieni anche tu vero?-

- Scusa, verrei ben volentieri ma ho ancora la cassa da sistemare poi ho una relazione da finire... Non so a che ora finirò. Mi dispiace sarà per la prossima volta.-

Tanto per fare un esempio ma ce ne sono tanti altri, ognuno valido:

- Stiamo organizzando una festa in quartiere con tutti gli utenti, le famiglie, pensiamo di invitare anche i politici. Potresti darci una mano...-

- Potessi lo farei ma sai com'è l'altro giorno è morta mia madre e quindi non sono nello spirito adatto.-

- Ma non era morta otto anni fa?-

- Si ma è l'anniversario e per me è come se fosse ieri.-

- Insomma il tuo è un no! Bhè se non sei d'accordo con le decisioni del gruppo potevi dirlo in riunione e non tirarti indietro all'ultimo minuto.-

- Ma non ho detto niente.-

- Appunto l'hai dato per valido però poi quando è ora di lavorare ti appiccichi alle gonne di mammà.-

- No cioè, lo sai, se volete mi occupo di fare la spesa, di lavare i pavimenti, di ripulire l'indomani.-

- Ma va 'ffa 'n culo.-

          Comprendiamo la collega che vi ha mandati a stendere ma comprendiamo anche voi. Che ci stareste a fare in mezzo a gente allegra, socievole, che ha voglia di divertirsi e di far vedere il lavoro che ha fatto?
Al massimo la tappezzeria, ma dato che non è più di moda è meglio che vi occupiate di qualcosa a cui ancora nessuno ha pensato, che ne so ridipingere i mobili o cambiare le tendine.
          Questo nel caso migliore, se non altro un minimo di lavoro viene svolto, e in genere per senso di colpa, quello che nessuno riesce mai a fare, ma c'è un'ipotesi peggiore nella quale l'imboscamento è totale. Nel senso che quel collega non lo vedete quasi mai. Giusto per bollare la cartolina.
Qualsiasi incombenza ci sia da fare al di fuori del posto di lavoro sarà sempre il primo ad offrirsi volontario per eseguirla:

- Bisogna andare a mettere gasolio al pulmino, io ho attività, chi riesce ad andarci?-

- Vado io, tanto stamattina non ho molto da fare.-

    Se poi lo vedete tornare giusto in tempo per bollare l'uscita non preoccupatevi.
Ogni riunione è loro, ogni acquisto, ogni contatto che non implichi la presenza sul posto di lavoro ma soprattutto che non implichi la presenza vostra.
          Il massimo però lo si raggiunge quando l'imboscamento si manifesta dentro alla struttura, qualsiasi essa sia, senza il pudore di fare finta di fare qualcosa.
Sono quei colleghi che hanno la capacità di non farsi trovare mai. Eppure sono in servizio.  Li trovate negli angoli più nascosti a leggere un libro o un giornale, oppure a fare le parole crociate. Al massimo faranno in modo di avere un utente al seguito così tanto per giustificazione.

        

LIBIDO


           Dall’indagine effettuata, sia tramite le schede sia attraverso le interviste risulta che gli educatori, sia maschi sia femmine, abbiano nei confronti della libido e della sessualità degli atteggiamenti a dir poco interessanti.
In primo luogo si può tranquillamente affermare che il lavoro educativo, svolto in qualsiasi campo, non ha una grossa connotazione erotica.
Al contrario di altri lavori (top - model, attore, camionista, militare, eccetera), nei quali esiste sempre, più o meno esplicito, una sorta di fascino erotico, nel campo educativo la sessualità è ampiamente relegata in secondo piano.
          Riferendoci nello specifico al B.O. abbiamo potuto verificare come lo stress ed il B.O. stesso modifichino l’atteggiamento degli educatori nei confronti della libido. Nella fattispecie si verifica quasi all’unanimità un calo del desiderio in caso di stress. Si è anche rilevato come questo sia più marcato nelle donne che negli uomini.
          Le cause di questo fenomeno sembrano essere molteplici. In primo luogo sembra che il fatto di doversi occupare della sessualità degli altri, siano essi adolescenti con tendenza allo stupro o handicappati privi di inibizioni, crea una grossa fonte di disinteresse nei confronti della propria sessualità.
Ci viene in mente l’immagine del marito che fa delle “avance” alla moglie educatrice e si sente rispondere:

 - Ho una ragazzina che deve decidere se abortire, non vuole dire chi è il padre e tu vieni a propormi del sesso? Fatti una sega!-

- D’accordo, comprendo il problema. Ma io e te siamo sposati e poi tu prendi la pillola...-

- E allora? Tu hai due mani. Arrangiati e smettila di pensare col pisello.-

          Non approfondiamo l’indagine ma immaginiamo che al povero maschietto sia venuta un’impotenza psicologica e masturbatoria, sentendosi responsabile dell’incremento demografico anche del terzo mondo.
Questa gli sarebbe durata almeno fino alle ferie, durante le quali, sotto l’ombrellone, guardando le tette delle turiste lui faceva sogni erotici ad occhi aperti e lei, accorgendosi del fatto gli disse bruscamente:

- Smettila di fare il guardone, in fondo hai una moglie, sono mesi che mi trascuri.-

- Io ti trascuro?  Scusa ma la tua ragazzina che doveva abortire? Non sei tu che mi hai detto di darmi alle seghe? Guarda che calli. Eri tu che non avevi più voglia.-

- Che centra quello. Tu hai sposato me. Stai con me e se proprio “bisogna” farlo, lo fai con me.-

- Come “bisogna”. Avrebbe dovuto essere un piacere. E poi “bisognava” farlo anche sei mesi fa.-

- Sempre meglio farlo noi che vederti con gli occhi fuori dalle orbite e la bava alla bocca ogni volta che vedi due tette.-

- Guarda che sei tu che hai deciso sei mesi fa appunto, di dormire con la maglietta. Prima ho sempre apprezzato le tue, di tette. Almeno fino a che ho avuto la possibilità di vederle.-

- Vabbè vabbè. Andiamo in camera così ci togliamo il pensiero.-

- Col cazzo che ci vengo.-

- Certo che vieni anche con quello. Vorrai mica lasciarlo qui a sbavare sulle ragazzine?-

          Non ci è dato di sapere chi giunse prima alle chiavi della macchina lasciando al partner l’ingrato e umiliante compito di recuperare i bagagli e farsi il viaggio in treno.
Si sa che la separazione fu il passo successivo. A tuttora lei continua a fare l’educatrice e si è iscritta a tutti i corsi di sessuologia disponibili sul mercato, non trova un uomo che le piaccia e che sia disponibile anche per una sera se non a pagamento, cosa che si rifiuta di fare.
Lui si è risposato con una commessa che è felice di avere una casa alla quale badare e non declina mai nessun invito ad assolvere ai suoi doveri coniugali. Lui è quasi un uomo felice e sta pensando di allargare la famiglia. O fa un figlio o diventa poligamo.[1]
          Un’altra causa di calo del desiderio può anche essere la sovraesposizione a materiale erotico, ovvero nausea da organi genitali.

- Cara che ne diresti se stasera...cenetta intima...un bicchierino di Porto e TV spenta? Magari un po’ di musica...-

- Vorresti dire, in altre parole, che vuoi fare del sesso?-

- Bhè, non è obbligatorio. Ma se la serata conciliasse...-

- E tu pensi che dopo aver passato la giornata a lavare piselli di utenti pisciati, aver visto quell’altro che si spara seghe in continuazione, io abbia ancora voglia di vedere il tuo, di pisello?-

- Ecco. Cioè però..., non so, se vuoi possiamo farlo al buio.-

- Fa ‘n culo! Devo telefonare ad una collega.-[2]

          E’ inutile dire che anche gli educatori, maschi in questo caso, non sono immuni dal calo di desiderio all’insorgere dello stress.

- Caro, se ti fai la doccia vengo a lavarti la schiena.- Dice l’ignara moglie al marito educatore.

- E questa sarebbe la terza.- Risponde lui.

- La terza cosa?-

 Dice lei in sottoveste trasparente con sotto una mise nera traforata, mentre apre alcune ostriche. Sul tavolo fanno bella mostra di sé due calici di vino bianco gocciolanti condensa.

- La terza persona che vuole lavarmi la schiena o farmi il bidè o vedere dal vivo cosa prova un maschietto quando ha l’orgasmo.-

- Ma stanotte non eri in servizio in comunità?-

- Appunto!-

- Da come la racconti sembra che lavori in un bordello, non certo in una comunità alloggio.-

- Sotto certi aspetti non è che cambi molto. Tizia era preoccupata perché il suo fidanzatino guarda troppo la sua amica, che ha la quarta, e si chiedeva se il silicone l’avrebbe riavvicinato. Caia ha deciso che sono da utilizzare come palliativo perché non vuole storie serie alla sua età, ma vorrebbe comunque qualche esperienza, ed io alla mia, in quanto sposato, offro ottime garanzie. Sempronia invece, che deve sempre esagerare, ha deciso che sono l’uomo della sua vita e che vuole un figlio da me.-

- Lo farai?-

- Cosa?-

- Il figlio no? Perché se è così ti impacchetto le ostriche e te le porti domani a lavorare. Il vino però me lo tengo e me lo bevo. Da sola. In camera da letto. Sai dove sono le lenzuola per il divano.[3]

          Questi pochi esempi per dire come il B.O. riesca a distruggere delle famiglie, a incrinare rapporti sentimentali solidi.
Sarà per questo che molti educatori/trici sono separati, o comunque hanno più storie sentimentali alle spalle? Potrebbe essere interessante verificare la situazione di coppia degli educatori, sia quella attuale sia quella passata e vedere di prima mano quanto questo lavoro distrugge le coppie.
Un aspetto particolare di questo argomento infatti sono le “storie parallele” e/o le “avventure”.
Non abbiamo dati certi, anche perché sarebbe facile mentire, ma sembra, diciamo "sembra", che gli educatori non siano il massimo esempio di fedeltà coniugale.
Le giornate sono lunghe, le notti ancora peggio; Il/la marito/moglie non può comprendere certi stati d’animo. Il/la collega si.
A volte basta una carezza, un incoraggiamento. A volte una pacca sulla spalla. Un massaggio (e chi è che non ha fatto almeno un corso di massaggi?), un po’ di respirazione, di psicomotricità. Siete lì che cercate di alleviare lo stress ad un/una collega...e non si sa come mai vi ritrovate a condividere momenti che dovrebbero essere vissuti col vostro/a compagno/a.
Dai pettegolezzi giunti agli autori risulta comunque che queste pratiche, moralmente discutibili, professionalmente inadeguate e legalmente perseguibili (ma sotto sotto anche piacevoli), siano comunque uno degli strumenti usati per superare momenti di stanchezza e di stress.
In conclusione si ritiene che il discorso sulla libido non sia da trascurare, né sul versante della prevenzione primaria, né sul versante del recupero funzionale della piena professionalità educativa.

 

VITA SOCIALE


          Come già espresso in precedenza, non è che gli educatori abbiano poi una gran vita sociale.
Se lavorano nel pubblico sono tendenzialmente portati a utilizzare il loro tempo libero  in famiglia, nella gestione di quei delinquenti dei loro figli o nella distruzione programmata del loro rapporto di coppia.
Coloro i quali invece operano nel privato sono sempre alla ricerca di nuove possibilità lavorative quindi tendenzialmente cercano di essere sempre aggiornati su cosa succede nel mondo della cooperazione. Sono quelli che trovate in birreria alla sera che parlano di lavoro, fanno progetti fra una "media" e l'altra, cercano di creare alleanze e via di seguito.
E' comunque risultato importante la quantificazione dei rapporti sociali degli educatori rispetto al resto del mondo. Bene, possiamo tranquillamente dire che la maggior parte degli educatori o frequenta parenti (fratelli, genitori, suoceri eccetera), oppure frequenta altri educatori.
Visto e considerato che qui ci occupiamo di B.O. e non potrebbe fregarcene di meno del privato delle persone in quanto tale, possiamo comunque affermare che il mondo degli educatori è un mondo abbastanza chiuso.
Sarà per lo stipendio limitato, che non consente di fare grandi cose, sarà perché ormai si sono assunti e introiettati alcuni meccanismi comportamentali difficilmente comprensibili dalla gente normale, resta il fatto che al di fuori del lavoro, l'educatore è tendenzialmente una persona relativamente isolata se non in ambiti che in qualche maniera possono essere riallaciati alla professione.




LE CAUSE GLI EFFETTI COME COMBATTERE IL B.O. CONCLUSIONI

COME COMBATTERE IL B.O.


           Si vorrebbe trattare in questo capitolo, dei meccanismi, delle strategie che possono permettere ad un educatore di effettuare una "prevenzione primaria" rispetto al B.O.
          Ovviamente non si può essere esaustivi. Ogni persona avrà modalità particolari per cercare di prevenire il B.O. In questa sede cercheremo comunque di analizzare le principali risorse utilizzabili.

RISPETTO ALL'UTENZA


          Come abbiamo visto l'utenza è una delle maggiori fonti di stress e quindi di B.O.
Le strategie utilizzate normalmente dagli educatori per contenere il rischio sono sostanzialmente:

1.  non farsi prendere la mano;

2.  non legarsi troppo emotivamente agli utenti;

3.  non credere di essere i salvatori del mondo;

4.  prendere con le dovute cautele ciò che l'utenza riferisce;

5.  non essere neanche troppo menefreghisti o evitare qualsiasi responsabilità;

          Andiamo quindi qui di seguito a cercare di spiegare più in dettaglio, ma senza esagerare, le varie strategie adottabili.

  Non farsi prendere la mano

           Come abbiamo visto uno dei grossi rischi che un educatore corre è quello di farsi prendere la mano dal lavoro con le conseguenze che ben conosciamo.
          Uno dei primi consigli è proprio quello di non dimenticare che il nostro è pur sempre un lavoro (brutto, sporco e malpagato), ma solo un lavoro. Chi non ne è convinto e pensa che ci sia qualcosa di più e consigliato di andare a rileggersi il capitolo che tratta delle cause del B.O. e a pensare se per caso non sia  egli stesso in B.O.
Un altro semplice consiglio è quello di ricordarsi che al di fuori del lavoro esiste anche una vita privata. Molti educatori hanno una famiglia, sia ascendente sia discendente. Altri vivono rapporti di coppia. Sarebbe opportuno ricordarsi che anche loro hanno dei bisogni che debbono essere soddisfatti. Quindi evitate se possibile, o almeno limitatelo ai soli casi di reale necessità, di rientrare in casa dopo una giornata di lavoro particolarmente dura, di sbattervi sul divano dicendo:

- Non voglio vedere nessuno!-

- Ma caro stasera siamo invitati a cena dai tuoi amici...-

- Non me ne frega un cazzo! Telefona che non andiamo. Che sto male. Che sono MORTA!-

- O.K. Però calmati. C'è qualcosa in freezer?-

- Non lo so e non mi interessa. Non li hai gli occhi?-

- D'accordo. Va bene. Però non ti lamentare se nessuno ti invita più a cena. E' già la terza volta che fai dei bidoni.-

- Se sei tanto preoccupato degli amici vacci tu. Io ho avuto una giornata di merda e l'unica cosa che vedo è il letto! E non certo come lo intenderesti tu!-

- Hai ragione. Sai che ti dico? Ci vado da solo a cena fuori. E il freezer guardatelo tu. In fondo siete quasi uguali. Sembra che viviate per gelare gli altri.  Salvo gli utenti ovviamente. E non mi aspettare stanotte, magari la brunetta che c'era l'altra volta è meno ghiacciolo di te.-

          Anche rispetto ai figli il discorso è analogo. Se dialoghi come il seguente si ripetono spesso in casa vostra è sicuramente meglio che vi diate una calmata e che pensiate seriamente di verificare se per caso il lavoro non vi abbia preso la mano.

- Papà allora mi accompagni tu a giocare a calcio, la mamma ha l'appuntamento con la parrucchiera.-

- No!-

- Come no? L'avevi promesso. E' una partita importante.-

- Ho detto NO! E' tutto il giorno che inseguo ragazzini che devono giocare al pallone e adesso ne ho le palle piene.-

- Ma avevi detto che...-

- Avevo detto forse, e ora il forse è diventato un no. Non me lo far ripetere e dimmi dove tua madre ha messo il giornale.-

- Mamma mamma - urla il bambino cercandola disperato - papà non mi porta alla partita.-

- Come non ti porta. Non eravate già d'accordo?-

- Si me l'ha promesso. Ma adesso dice che è stanco e che vuole leggere il giornale. Dice che ha già giocato con i bambini della comunità.-

- Va bene adesso vediamo cosa fare.-

- Mamma...-

- Si?-

- Senti posso andare anche io a vivere in comunità?

-Perché?

- Così almeno mi porta a giocare!-
Non legarsi troppo agli utenti

          Abbiamo visto come ci siano situazioni nelle quali l'educatore si trova a vivere esclusivamente per uno o più utenti. Oltre al fatto che gli altri utenti potrebbero avere qualcosa da dire al riguardo, sentendosi trascurati si rischia di venire completamente esclusi dal mondo. Evitare di legarsi troppo ad un utente permette quindi di continuare a vedere anche che cosa succede intorno a noi, di non perdere il contatto con la realtà.
Questo non significa ovviamente massificare e generalizzare gli interventi. Ogni persona è specifica ed ha bisogno di risposte specifiche. Quello che vorremmo evitare e di vedere degli educatori che pensano "senza di me quell'utente non ce la può fare". Sarebbe una sorta di delirio di onnipotenza, di simbiosi, rispetto ai quali, oltre alla loro reale efficacia ne confronti dell'utente stesso, abbiamo grossi dubbi, per non dire delle certezze sull'impatto psicologico sull'educatore.
Consigliamo quindi, per la sanità mentale dell'educatore, di occuparsi di più utenti (anche a seconda della struttura nella quale si opera), in termini di Servizio, offrendo ad ognuno ciò che si è in grado di fornire rispetto ai bisogni.
Riteniamo che in queste occasioni, la supervisione possa essere uno strumento adeguato (se fatta bene ovviamente), per aiutare l'educatore a rischio di B.O. per simbiosi, di rivedere in termini costruttivi il suo operare.
E ci raccomandiamo: quando partite per le ferie non portatevi dietro l'utente e lasciate a casa tutti i numeri di telefono a lui collegati.
Non credere di essere i salvatori del mondo

          Ovvero cercare di evitare il più possibile il delirio di onnipotenza.
Un sano e sereno esame di realtà ci dirà che il mondo non è fatto solo da noi e dai nostri utenti e che i loro bisogni, pur legittimi, non sono gli unici bisogni esistenti né gli unici problemi dell'umanità.
Proviamo a spiegarci meglio: il fatto di occuparsi dell'handicap o dei minori non significa che il resto dell'umanità non abbia anche dei problemi e il fatto di essere più o meno "specializzati" in un campo specifico non ci impedisce di tenere aperti occhi e orecchie su quello che succede in giro.
La guerra atomica, la fame nel mondo, il buco nell'ozono, la disoccupazione e via dicendo sono fenomeni che al nostro prossimo spesso sono più vicini di quanto non sia il problema dei vostri utenti che magari non hanno ancora ottenuto l'agognata visita del Sindaco per fargli vedere i loro lavoretti col pongo.
Anche in questo caso un sereno esame di realtà può essere preventivo al B.O.
Se poi mentre un vostro amico vi chiede se è meglio usare una corda di canapa o una di nylon per impiccarsi perché ha perso il lavoro, sua moglie l'ha piantato e sua figlia si è data alla prostituzione per comprarsi il giubbotto, voi gli rispondete che il vostro utente hai dei gravissimi problemi all'unghia incarnita del mignolo... Bhè o siete delle bestie o siete in B.O.
 Se poi gli dite anche che risolverete tutto, proponendogli di venire a fare un po’ di volontariato presso di voi, così si renderà conto di cosa vuol dire soffrire, ragazzi fatevi curare, pensate di essere un dio?
Un'ottica "relativa" riteniamo sia un buon approccio per evitare il rischio di sentirsi onnipotenti.
Un altro aspetto dell'onnipotenza è quello politico. Nel senso che per fare funzionare le cose, tutte le cose, ci si lancia in diecimila attività pubbliche, dalle riunioni alle petizioni, dalle manifestazioni agli scioperi della fame.
          Certo a volte anche delle prese di posizione più incisive possono essere utili, ma anche qui bisogna cercare di non eccedere.
Magari mentre voi state facendo il giro di tutti gli uffici per cercare di ottenere un biliardino da mettere in comunità, i vostri ragazzotti stanno rapinando un supermercato.
Consigliamo quindi un minimo di senso della misura per non incappare in uno stress di onnipotenza che poi, vista la realtà si tramuta in senso di impotenza e quindi in B.O.


Prendere con la dovuta cautela ciò che l'utenza dice

          Premettiamo che questa non vuole essere una cattiveria né sminuire le reali esigenze dell'utenza.
Ribadiamo che qui si parla di B.O. e quindi di difesa dell'igiene mentale degli educatori.
Con tutto il rispetto dovuto all'utenza affermiamo però che in giro per i vari servizi, spesso e volentieri si fanno vivi i profittatori. Sono quelle persone che credono che tutto gli sia dovuto, che i servizi siano a loro completa disposizione, e soprattutto che gli educatori hanno il dovere di occuparsi esclusivamente di loro, giorno e notte, per qualsiasi cosa.
Sono quegli utenti che vi telefonano a casa (dove avranno preso il numero?), per dirvi che non riescono a dormire. Sono i ragazzini che vi dicono che sono stati violentati brutalmente (anche se non hanno un graffio), dai compagni. Guarda caso quelli che a loro sono più antipatici. Non ci dilunghiamo troppo sugli esempi, presupponiamo che ogni educatore ne possa raccontare di tutti i generi e anche di molto succosi.
Ci preme rimarcare come a volte questo atteggiamento possa anche essere di delega totale e di pretesa inconscia, un trovare più semplice far lavorare gli altri al posto tuo. Parallelamente però ci sono anche degli utenti che più bravi di noi a scoprire i meccanismi sociali, ne approfittano consciamente e con cognizione di causa. Della serie meglio i sussidi che il lavoro.
Come già detto più volte non è questa la sede né per discutere delle politiche sociali né per dare giudizi morali o di valore sulle richieste dei cittadini. Vogliamo solo ricordare agli educatori che esiste il rischio di essere usati, strumentalizzati.
Uno magari ci crede anche ma quando poi si accorge di essere stato preso per il culo magari si incazza anche e per reazione magari poi tende a non credere più a nessuno.
Il nostro consiglio per evitare lo stress è quindi quello di fare attenzione alle richieste dell'utenza; cercare di verificare se sono reali, immaginarie o di bieco sfruttamento di una situazione.
L'analisi dei casi in rete, quindi con punti di vista diversi sembra sia una delle opzioni maggiormente usate dagli educatori, la supervisione può essere altrettanto funzionale, per lo meno rispetto ai dati pervenutici.
Se poi proprio non riuscite a sganciarvi da una famiglia che in un modo o nell'altro ne approfitta di voi, utilizzando tutti i canali conosciuti, bhe almeno vendicatevi, fate le visite domiciliari a certe ore in modo che siano obbligati a darvi cena e se possibile fatevi portare olio , frutta e verdura dal paese, loro ne hanno sempre. E ovviamente non pagatela.
Non essere troppo menefreghisti

          E' questo un tema delicato anche perché ognuno ha una sua propria definizione di efficienza, efficacia e menefreghismo (o imboscamento).
In questa sede il menefreghismo lo intendiamo come patologia e fonte di B.O. e non come difesa (a volte legittima), dallo stress e dalle sue conseguenze.
Ci riferiamo più nello specifico a quegli operatori che fregandosene di tutto e di tutti (utenti, colleghi, lavoro sociale), vanno in B.O. perché non sanno più che cazzo fare delle loro giornate. Ciondolano avanti e indietro e non riescono a trovare qualsiasi cosa che possa occupare il loro tempo lavorativo.
Da quello che ci risulta l'eziologia di questi casi è dovuta ad una risposta eccessiva ad uno stress.
Probabilmente si parte o da una sorta di stacco mentale  dal lavoro o da un momento di demotivazione, i quali però non vengono risolti ma si cristallizzano, fino ad arrivare ad un menefreghismo puro.
In alcuni casi si è rilevato come questi atteggiamenti siano anche relativi ad una carenza di "vita personale" (vedi effetti), e da un precedente eccessivo attaccamento al lavoro.
Per costoro abbiamo solo un consiglio: trovare anche solo una piccola cosa che, sul luogo di lavoro, possa attirare la loro attenzione.
Sappiamo che gli educatori non sono il massimo della beltà (se no farebbero i modelli), ma non c'è proprio nel servizio un/una collega che stimola qualche pensiero lubrico? Bene appelliamoci a questo e anche se rimarrà sempre una fantasia, magari fa leggermente aumentare la voglia di andare a lavorare. Poi magari per starle/gli vicino si inizia a collaborare a qualche attività e una volta cominciato, con calma, si può rientrare nel gruppo ed essere operativi. In pratica una sorta di convalescenza.
Ovvio che i colleghi devono essere comprensivi e disponibili (e quando mai?),e non devono cazziare troppo il malcapitato.
L'importante utilizzando questo metodo è di evitare le ricadute. Quindi se poi il/la collega non ci sta, ricordatevi che era solo un gioco mentale.

 

RISPETTO AI COLLEGHI


          Due considerazioni preliminari, tanto per rompere il ghiaccio su una questione estremamente delicata.
Come disse un saggio: "Gli amici te li scegli. I parenti e i colleghi no!" E come disse un altro saggio: "Come il tempo e col tempo anche noi si cambia. Oggi è sereno ma domani potrebbe piovere."
A parte i fortunati educatori che riescono a creare un gruppo di lavoro su un obiettivo comune con modalità di lavoro comuni e condivise, la maggior parte di noi si trova a dover lavorare in gruppi coatti.
Abbiamo visto come ci siano vari tipologie di colleghi, che abbiamo ricondotto a delle figure precise. Proviamo ora a vedere come ci si può difendere da loro.
E' inutile dire che anche voi in qualche maniera rientrate in una di queste categorie, per cui anche i vostri colleghi dovranno difendersi da voi.
Non preoccupatevi se pensate di giocare una sorta di battaglia navale nella quale tocca una volta a testa definire le posizioni dell'altro, non siete poi così fuori strada. Al massimo siete in alto mare!
 Ricordandoci queste metafora andiamo a vedere le singole voci.

I perfetti


           Con costoro c'è ben poco da fare. Se li controbattete, se vi mettete a discutere, fate il loro gioco. L'unica alternativa che vi rimane è ignorarli. Non sarà facile perché bisogna ingoiare un pacco di merda e ridurre l'orgoglio a una flebile fiammella che aspetta la loro dipartita per riaccendersi. Ma è così. L'unico sistema per far si che se ne vadano è togliere loro il terreno da sotto i piedi.
Loro sono perfetti e voi siete delle cacche, loro fanno tutto giusto e voi non riuscite a fare niente che vada.
Ebbene lasciateli fare. Sminuitevi ancora di più e date loro importanza. Visto che comunque sono talmente presi da loro stessi che non sono in grado di vedere nulla attorno a loro prima o poi la situazione dovrà esplodere; a quel punto se ne andranno.
Facciamo un esempio, il perfetto e voi:

- Guarda che il pannolone non si cambia così. Devi considerare l'emotività del ragazzo e inoltre sarebbe meglio che ti togliessi i guanti. Stai dimenticandoti dell'importanza del rapporto corporeo.-

- Mi sa che hai ragione. Ma sai com'è, ogni tanto mi dimentico. Fammi vedere come si fa.-

In questo modo lo costringete a operare e non solo a comandare e intanto le mani nella merda (senza guanti), le mette lui. E la cosa non gli farà sicuramente piacere. Se poi ostinatamente cerca di dirvi:

- Va bene prova a fare come ti dico.-

Voi potete sempre rifugiarvi in un:

- Avrei comunque paura di sbagliare ulteriormente. E' meglio se lo fai tu. Come dici sempre bisogna pensare all'utente. Non vorrei creargli dei traumi. Ti guarderò mentre lo fai così imparo.-

Oppure:

- Mi sento molto umiliato da questo tuo rimprovero e non me la sento di andare avanti. Ho ancora molte cose da imparare da te ma se non vedo come effettivamente le fai non riuscirò mai a raggiungere o anche solo ad imitare la tua professionalità.-

          Ovviamente questo è solo un esempio riferito ad un caso specifico ma pensiamo che lo spirito sia lo stesso anche in altre situazioni.
Se avvertite che quando andate a delle riunioni di qualsiasi genere, poi il Perfetto critica ciò che riportate o ciò che avete detto, bene, fate in modo che ci vada lui. Intanto ve lo togliete dalle palle per qualche ora, che non è poco, in più lo costringerete ad esporsi.
Probabilmente dirà che è colpa vostra se le cose non funzionano, non importa. Ci vuole un po’ di pazienza.
Dopo un po’ di tempo di questa terapia si troverà a dover fare tutto lui, e dato che è una persona che normalmente non vuole fare nulla se non quello che gli pare e che preferisce comandare, si sentirà spiazzato e se avete fortuna cercherà un altro posto dove andare a lavorare.
Nell'eventuale ipotesi però che il trasferimento non sia così immediato non preoccupatevi, cercate di capire cos'è che voi preferite fare e cercate di dedicarvici utilizzando i suoi molteplici impegni. Non confrontatevi con lui sul vostro lavoro. Cercate di scavalcarlo. Avete delle idee, dei progetti e vi interessa portarli avanti?            Fatelo, parlatene direttamente coi superiori e cercate il loro avvallo, se poi vi viene chiesto cosa ne pensa il gruppo, che tradotto vuol dire il Perfetto potete sempre rispondere che è talmente impegnato che non ve la sentite di caricarlo ulteriormente di lavoro.
          Insomma con questi figuri l'atteggiamento migliore da tenere è l'indifferenza e l'esclusione. Dategli la possibilità e cercate di far sì che siano il più possibile al di fuori delle dinamiche del gruppo. A forza di non essere cagati da nessuno si stuferanno e o arriveranno a più miti consigli oppure se ne andranno.
          Bisognerà poi ricostruire un bel po’ di lavoro ma sicuramente ne sarà valsa la pena.

I missionari


          Non fatevi fregare.
Con queste persone c'è un'unica soluzione. Non farsi fregare, appunto.
Essendo in genere persone gentili che non ordinano ma chiedono per favore, è facile cedere e rendersi disponibili. Questo è un errore che non bisogna mai fare.
A costoro se gli dai un dito ti prendono, sempre gentilmente, la mano, il braccio e anche tutto il resto.
Quindi mai cedere.
Una rigorosa divisione dei compiti è un ottimo strumento di salvaguardia. Se una cosa non vi compete è inutile che venga a piangere o a supplicarvi di dargli una mano. Non vi compete e basta. Che si arrangi.
Ovvio che non vogliamo invitarvi a lasciar bruciare la struttura perché non siete un vigile del fuoco. Ma quando vi viene lacrimosamente richiesto di fare di più di quello che normalmente siete tenuti a fare negatevi sempre. Poi magari lo fate lo stesso, ma in un secondo tempo, per scelta vostra. NON perché vi è stato richiesto dal Missionario.
Un'altra difesa da questi elementi è la segreteria telefonica. Se avvertite col quinto senso e mezzo dell'educatore che, data la situazione, il Missionario potrebbe telefonarvi a casa per discuterne, lasciate la segreteria accesa. Se vi chiama qualcun altro potrete sempre rispondere ma se è lui non rispondete. Attenzione non rispondete mai, anche una sola volta potrebbe costarvi la vita.
In alternativa fate rispondere a vostra moglie/marito con l'istruzione di dire che non ci siete.
          Qualche altro consiglio rispetto ai Missionari. In primo luogo mantenete le distanze. Costoro sono dei fagocitatori e dato che il lavoro è la loro vita tenderanno a coinvolgervi anche nel privato quindi non accettate mai di vedervi al di fuori dell'orario di servizio. Nessun invito a cena, nessuna birra, nessun film, nessun convegno. Rispetto a loro voi, quando avete finito di lavorare, dovete essere delle altre persone. Sconosciute.
Non fatevi scappare che siete capaci di fare delle cose che non usate normalmente in campo lavorativo Loro ne approfitterebbero subito. Se per esempio avete l'hobby della pesca vi chiederanno di portare con voi qualche ragazzino, ovviamente di Domenica  quando voi vorreste stare tranquillamente a pucciare il verme in compagnia della fidanzata. Se vi piace fare teatro vi chiederanno di fare degli spettacoli o di coinvolgere nel vostro qualche utente, qualsiasi esso sia. Insomma con i Missionari bisogna essere delle tombe. Non far trapelare nulla. Bisogna anche essere accorti sotto un altro aspetto. I Missionari in genere, anche se in buona fede, sono subdoli, cercheranno comunque di entrare nella vostra vita privata quindi sarà necessario fare attenzione anche ai famigliari. Della serie non stupitevi se non trovandovi in casa al telefono cercheranno di parlare e coinvolgere il vostro coniuge o addirittura i vostri figli, fa parte della loro natura. Vi conviene quindi educare i vostri famigliari a glissare, con eleganza se preferite ma comunque insegnate loro a evitare i forse.
Un'ultima cosa: non accettate mai favori. Di nessun tipo.

- Domenica andiamo in montagna con il gruppo di volontariato. Perché non fai venire anche tuo figlio? Starebbe in mezzo alla gente, ci sono io che garantisco che tutto vada bene. Sarà divertente. In più potreste avere tutta la Domenica per voi da soli. Che te ne pare?-

          Attenzione è una trappola. Sicuramente vostro figlio sarà accudito con tutti i crismi, non è per quello che dovete preoccuparvi. Ma dato che non si fa nulla per nulla la settimana dopo ecco che arriva la segata:

- Paolino è stato bene con noi Domenica scorsa; ha anche fatto amicizia con Giuseppe. Tu lo sai Giuseppe è molto solo, i suoi non lo seguono abbastanza, perché non te lo porti in montagna con te e Paolino? Sarebbe per entrambi una bella esperienza.-

          A parte il fatto che la Domenica precedente, in assenza di Paolino, l'avete passata a litigare con vostra moglie/marito. Tralasciando che non avete nessuna intenzione di andare in montagna, ma passare la Domenica con gli amici/che a mangiare e bere senza il coniuge e che dura sarà la lotta per decidere chi si beccherà il pupo, il ricatto morale che vi viene posto è evidente.
          Quindi ribadiamo il concetto: Non lasciatevi fregare.

Gli imboscati


          Con questi elementi il discorso si fa un po’ più pesante. Al contrario dei precedenti che se non altro hanno delle idee o delle ipotesi, o comunque qualcosa fanno, questi tendono a non fare nulla, a lasciare che le cose seguano il loro corso. E' oggettivamente complicato trovare delle modalità comportamentali che riescano a eliminare il loro intervento in quanto sono estremamente soggettivi e quindi ognuno di loro a modi e comportamenti diversi.
Abbiamo più o meno definito le caratteristiche peculiari del gruppo in sé ma per difendersi da loro bisognerebbe analizzare caso per caso. Ovviamente non siamo in grado di farlo, ci limitiamo pertanto a dare alcuni consigli derivati dall'esperienza dei tanti colleghi coi quali abbiamo parlato.
In primo luogo sembra che siano comunque "fedeli alla linea" nonché "rispettosi del potere". Il che vuol dire che è assolutamente inutile cercare in loro delle motivazioni (che non siano il 27), o provare a stimolare della creatività. Ne sono completamente privi.
Dalle interviste effettuate sembra che l'unica soluzione sia quella di "usarli". Ovvero usare le loro capacità residue in maniera funzionale ai progetti che si hanno in testa.

- Per Natale ci hanno invitati a fare la festa in Circoscrizione con tutti gli altri CST con uno scambio di regali.-

- Qui la festa si è sempre fatta solo fra di noi. Sai che casino con Paolino che quando è in mezzo alla gente si incazza e picchia. Con Maria che si caga. Con Giuseppe che sputa in faccia a tutti. E poi chi ci guadagna sono solo i politici che si fanno pubblicità.-

- Bhè forse hai ragione, non si può andare con tutti. Ci sono anche i problemi di trasporto. Possiamo fare così, noi andiamo con quelli che possono starci bene, tu rimani al centro con quelli che non gliene frega niente.-

          In questi casi il trucco, se così si può chiamare, consiste generalmente nel dipingere, nel presentare la cosa che si vorrebbe fargli fare come la meno faticosa:

- So che a te non piace uscire. Ci sarebbe da riordinare il magazzino. Dato che non ci siamo te ne occupi tu?-

- Io non ho mai detto che non voglio uscire, vengo con voi.-

Ovvio che l'obiettivo era quello di avere la persona in uscita, per il magazzino c'è tempo.
E' comunque rilevante come queste persone pur cercando di defilarsi siano sempre alla ricerca di un palcoscenico. Le abbiamo distinte in struzzi e serpi per le loro generali diverse caratteristiche. Vediamo quindi come si può fare a combatterle nello specifico.
          Gli struzzi in quanto tali vanno usati. Bisogna cavar fuori da loro ogni stilla di capacità a nostro uso e consumo. O esplodono e quindi si modificano o si rassegnano e comunque qualcosa fanno. In caso di struzzaggine grave si può sempre fare riferimento ai capi. Essendo queste persone sensibili al potere se il capo impone loro eseguono. C'è il rovescio della medaglia. Tenderanno a boicottare ma se voi siete astuti (il che non è possibile se no non fareste gli educatori), farete in modo che i compiti assegnati loro siano indiscutibilmente responsabilità soggettiva, per cui al capo dovranno in una maniera o nell'altra, dare delle risposte. Se poi per reazione si metteranno in malattia per qualche mese state tranquilli.

1.  lo avrebbero fatto lo stesso;

2.  senza di loro in fondo lavorate meglio;

          Per quanto concerne le serpi invece il discorso è più complesso. Loro non si mettono in mutua. Anzi sono fra i più presenti. E in quanto molto abili a cogliere le contraddizioni, le idiosincrasie, gli scazzi dei vari colleghi ci giocano su. Il loro motto non è: "lasciatemi in pace". Il loro motto è:"voglio rompere i coglioni".
Neutralizzarli è quindi complicato. Con loro è necessario misurare le parole, non uscire fuori dalle righe, mantenere la calma. Eventualmente si può cercare di attribuire le decisioni prese ad altre figure (i capi), rispetto ai quali, per deferenza e convenienza, preferiscono non controbattere.
Un'altra strategia è quella dell'isolamento. Ovvero prendere le decisioni più cruciali in loro assenza e dargliele come dati di fatto. Ovviamente si incazzeranno un po’ e cercheranno di boicottare le cose cercando delle alleanze con alcuni operatori, in genere i più deboli, ma alla fine non potranno dichiararsi completamente contro perché questo presupporrebbe prendere delle posizioni definite. Cosa che a loro non piace assolutamente.
Abbiamo detto anche che costoro tendono ad avere dei rapporti privilegiati con i capi. Il modo migliore per eliminare questo problema è la depistazione, ovvero fare in modo di screditarli agli occhi dei capi stessi.
Ci rendiamo conto che questa pratica non è il massimo dell'etica ma è anche vero che a volte il fine giustifica i mezzi.
Se voi avete un progetto in mente e cercate di portarlo avanti nel rispetto delle regole e la Serpe, parlando a tu per tu col Capo ve lo smonta, non perché  sia sbagliato ma solo perché potrebbe modificare il suo ambiente quotidiano, avete il diritto di incazzarvi e di correre ai ripari. Soprattutto se a quel progetto ci credete.
Ci sembra quindi legittimo se alla Serpe date informazioni false sul progetto in questione di modo che essa possa andare dai capi per segarvi. E' ovvio che poi ai capi porterete il vero progetto (magari scritto in precedenza), e alle sue rimostranze basate sulle notizie avute dalla Serpe potrete tranquillamente ribattere che voi non avete mai detto nulla del genere. D'altronde c'è anche uno scritto che lo dimostra.
          Normalmente le serpi non leggono mai, preferiscono il pettegolezzo sotterraneo.

  I bornautizzati


          Con questi c'è poco da fare. Possiamo però, sempre in difesa dei colleghi, dividerli in due categorie: quelli che se ne rendono conto e quindi cercano di superarlo e quelli che non se ne accorgono.
Rispetto ai primi è ovvio che un minimo di solidarietà sia dovuta, se non altro per il fatto di aver condiviso per tanto tempo le stesse situazioni. Se poi sono andati in B.O. magari è anche per fattori esterni e come si sa il tutto è maggiore della somma delle parti. Insomma non sono irrecuperabili. Magari con un po’ di aiuto si può cercare di ricondurli ad una condizione normale.
Attenzione però a non ricadere nell'Assistenzialismo o nell'onnipotenza educativa. Potrebbero essere strade che portano all'inferno lavorativo.
Tutto il rispetto quindi per chi scoppia ma non è e non deve diventare un utente.
L'unica maniera per uscirne fuori quindi è quella di far si che trovino un'altra collocazione se si pensa che il loro B.O. sia irreversibile. Sostenerli invece se si pensa che il B.O. sia una sommatoria di fattori non esclusivamente lavorativi.
Se la fidanzata/o l'ha lasciato/a è chiaro che qualche scompenso si possa avere e che dal punto di vista professionale ci si possa sentire bornoutizzati. Idem se ti è morto qualche parente caro, o per qualsiasi cosa mini quelle poche certezze che abbiamo.
Questo atteggiamento può essere funzionale solo però se il soggetto in questione si rende conto di essere fuori fase, di essere in B.O. In questo vale l'invito a cena, la birra in compagnia, la coccola affettuosa e magari un chiudere un occhio su alcune deficienze lavorative.
In fondo prima o poi potrebbe succedere anche a noi.
 Diverso invece è l'atteggiamento da tenersi nei confronti di chi pur essendo in B.O. conclamato non se ne rende conto ma anzi, presume di essere in perfetta efficienza.
          Con costoro ci sono solo due alternative:

1.   li si elimina;

2.   li si rende consci del proprio stato;

          Certamente non li si può eliminare fisicamente (c'è la galera), d'altro canto non li si può neanche zittire o rendere completamente ininfluenti. Sono queste ultime però gli obiettivi che in una maniera o nell'altra bisogna cercare di raggiungere.
Zittirli e/o renderli ininfluenti. In questo caso parliamo di zittirli in una  ottica comunicativa, ovvero bisogna fare in modo che non si esprimano troppo. Le castronerie che potrebbero uscire dalle loro bocche potrebbero compromettere il lavoro di anni.
Bisognerebbe quindi evitare che abbiano rapporti con l'esterno, in modo di evitare che si esprimano.
Sarebbe opportuno inoltre evitare che si esprimano troppo durante le riunioni di gruppo, sarebbero facile preda di Serpi, Missionari, Perfetti, che li userebbero per i loro giochi neanche tanto velati.
Diremmo quindi che rispetto ai burnoutizzati  l'unica soluzione sia di circondarli con un muro di protezione che impedisca loro di farsi del male ma soprattutto di farlo ad altri. L'obiettivo ultimo sarebbe quello di far si che si rendano conto del loro stato e quindi, una volta presone coscienza cerchino di liberarsene o di cambiare lavoro se questa risulta essere l'unica alternativa.
          Un ultimo consiglio: è facile confondere un burnoutizzato con un imboscato, quindi bisogna fare attenzione alla diagnosi in quanto la prognosi potrebbe dimostrarsi infausta.

 

 

RISPETTO AI CAPI, CAPETTI, BOSS, BUROCRATI VARI


          E' molto difficile capire come difendersi dal B.O. rispetto ai capi. Mentre nei confronti dei colleghi qualche possibilità di limitarli esiste se non altro per il fatto di averli quotidianamente al fianco, per i capi no. Al fianco ci sono certo, ma in quanto spina.
Uno dei dati sostanziali è che il capo è sempre una figura cui volenti o nolenti bisogna fare riferimento, in fin dei conti la responsabilità del servizio è sua, anche se cercherà di cedervela quando gli fa comodo o quando bisogna finire nella merda.
Un altro dato fondamentale, derivato da quelli sopra esposti è che nella norma il rapporto coi capi è sempre conflittuale.
Non ci risulta che Esista un capo che si schieri a piè pari con l'educatore, al massimo succede il contrario ma dei lecchini abbiamo già ampiamente parlato.
Male che vada il capo potrà fungere da mediatore (e già questa sarebbe una fortuna).
Normalmente sembra inseguano qualche meta segreta e incognita, che non vogliono rivelare, anche se qualche maligno insinua che non avendo molte idee i capi se le inventino li per li e ne restino poi invischiati.
A noi però interessa capire come evitare che i vari capi ci facciano andare in B.O..
Abbiamo precedentemente suddiviso i capi in varie categorie; saranno le stesse che qui utilizzeremo per cercare di capire come difendersi da loro.

 

I carrieristi di professione


          Rispetto a questi non ci sono molte alternative. Fategli fare carriera!
Proponete loro ogni concorso, ogni progetto, qualsiasi cosa vi venga in mente che possa stimolarli ad andarsene dal vostro luogo di lavoro.
Non solo si sentiranno gratificati data la loro naturale presunzione ma potreste addirittura essere innalzati all'altare delle "persone significative", ovvero potrebbero anche parlare bene di voi.
Non ci è dato di sapere se questo sia in fondo utile alla vostra carriera, visto da che pulpito viene la predica, ma lasciamo alla vostra arguzia l'analisi della cosa e vi lasciamo trarre la vostre sacrosante conclusioni. Cazzi vostri se i colleghi, quelli normali, vi toglieranno il saluto oppure se vi faranno un monumento. Molto dipenderà da come riuscirete a giocarvi la cosa.

Gli ex Educatori


          Come abbiamo visto nel capitolo delle Cause, ci sono i fuggitivi e i rivoluzionari.
Rispetto ai primi una delle difese migliori a nostro avviso è fargli comprendere che in fondo non è cambiato niente. Sono scappati da un posto perché non sopportavano più i colleghi nella speranza di non dover a che fare con altri educatori? Bene, assillateli, invitateli a tutte le riunioni, a tutte le feste. Andate a trovarli in ufficio e portatevi dietro l'utenza. Mandategli le famiglie. Insomma rendetegli la vita impossibile. Se vi va bene cercheranno di cambiare genere di lavoro, oppure si arrenderanno e vi lasceranno in pace. Il che sarebbe già un buon risultato.
          Con i rivoluzionari ovvero con quelli che pensano che un po’ più di potere gli permetta di cambiare il mondo, uno dei sistemi usati è quello di frustrare le loro aspettative, di deluderli. Arrivano lì belli belli in giacca e cravatta (o tailleur), con progetti megagalattici? Non discutete, accettateli, anzi magnificateli. Poi non fate più nulla! Lasciate che il tempo segua il suo corso. Quando poi vi chiederanno i risultati o lo stato di avanzamento del lavoro, accampate scuse dovute a emergenze varie, pastoie burocratiche:

- A che punto siete con il progetto di attivazione di un laboratorio di pedicure per la prevenzione delle unghie incarnite? - Ci stiamo lavorando sopra, ma sai com'è. Ci sono i soggiorni da organizzare e le scadenze sono immantinenti.-

-Dovreste darvi da fare, è un progetto al quale tengo molto.

 "E scrivitelo allora!"

- Stiamo facendo il possibile, ma il Dirigente (inchinatevi mentre lo pronunciate), vuole il prospetto ferie per ieri e dobbiamo ancora farlo, anzi in quanto responsabile vuole che lo firmi tu, quindi se puoi fermarti per qualche minuto vediamo di controllare che tutto vada  bene.-

In questo modo l'avete fregato. Non solo non gli avete fatto il progetto, ma l'avete anche obbligato a fare il suo lavoro, ovvero gestire i gruppi operativi. E' già un successo e anche se poi non vi sarà di nessun aiuto almeno avrete la consolazione di farvi qualche grassa risata ricordando la sua faccia quando si è accorto di doversi fermare in un gruppo di educatori che discutono.
Come si sa una risata è un ottimo antidoto allo stress.
C'è poi un ultimo sottogruppo dei capi ex educatori, quelli che per puro sadismo o per pura deficienza, rimangono nello stesso posto nel quale hanno fatto gli educatori.
Rispetto a costoro la vendetta è vostra! Fateli morire lentamente anche per noi.
Dato che questi tetri figuri già da educatori erano dei rompiballe in quanto perfetti o missionari, se adesso gliela fate pagare ne avete il sacrosanto diritto.
Quindi non fatevi venire scrupoli morali; ricordatevi quante volte avete vomitato bile perché erano dei colleghi coi quali era impossibile lavorare, quanto stress vi hanno fatto ingoiare. Ricordate le litigate con il vostro coniuge (che magari se ne è andato), la depressione, la solitudine. Ora è il vostro momento.
Se erano degli educatori perfetti, quelli che continuavano a farvi pesare la vostra incapacità, segateli sminuendovi ancora di più in modo che siano loro a dover fare tutto. Se invece erano missionari fate pesare loro come la loro assenza "front line" sia una cosa gravissima, che nulla più funziona. Fate in modo che si sentano in colpa e quindi facciano il doppio lavoro, il loro di capetti e il vostro di educatori.
Pensiamo comunque che in questi casi la fantasia degli educatori possa sbizzarrirsi adeguatamente per cui se a qualcuno di voi viene in mente qualche sana cattiveria da propinare a costoro, ce lo faccia sapere, cercheremo di farne un elenco da distribuire a tutti coloro che si trovano alle prese con un ex collega che fa il capo. E forse giustizia sarà fatta.

Gli Emigranti


          Con questi non è che ci sia molto da fare. In fondo fanno anche un po’ pena. Pensavano di trovare la manna e invece hanno trovato la merda. Cosa volete farci. Bisogna vedere che tipi sono. Se sono dei rompiballe che non riescono ad adeguarsi qualsiasi tipo di difesa è legittimo, se invece cercano di ambientarsi e si dimostrano volenterosi dategli pure un appoggio e spiegategli come vanno le cose. Tanto non vi crederanno e crederanno ai boss ma almeno, tentare non nuoce.
In sostanza è meglio verificare caso per caso.
Se tendono a imboscarsi nei loro uffici delegando a voi tutto il lavoro, bene sommergeteli di relazioni, richieste, lettere. Mandategli gli utenti, le famiglie, chiunque possa scalfire la loro tranquillità.
Se sono dei burocrati, magari perché arrivano da un apparato amministrativo di stampo rigido, ricordatevi che la burocrazia è un'arma a doppio taglio. Spesso ci impedisce di fare molte cose, ma a volte ci difende da inopportune ingerenze o pretese. Quindi usatela. Appellatevi a ogni cavillo, ad ogni circolare. Più rompono i coglioni più voi potete opporre qualche regolamento che se non li blocca almeno li limita. Vogliono le relazioni scritte bene e battute a macchina? Voi non siete dei dattilografi, consegnatele scritte a mano. Vogliono turni, orari e quant'altro in perfetto ordine, voi non siete degli amministrativi, è compito loro organizzare il lavoro dei gruppi. Vi chiedono elasticità ma non ne danno? Siate rigidi anche voi. Appellatevi al mansionario.
Certo con questi atteggiamenti si corrono dei rischi. Il primo è quello di non riuscire più ad essere operativi, a discapito dell'utenza e della professionalità, ma qui stiamo parlando di casi estremi nei quali l'operatività sarebbe comunque compromessa, quindi come si suol dire "a mali estremi, estremi rimedi".
          Capita a volte che arrivi gente di buona volontà, di grandi speranze ma di poco senso del reale, sono quelli che abbandonano posti comodi e poco impegnativi perché "vogliono fare qualcosa". Hanno un po’ l'atteggiamento del missionario ma non hanno le chiavi di lettura dell'ambiente socio-educativo. Restano dei pesci fuor d'acqua e ci vuole tempo prima che si rendano conto della realtà. In genere prima che questo succeda passano degli anni ed in genere vanno loro in B.O.
Con questi l'unico sistema è manipolarli, far si che le vostre verità diventino anche le loro, in tal modo saranno loro a portarle avanti rispetto ai superiori e le difenderanno come proprie. Sembrerà un po’ cinico, ne conveniamo, ma riteniamo che sia meglio che un capetto appoggi le progettualità che vengono dal basso piuttosto che sia succube di un boss le cui competenze sono ancora tutte da verificare. In questi casi quindi bisogna saper giostrare, ed in questo gli educatori dovrebbero ormai aver acquisito sufficienti abilità

I missionari


          Avere un capetto missionario è una bella rogna.
Non solo perché onnisaccente, onnipresente, onnivedente.
I missionari anelano al dono dell'ubiquità in modo da poter essere sempre e dovunque per portare il loro verbo e le loro idee.
Non sono in grado di dare spazio alle progettazioni altrui. Per loro gli educatori sono strumenti del divino disegno, del quale ovviamente sono gli unici depositari.
Combattere costoro non è semplice anche perché sono i primi a non risparmiarsi. In genere è inutile cercare di fare dei tentativi di sciopero bianco, tanto faranno loro quello che voi non riuscite (o non volete), fare. L'importante è che si proceda. Hanno un'incredibile capacità di attivare risorse umane che voi neanche vi immaginate: volontari, parenti, amici, cognati, suocere e cugini. In genere poi non si limitano al solo lavoro ma hanno anche altri molteplici impegni di volontariato (gruppi, associazioni), e purtroppo per gli educatori non sono molto bravi a scindere le due cose. Siete bravi a dipingere? Vi chiederanno di andare a dar loro una mano nel loro gruppo, così magari nel frattempo potete parlare del vostro progetto…malcelato ricatto?
Come difendersi? Negate sempre! Non sapete fare nulla. Al di fuori dell’orario di lavoro siete oberati da figli delinquenti, parenti moribondi, coniugi isterici. Non fatevi fregare. Se cedete anche una sola volta siete finiti e ricordatevi che sono vendicativi, quindi non dite mai “non ho voglia” ma sempre “non posso”.
Ma soprattutto fate in modo che non sappiano nulla della vostra vita privata. Lo sappiamo è difficile non raccontare mai nulla, anche fra colleghi. Ma anche i muri hanno le orecchie, ed anche i telefoni. Se malauguratamente vi scappa di dire che siete stati in montagna a fare un corso di roccia potete stare tranquilli che il capo lo verrà a sapere, lo memorizzerà ed al momento opportuno vi chiederà di mettere la vostra esperienza al loro servizio, pardon al servizio delle persone di cui, sul lavoro o fuori, loro si occupano.
Quindi silenzio assoluto su tutti i fronti.




LE CAUSE GLI EFFETTI COME COMBATTERE IL B.O. CONCLUSIONI

CONCLUSIONI


Questo lavoro ovviamente non è esaustivo. La nostra speranza è che qualche altro educatore un po’ rincoglionito come noi prosegua nell’opera sia di analisi sia di ricerca delle difese.
Perché come abbiamo ampiamente dimostrato il B.O. è sempre lì che non aspetta altro che noi molliamo un attimo per s-fotterci allegramente, lui. Noi un po’ meno.
Abbiamo comunque dimostrato come il B. O. possa anche essere evitato con qualche semplice accorgimento.
Non ci resta molto altro da dire per non essere ripetitivi. Molto di ciò che pensavamo lo abbiamo scritto, altri pensieri, ben più torbidi, lugubri, truci ma anche divertenti ce li teniamo per noi. In primo luogo perché ci teniamo alla nostra libertà personale e la galera non è prevista nel nostro futuro, perlomeno quello immediato. E poi perché alcune cose è meglio non dirle.

Quindi buon born out a tutti.

Ulceratico




  Note:
[0] Inserire a vostra scelta al posto delle X un nome scelto fra quelli qui esposti: Freud, Lacan, Montessori, Piaget, Spook, Marx, Pestalozzi, Klein, Garena, Hitler,  Ghandi, Bernardini, Basaglia, Il parroco, la lattaia.

[1] Per le eventuali lettrici tale esempio vale anche per loro. Sarà sufficiente modificare qualche piccolo particolare grammaticale ed anatomico. Gli autori ritengono che tali reazioni possano essere espresse da ambedue i sessi.

[2] Vale quanto detto alla nota 1.

[3] Anche questo esempio può essere modificato di genere. Anche le educatrici sono attaccate dai ragazzini.