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IL
BORN OUT E IL TIRO ALLA FUNE
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Questo libello tratta specificatamente del mio
lavoro, che è quello dell'educatore. E' volutamente ironico ma
ovviamente è maggiormente usufruibile dagli addetti ai lavori,
ovvero soprattutto ai colleghi. Non me ne voglia chi, lette le
prime righe pensa "ma questo che cavolo dice", ha ragione!
La prima
cosa che ci viene in mente pensando agli educatori ed al Born Out
(B.O.), è se esso è connaturato alla professione, ovvero se prima
o poi tutti ci caschiamo, o se invece è un fatto estrinseco al
ruolo: può capitare o meno, a seconda delle vicissitudini
lavorative e di quelle professionale e/o personali, del fato o del
culo posseduto.
Elaborare un manuale di sopravvivenza per l’educatore, cioè
trovare un modo di evitare il B.O. risulta quindi complesso e
disagevole se non sono ben chiari i presupposti teorici.
In un ambito di analisi sociologica che abbia un minimo di
scientificità, possiamo basarci e rifarci a quattro domande tipo.
Dopo di che proveremo a dare delle risposte.
1. Perché una persona, mediamente intelligente e con un
minimo di cultura (almeno il diploma di Scuola Superiore), decide:
a) di fare la scuola per educatori
b) di lavorare come educatore
2. La suddetta persona “è” un educatore o “fa” l’educatore?
Il dilemma, anche se di primo acchito può sembrare fazioso,
in realtà è un presupposto della massima importanza. Questo tema
cercheremo di svilupparlo meglio in seguito.
3. Perché nonostante le spalate di materiale organico e di
deiezioni varie che ci arrivano addosso continuiamo a fare gli
educatori?
Perché non apriamo un negozio di souvenir
thailandesi, oppure una birreria o non prendiamo in mano lo
studio da avvocato di papà?
4. Educare: chi, come, perché. E perchè mai?
Da una approfondita indagine effettuata su di un numero
imprecisato di colleghi, risulta che l’educatore lo si fa:
• Per fame;
• Per missione;
• Perché non si sa che altro cazzo
fare;
Proveremo qui di seguito a definire le varie tipologie di
educatori:
Gli affamati
Coloro i
quali lo fanno per fame hanno un minimo di giustificazione. E’
l’unico lavoro che hanno trovato e ne sono rimasti invischiati.
Resta da capire il perché continuano a farlo anche se nel corso
della loro vita hanno avuto altre possibilità: il babbo è andato
in pensione ed ha lasciato il negozio di frutta e verdura a
disposizione, lo zio si è offerto di assumerli come autisti, la
mamma ha bisogno di un aiuto nel negozio di estetista. Però loro
se ne fottono.
Continueranno a fare gli educatori anche se verbalmente
diranno sempre che non vedono l’ora di cambiare lavoro.
I missionari
Ci sono
poi coloro che lo fanno per missione. Sia l’origine di tipo
religiosa, ideologica o politica a noi poco ne cala.
Resta il fatto che è una scelta voluta! Non imposta dal
bisogno né dall’ansia di allocazione.
Pur non essendo la maggioranza risultano essere i più
pericolosi. Per il B.O. degli altri!
Sono talmente attivi e vivono il loro lavoro come obiettivo
unico della loro vita che sono in grado di farsi portavoce di
tutta la categoria, anche se questa mai nulla chiese loro.
Riteniamo che come sottospecie, siano gli unici alieni al
B.O., nel senso che anche se ci cascano, hanno talmente tanta
forza interiore e fede da non rendersene nemmeno conto.E qualcuno
ci dimostri il contrario.
Ci dispiace per i loro colleghi!
I cazzeggianti
La
maggioranza degli educatori però rientra in quella sottospecie di
individui che raggiunta una certa età, crisi dell’occupazione
permettendo, non sapevano che cazzo fare nella loro vita.
Nella norma costoro hanno già avuto altre esperienze
lavorative in altri campi e generi; una qualche militanza politica
e/o confessionale. Un rifiuto più emotivo che razionale per
l’arrivismo e la competizione, una sorta di viscerale, mal
espresso, inconscio senso della giustizia.
Si sono trovati a sperimentare, nonostante i consigli
contrari genitoriali e parentali fino al quarto grado, il lavoro
di educatore e li sono rimasti, trovando forse in esso un modo di
esistere e di provare a giustificare la propria presenza al mondo.
Molti arrivano dai Boy Scouts, altri dall’estrema sinistra, alcuni
da ambedue (ci sono le eccezioni, ma questi ultimi tendono ad
utilizzare le camere a gas).
La New Age attualmente in voga e qualche nano pelato
vagante in parlamento stanno spostando il mercato, ma a noi non
interessa. Stiamo parlando di professionisti seri, con anni di
esperienza sulle spalle; non di ragazzotti tronfi con tutte le
risposte in tasca o di mistici vaneggianti (buoni quelli).
Tornando quindi a bomba, se oltre a decidere di fare
l’educatore, un ragazzo nel fiore dell’età, per la quale il
maggior interesse dovrebbe essere rispetto all’altro sesso ed alle
piacevolezze che il casuale connubio potrebbe fornire, decide di
fare la scuola per educatori, le soluzioni sono poche:
• avrebbe dovuto essere meglio
educato;
• non sa che cazzo sta facendo;
• pensa di essere Dio;
Passiamo quindi al secondo quesito:
“siamo” educatori o “facciamo” gli educatori?
Come già espresso in precedenza la
domanda non è oziosa. Chi pensa di “essere” un educatore farebbe
meglio a terminare qui la lettura. Mai vorremmo incrinare le sue
certezze ultraterrene, la sua non riconosciuta (almeno da noi),
superiorità.
Noi, semplici mortali, “facciamo” gli educatori e ogni
tanto sbagliamo anche qualche volta più, qualche volta meno ma
tant’è.
Agli “dei” dell’educazione, ai loro accoliti, ai discepoli,
ai loro referenti, lasciamo la gloria e l’imperitura memoria.
Preferiamo rimanere umani!
C’è da dire che gli educatori con la “E” maiuscola, ovvero
coloro i quali “sono educatori” se ne fottono allegramente di
quello che i loro sottoposti morali possono pensare. Quindi
possiamo procedere, lasciando loro con estremo gaudio le
filippiche sul “verbo” educativo.
Riteniamo, più prosaicamente che ogni educatore è una
persona, ed in quanto tale portatrice di proprie idee, emozioni,
pensieri.
Facciamo gli educatori per fato, per scelta, perché la
brunetta che tanto ci piaceva ci ha proposto di lavorare con lei
nell’assistenza (ma poi non c’è stata), perché la mamma era
contenta che ci occupassimo degli altri (papà avrebbe preferito
che ci occupassimo dei soldi). Comunque sia, qua (it et
nunc), partiamo dal presupposto che facciamo gli educatori. Non lo
siamo. Al massimo qualcuno potrebbe rivendicare di avere un
diploma che lo definisce tale. A costoro ribadiamo che il pezzo di
carta in quanto oggetto, definisce una sorta di autorizzazione a
espletare (cioè fare), una certa professione; a svolgere un ruolo.
Non c’è scritto che uno “è” un educatore, ma solo che è abilitato
a farlo.
Arriviamo quindi al punto dolente.
Perché si continua a fare gli educatori?
Perché dopo anni e anni di prese in giro, di merda da
ingoiare, di utenza non rispondente, di superiori incapaci, di
politiche sociali fallimentari e chi più ne ha più ne metta,
continuiamo a fare gli educatori?
E’ un quesito da non trascurare. In primo luogo perché il
B.O. sul quale in questa sede stiamo ragionando, è relativo ad un
ruolo lavorativo specifico. Basterebbe (forse), cambiare ruolo per
risolvere il problema. Ma se il problema rimane e il ruolo non si
può o non si vuole cambiarlo... bhe ...qui gatta ci cova.
Infatti, guarda caso, la maggior parte degli intervistati
nel corso della nostra inchiesta ha candidamente ammesso che se
dovesse decidere di cambiare mestiere, non saprebbe cosa altro
fare.
Questo vuol dire che l’educatore è difficilmente
riciclabile. Oramai non sa fare nient’altro. E’ talmente preso dal
suo ruolo e dalle sue implicanze che non è in grado di trovare
un’altra occupazione.
Gli unici lavori che potrebbe essere in grado di fare sono
quelli a basso profilo, generici. Non pesanti ovviamente
perché l’età è quella che è e le botte prese durante la carriera
hanno ormai minato il fisico.
In sostanza i lavori adatti ad un educatore che vuole
cambiare mestiere sono quelli che normalmente vengono destinati ai
disabili o alle persone con dei problemi. Strano destino sarebbe:
da promotore di integrazione e di ricerca di posti ad hoc a
possibile utilizzatore degli stessi.
Non è facile la vita per un educatore.
Questo, ovvero il desiderio di rinnovarsi e di cambiare
professionalmente è per quanto concerne il B.O. una delle fasi più
pericolose.
Si rischia di cedere, di mollare le braghe e di lasciarsi
scorrere addosso la vita e i liquami che essa comporta.
Avete una
quarantina di anni, magari una famiglia da mantenere; vi
piacerebbe guadagnare qualcosina in più. La vostra macchina è da
rottamare ed i vostri figli rottamano a ritmi insostenibili
vestiti, libri, suppellettili e scarpe. Soprattutto le scarpe.
Voi è da quando avevate 14 anni che portate il 43 e vi va
ancora bene; loro (i figli), lo portavano a 12 e ora che ne hanno
16 sono già al 46. Praticamente un numero all’anno e tra estive,
invernali, classiche, da ginnastica, per i pattini, per gli sci
eccetera... vuol dire almeno una decina di paia di scarpe nuove da
acquistare all’anno.
In termini di costi, con il nostro attuale stipendio, la
visione si fa a dir poco apocalittica. Quindi, nella speranza che
la crescita dei figli si arresti quanto prima (e al diavolo se si
sentono inferiori, uno psicologo costa meno di un cambio di
guardaroba annuale), vi guardate intorno per vedere se c’è un
barlume di possibilità di cambiare lavoro.
Una delle ipotesi sarebbe quella di fare carriera
nell’ambito della professione stessa, ma sia che lavoriate per il
pubblico, sia per il privato, vi accorgerete subito che
l’esperienza maturata in tanti anni di onorata professione non vi
verrà assolutamente riconosciuta.
Un’altra possibilità sarebbe quella di fare una scalata
carrieristica al ruolo di coordinatore ma, calcolatrice alla mano
e volti di coordinatori conosciuti ben presenti in mente, fate il
classico 2+2. Non vi conviene poi più di tanto. Lo stipendio è più
alto, d’accordo, ma la differenza è normalmente irrisoria: quanto
un paio di scarpe da ginnastica.
Le responsabilità aumentano mentre il potere decisionale
diminuisce. Poi, sfiga non voglia, potreste trovarvi a coordinare
i vostri ex colleghi.
Orrore! Questo mai!
Comunque dovreste trovarvi a coordinare degli educatori e
conoscendo la categoria vi possiamo assicurare che la cosa non
potrà entusiasmarvi più di tanto.
Lasciate quindi questa ipotesi e guardate al mercato del
lavoro in generale.
La situazione è a dir poco desolante.
A parte l’aspetto occupazionale di per sé le aziende
cercano sempre gente dinamica, motivata, con esperienza,
disponibile ad essere schiavizzata e a fare tutto ciò che
l’azienda stessa ritiene necessario per il proprio profitto (cioè
quello dei padroni).
Ovviamente non è assolutamente credibile che alla vostra
età siate ancora così disponibili e vogliosi di spremere le vostre
residue energie per il bene dell’azienda e per il profitto del
proprietario. Nessun dirigente del personale potrà mai credervi.
Però
almeno, un diploma ce l’avete. Potreste sempre riesumarlo.
Se è umanistico siete fottuti. Senza una laurea non verrete
nemmeno presi in considerazione. Se al contrario avete un diploma
tecnico, consolatevi, siete fottuti due volte. Ormai persino
l’ultimo usciere della più piccola fabbrichetta produttiva ne sa
più di voi sulla produzione, sia essa chimica, meccanica o su
quant’altro il vostro diploma affermi che avete fatto finta di
studiare venti anni fa.
Scartata quindi l’ipotesi industriale non restano che due
strade:
mettersi in proprio oppure tentare un concorso pubblico in
un altro ambiente di lavoro (cultura, politiche giovanili,
istruzione, belle arti), qualcosa insomma, per lo meno, anche
lontanamente affine a ciò che avete fatto finora.
Bene. Toglietevi dalla testa quest’ultima ipotesi. Vi siete
mai chiesti come mai, soprattutto nell’ambito del servizio
pubblico molti coordinatori e responsabili dei servizi arrivano
dall’Istruzione o da altri Assessorati?
Perché anche da loro non ci sono possibilità di carriera e
quindi emigrano. Potete provarci ma quei pochi posti disponibili
andranno sicuramente a qualcuno dell’ambiente. Insomma le vostre
possibilità, a meno che non abbiate qualche santo in paradiso,
saranno meno di zero.
Vi rimane la possibilità di mettervi in proprio ma
considerando che i pochi soldi che avevate li avete usati per
pagare l’anticipo dell’alloggio, che il vostro mutuo scade fra 20
anni, che l’università dei vostri figli ridurrà le vostre finanze
all’osso, che ci sono le vacanze dell’anno scorso ancora da finire
di pagare e che quindi nessuna banca vi farà mai credito, vi
dovete ingegnare a reperire un’attività in proprio che non preveda
un grosso investimento iniziale.
Cercando di evitare i lavori illegali tipo scippi, furti e
rapine, ed escludendo quelli moralmente discutibili della serie
usura, spaccio di droga e prostituzione, se trovate qualcosa che
un vecchio educatore possa fare in proprio, fatelo sapere anche a
noi. Ve ne saremo eternamente grati.
In altre parole un educatore con una certa esperienza (o
vecchiaia), non è più riciclabile sul mercato del lavoro. Questo,
a quanto sembra, è uno dei motivi principali per i quali si
continua a fare gli educatori. Risulta quindi ovvio che il blocco
delle possibilità di modificare la propria posizione lavorativa
sia in termini di carriera sia di cambiamento totale, è una grossa
fonte di stress e di conseguenza di rischio di B.O.
Educare chi, come, perché. E perché mai?
Molti educatori giungono alla professione da esperienze nel
campo sociale. Altri da esperienze di precariato nello stesso
ambito.
Siano queste attività i soggiorni estivi o gli
accompagnamenti di disabili, siano lavori di animazione con i
ragazzini, collaborazioni con parrocchie o con enti vari,
organizzazione di feste per barboni, senza tetto, immigrati o
anziani, quasi tutti gli educatori quando cominciano a lavorare
sono più o meno convinti di sapere a che cosa vanno incontro.
E il B.O. è già lì, dietro l’angolo che attende
allegramente sghignazzando l’esame di realtà di un educatore
finalmente entrato nella “produzione industriale”, per ghermirlo e
strappargli a unghiate la pelle della schiena.
In generale sono tre i campi principali all’interno dei
quali un educatore si trova ad operare: handicap, minori, adulti.
E per favore non andiamo a cercare casi particolari come il
minore maghrebino con lieve handicap psichico o il polacco
clandestino con problemi motori o il napoletano senza fissa dimora
bisognoso di intermediatore culturale e di interprete. Stiamo
parlando in generale.
Quindi tre campi suddivisi in due grosse fasce: diurna e
residenziale.
Intervistando svariati colleghi e parlando con altri, si è
evidenziato come la maggioranza di loro abbia cambiato spesso
campo e fascia.
Abbiamo l’educatore che dal Centro Socio Terapeutico
(CST), è andato in una Comunità Alloggio perché stufo
di lavorare con handicappati che hanno esaurito le loro capacità
evolutive. Educatori che dalle Com. All. sono finiti nei CST
perché stanchi di fare turni stressanti e di non vedere mai i
propri figli. Educatori scappati dalle Com. All. per adolescenti
perché era la quarta volta che gli veniva rubata la macchina.
Gente andata ad operare sul territorio nella speranza di non dover
più dover essere costretto a lavorare con certi colleghi. Insomma
chi più ne ha più ne metta. In genere comunque si rileva che per
ogni cambiamento o anche solo di ricerca di una modificazione,
all’origine ci sia un certo disagio di tipo lavorativo o di
carattere famigliare.
Dal punto di vista lavorativo ci sono tutte le delusioni
che il nostro lavoro comporta rispetto alle aspettative che
fantasticamente ci siamo fatti. Non stiamo ad elencarle tutte
perché altrimenti più che un manuale di sopravvivenza, questo
libello sembrerebbe un muro del pianto epistolare.
Dal punto di vista personale si va dalla noia mortale per
aver visto per troppi anni le stesse facce di utenti e colleghi,
all’incazzatura di doversi occupare tutti i pomeriggi di qualche
figlio di puttana perché non stia sulla strada non sapendo se i
propri (figli), siano in giro a farsi spinelli o a rubare nei
supermercati. Tanto non hanno diritto a nessun servizio.
Spesso però il cambiamento di utenza e di fascia porta ad
un rimotivazione professionale dell’educatore.
Si ricordano due aneddoti divertenti. Due educatori che
parlano, una che opera in un CST e l’altro in una Comunità
Alloggio per minori:
- Penso che tra breve chiederò il trasferimento. Tutti i
giorni le stesse facce, gli stessi utenti.
Quello che si picchia da solo e le abbiamo provate tutte:
in 15 anni abbiamo tentato col comportamentismo, la psicoanalisi,
la sistemica, la psicomotricità, lo yoga. Non è cambiato niente.
L’altra, tutte le volte che ha le mestruazioni prende a botte
qualcuno. Mica i compagni vero? Quelli li fa solo incazzare. Tanto
per il climax. Però poi mena noi!
Voglio passare ai minori. Pensi che un posto ci sia?- Dice
l’educatrice in preda ad un certo nervosismo.
- Bho? Si. In fondo c’è molta gente che chiede il
trasferimento, soprattutto dalle comunità.- Risponde il collega,
leggermente preoccupato.
- Si lo immagino. I soliti problemi delle mamme con i
turni. Per fortuna non ho di queste menate. Non ho figli e i turni
nn mi preoccupano più di tanto.-
- Guarda che non è come credi, - cerca di dire l’educatore
con imbarazzo,- non è solo un problema di turni...-
-Si! Si!- fa l’altra - A chi la vuoi dare a bere. Lo sanno
tutti che appena si fanno dei figli gli educatori cercano di farsi
spostare sul diurno per seguire la famiglia. E’ nella logica delle
cose. Ma io sono ancora disposta a spendermi. Non ho paura di
qualche ragazzino incazzoso, dopo anni di psicotici ho visto
sicuramente di peggio.-
- No. Guarda. Forse non mi sono spiegato.- Cerca di
interloquire l’educatore nel tentativo di mitigare un entusiasmo a
suo modo di vedere mal riposto.
- Vabbè. Sarà anche più faticoso. Ma vuoi mettere? Cerca di
capire, fino a qualche anno fa nei CST arrivava gente dagli
istituti. Doveva crescere, potevi farci qualcosa. Inserimenti
lavorativi, convivenze guidate, abilità sociali e di autonomia da
recuperare. Ora i giovani disabili inseribili non passano più da
noi, al massimo ci chiedono di fare gli accompagnatori. Blah!
Giusto fargli prendere il pullman. Per il resto se ne occupano dei
burocrati che hanno perso il senso della ragione, della
continuità educativa. Ormai da noi arrivano solo più dei cadaveri;
possiamo cantargli la canzoncina, far sì che mantengano qualche
abilità. Ma in sostanza invecchiamo insieme; facciamo badanza,
altro che educazione. Tra un po’ non sarà più possibile
riconoscere l’educatore dall’utente. Invece voi almeno lavorate
per il futuro. Saranno dei ragazzini stronzi, dei figli di
puttana, famiglie a rischio, delinquenti. Però lavorate in
funzione di obiettivi specifici. Li tenete in comunità per qualche
anno ma poi li lasciate andare. C’è un lavoro dietro, una
crescita.
Non andate in pensione con gli stessi utenti. Avete almeno
un ricambio di facce, di storie, di ipotesi di lavoro.-
- Frena. Calma. Per come la dipingi tu sarebbe un paradiso
lavorativo. Guarda che la realtà è ben diversa.-
- Ma dai! Già il fatto che ogni anno, al massimo due,
cambiate utenza è incoraggiante. Facce nuove...-
- Si! Nuove storie!- Interrompe l’altro.- Col cazzo che è
così. Ti ritrovi con una ragazzina di 10 anni o un gagno di 8 e se
va bene te li tieni fino ai 14. Quando se ne vanno è perché lo
hanno deciso loro. Non certo perché la famiglia ha superato i
problemi.
Sempre che non facciano avanti e indietro dalla comunità a
seconda delle stagioni.
In Novembre c’è la raccolta delle olive, quindi tutti al
paese; servono braccia. A Gennaio non c’è niente da fare e fa
freddo. Sopportare i figli in casa? Non sia mai! E perché poi? C’è
la comunità, cosi magari li fanno studiare e recuperano quello che
hanno perso a Novembre.
Oppure ti trovi con la ragazzina che rientra in casa dalla
madre che prima faceva la puttana ma che poi ha smesso perché ha
trovato un brav’uomo che si guarda anche la figlia.
Eccome se la guarda. Prima se la fa e poi, schiaffone più
schiaffone meno le manda tutte e due, madre e figlia, a battere su
qualche marciapiede cittadino.
Ci sono nostre comunità dove hanno soggiornato in un arco
di tempo di 10 anni almeno 3 generazioni di utenti. Sai cosa vuol
dire?
Tu pensi che noi lavoriamo in guadagno, in crescita. Palle!
Guarda, forse è meglio continuare a cantare la canzoncina
agli handicapponi, almeno sai che cosa ti aspetta.
E non pensare che sul diurno o sul territorio sia molto
meglio. Magari gli fai passare l’anno scolastico, magari rallenti
le cose. Ma alla fine sei tu che sei perdente. Ti ritrovo
col fegato a pezzi, qualche minaccia di morte, la macchina
vandalizzata. Il telefono lo devi eliminare se non vuoi che ti
rompano le scatole anche di notte, ma non risolvi nulla.
Ti cercano quando sono nella merda. Ma non ne vogliono
uscire fuori!-
E’ certo
che ipotesi di questo genere non sono molto utili a creare
entusiasmo lavorativo e discrete aspettative. La percezione di non
avere scampo è un’ottima arma in mano al B.O. che, come sappiamo,
è sempre lì pronto a colpirci. Possibilmente a tradimento.
Prima però di cercare di capire come si possa prevenire,
curare, eliminare il B.O. è opportuno stabilire in maniera
scientifica quali ne sono le cause e quali gli effetti.
Essendo però causa ed effetto spesso fra loro in
rapporti di circolarità, abbiamo deciso di suddividere in “temi”
la vita di un educatore, lasciando all’intelligenza del lettore
l'analisi della collusione microscopica fra causa dello stress e
conseguenze dello stesso.
Noi ci limitiamo a dare degli indizi, il lavoro non può
ovviamente essere completo! E’ solo l’inizio di un’opera epica
rispetto alla quale viene richiesto il contributo di tutti gli
educatori interessati.
Ovviamente saranno preferiti quelli in
natura economica, alimentare, etilica, ludica. Se poi vi
viene in mente qualcos’altro, meglio ancora.
Non è
possibile in questa sede essere esaustivi rispetto alle cause del
B.O.. Ci permettiamo però di indicare quelle principali. I dati
sono ovviamente reperiti dalle schede e dalle interviste
effettuate in previsione di questo lavoro. Non daremo ovviamente
giudizi di valore ma vogliamo solo sottolineare quelle che, a
parere degli educatori che si sono espressi, sono le maggiori
cause di stress lavorativo. Usiamo in questo caso il termine
stress in quanto, sempre secondo gli educatori, è propedeutico al
B.O. vero e proprio. In una logica di prevenzione e tale vuol
essere questa relazione, ragionare sui motivi dello stress è di
per sé implicitamente un modo di prevenire l’insorgenza del B.O..
Tornando alle cause. Sono tantissime. Cercheremo,
suddividendole per capitoli, di spiegarne alcune.
L’UTENZA
Si sa per
certo che il lavoro dell’educatore è destinato ad una utenza. E’
altrettanto certo che l’utenza in questione non è l’ideale.
Lavoriamo sulle problematiche sociali. Sul disagio. Di per sé non
è semplice, se poi si vuole farlo bene, con un minimo di
cognizione di causa, la cosa si fa triste.
Sia che si lavori nel pubblico (sfiga), sia nel privato
(almeno ci si può vendere), il contatto con l’utenza è una
prerogativa irrinunciabile del lavoro educativo. A meno che non
siate degli imboscati che preferite mandare gli altri in prima
linea.
Il disagio sociale dell’utenza comunque si riflette
immediatamente nel disagio dell’educatore.
Sia che si lavori con l’handicap, sia con i minori o con
gli adulti, il fatto stesso di avere a che fare con persone che
oggettivamente hanno dei disagi, crea uno scompenso. Se da una
parte ci si può sentire in colpa per il fatto di essere dei
privilegiati (si fa per dire: a nessuno gliene frega niente se la
fidanzata vi ha lasciato o se non sapete con chi uscire alla
sera), dall’altro ci si rende anche conto che l’assistenza in
genere si autoalimenta. Voi cercate di fare di tutto perché un
utente si renda autonomo, indipendente eccetera, e questo vi
guarda in faccia e vi dice “e perché mai? Ci sei tu che ci devi
pensare.”
E’ comunque difficile trattare dell’utenza in maniera
esaustiva e completa. Per forza di cose siamo costretti a ridurre
la questione. Ci sembra ipotizzabile una suddivisione per “grandi
temi”, che sono poi quelli con i quali ci si confronta
quotidianamente.
L’handicap. Soprattutto quello mentale. Quello fisico
presupporrebbe una trattazione a parte e in quel caso l’ironia
potrebbe anche non essere di buon gusto per cui ci limitiamo.
Parliamo quindi della fetta maggiore di educatori, ovvero quelli
impegnati, sia nel pubblico che nel privato, nei CST, nelle
Comunità Alloggio, sul Territorio.
Ci sembra abbastanza evidente come il lavoro sull’handicap,
sia un lavoro in perdita. Nel senso che cerca di limitare i danni,
ma non ha nessuna possibilità di superarli. Certo si cerca di fare
il possibile in senso evolutivo, ma “gnugnu” sono e “gnugnu”
restano. Magari impareranno a prendere il pullman, oppure
riusciremo ad inserirli in un posto di lavoro ma la “normalità” è
un’altra cosa.
Ed è proprio qui che lo stress colpisce. Gli educatori
coinvolti nell’indagine hanno tutti espresso una grossa sensazione
di stanchezza nei confronti dell’utenza disabile proprio perché è
molto difficile fare un discorso di evoluzione. Soprattutto nei
CST (e analoghi), il rischio è di invecchiare insieme all’utenza.
Senza stimoli, senza risposte. Persi in un tran tran quotidiano
che uniformizza.
Invitate la vostra vicina di casa al ristorante e vi
trovate a mettere i piedi sul tavolo o a parlare di merda o ad
alzarvi e metterle il tovagliolo intorno al collo come se niente
fosse. D’altronde sono cose che fate tutti i giorni. Probabilmente
la ragazza non apprezzerà molto e chiamerà un taxi e voi vi
stupirete della cosa. Nessun problema. Quando si passano otto ore
al giorno in un certo ambiente può succedere. Il problema è che a
forza di avere a che fare con dei rifiuti e delle deiezioni uno si
sente un po’ isolato. Alla fine si è costretti a frequentare solo
educatori. Loro almeno capiscono. Però si crea un giro chiuso.
Questo è stressante.
Le botte che si prendono poi, sono tante. Chiedete a
qualsiasi collega che abbia avuto a che fare con gli handicappati
e sicuramente sarà in grado di raccontarvi alcuni gustosi episodi
di violenza. Non vogliamo parlare di quelli che escono sul
giornale ma di quelli più miseri, ma quotidiani, che fanno parte
del bagaglio di esperienze di un educatore di una certa data.
Un altro caso di stress sulla disabilità è quando ci si
affeziona troppo ad un ragazzo. Guarda caso tutti gli educatori
continuano a chiamarli ragazzi anche se hanno 60 anni. In questo
frangente si tende a perdere la concezione della realtà. Si
investe su uno solo, dimenticandosi degli altri e a volte anche di
se stessi.
Abbiamo visto educatori portarsi a casa gli utenti come
volontariato, al di fuori di ogni regola lavorativa o sindacale,
perché se lo “sentivano” dentro. Li abbiamo visti anche scoppiare
per le contraddizioni che mano a mano insorgevano fra il loro
ruolo di educatori professionisti e quello di sostegno a tutto
campo. Della serie lavorare in un modo o nell’altro 24 ore al
giorno, può essere distruttivo.
Analogo
discorso, pur se con alcune sfumature può essere fatto per i
minori. Quei poveri piccoli indifesi che cercate di togliere dalla
strada, dove si divertono, per mandarli a scuola. Per cui se
potessero, vi pianterebbero un coltello nella schiena e lo
girerebbero anche per vedervi soffrire. Sono comunque nei vostri
cuori. Ve li portate a casa a Natale e a Capodanno e poco importa
se oltre al regalo di prammatica si portano via anche il
portafoglio di vostro figlio, sempre che non lo convincano ad
andare con loro a fare “un giretto”.
Il minimo che può succedervi è che vi rubino le gomme
dell’auto e quando cercate di far capire loro che non è proprio il
massimo del comportamento che vi aspettavate vi risponderanno
tranquillamente che è nella loro natura. Sono o non sono seguiti
dai servizi sociali?
Quindi se vi trovate poi a picchiare vostro figlio perché
ha lasciato le mutande sporche per terra e non le ha messe nel
cestino apposito, non vi preoccupate più di tanto. Con qualcuno
dovevate pur sfogarvi.
Gli adulti non sono da meno. Tossici,
alcolisti, depressi, arrivano li e vi dicono:- La mia donna mi ha
lasciato. Sto di merda.-
Dovete dar loro un aiuto. Mica potete dirgli che anche la
vostra fidanzata vi ha mollato e non sapete dove sbattere la
testa.
Insomma bisogna sempre dare una mano a chi è nella
cacca ma nessuno pensa mai che nella cacca ci potete essere anche
voi.
Soffrite e lavorate. Se poi andate fuori di testa non avete
diritto alcuno. Al massimo vi licenziano o vi dicono che non siete
competenti; il che è quasi lo stesso.
In una maniera o nell’altra quindi non è facile il contatto
con l’utenza. Presupporrebbe un grande equilibrio, una grossa
disponibilità e la capacità di non fare troppi confronti.
LE FAMIGLIE
Gli utenti però non sono mai soli. Alle
spalle hanno quasi sempre delle famiglie, gli educatori raccontano
che spesso queste sono peggio degli utenti. Da quelle assistite da
generazioni, per cui c’è sempre qualcuno che pensa anche a loro a
quelle che chiedono guarigioni miracolose o servizi improponibili
o che dell’utente se ne fregano proprio ma non vogliono perdere il
denaro che porta a casa. Insomma ce n’è per tutti i gusti.
Non mettiamo in dubbio che il ricorrere all’assistenza e ai
servizi educativi sia un bisogno che affonda le sue radici in un
disagio. Affermiamo però, confortati dal pensiero di molti
educatori, che questo spesso esuli dal bisogno per divenire
un’abitudine. A volte a danno dell’utente realmente bisognoso. Non
è nostra intenzione fare una analisi sociologica, per la quale non
saremmo preparati, ma rimanendo nel campo dello stress nel lavoro
educativo ci risulta che anche le famiglie sono una buona fonte.
-
Penseremmo di inserire suo figlio al lavoro. C’è un posto adatto a
lui.-
Educatore che parla ad una mamma di un handicappato. La
madre risponde:
- Si ma la pensione?-
- Se lavora avrà uno stipendio.-
- Ma passa il pulmino?-
- No. Prenderebbe i mezzi pubblici. Ci pensiamo noi a
insegnarglielo.-
- E la mensa? E’ gratis?-
- Dovrà contribuire come tutti gli operai, ma per lui
sarebbe un grosso passo avanti.-
- E per l’estate?-
- Come per l’estate? Avrà il suo periodo di ferie come
tutti. Il solito mesetto.-
- Ecchè solo un mese. Io lo porto a darmi una mano a
raccogliere le pesche al paese, siamo sempre stati via due mesi mò
ora solo uno gli date? No così non va. Tanto ha la pensione. Qui
non paga il pullman né il mangiare. No No! Non parliamo di lavoro.
Va bene così!
Atteggiamenti del genere sono più frequenti di quello che potrebbe
sembrare e non aiutano certo a lavorare serenamente e lo stress,
malignamente, e li che ti chiede -“ma chi cazzo te lo fa fare?”-
Anche qui possiamo distinguere una serie di profili delle famiglie
assistite:
Assistenzialismo bieco:
Sono quelle famiglie alle quali
tutto è dovuto. In genere sono genetiche, nel senso che sono da
generazioni che vengono assistite.
Sono di casa ai servizi sociali, hanno ottimi rapporti
(magari armi alla mano), coi dirigenti e nessun senso di
responsabilità. Tutto è delegato. Tranne una cosa. I soldi! Per
loro qualsiasi tipo di servizio deve essere gratuito ma non solo:
l’importante è che sulla base del bisogno, presunto, inventato o
reale, ci sia un ulteriore finanziamento.
Sono quelle famiglie che arrivano con dei macchinoni da
dodici metri e vi dicono che non possono occuparsi della madre,
del figlio, della zia, perché devono andare a ristrutturare la
casa al paese e si incazzano anche se il sussidio non è pronto, se
la pensione è in ritardo o se la comunità non ha posto.
Per un educatore questo tipo di famiglia presuppone
un tipo di intervento molto problematico. Voi che viaggiate con un
catorcio vecchio di dieci anni e che non avete ancora finito di
pagare, che abitate in una casa in affitto perché non potrete mai
permettervi una proprietà, dovete rispondere al loro bisogno di
assistenza e di servizio educativo. Si continua a discutere sui
bisogni reali e su quelli indotti ma nel frattempo il vostro
lavoro vi impone di occuparvi anche di loro. Il massimo è quando
vi prendono anche per il culo, sfottendovi per la vostra
stupidità.
Con queste famiglie lo stress è assicurato.
Le Politicanti:
Sono una categoria particolare, sono
quelle famiglie che aderiscono a tutte le associazioni,
frequentano partiti politici, personalità pubbliche, non
disdegnano neanche di andare in TV a piangere sul loro drammatico
fato. Agli educatori richiedono di essere promotori di rivoluzioni
epocali, culturali e sociali. Salvo poi dimenticarsi che sono dei
lavoratori come gli altri e usarli come capro espiatorio quando le
cose non funzionano come loro avrebbero voluto. Ovviamente non
andranno a verificare se è proprio la politica (e i loro amici
politici), che non hanno assolto al loro dovere. La colpa è sempre
dell’educatore che non si è prodigato abbastanza. Anche con queste
famiglie sarà facile andare sotto stress. Non ce ne vogliano, i
diritti sono diritti, ma possiamo rivendicarne qualcuno anche noi?
Ultimamente poi si sta verificando sempre più uno strano fatto.
Queste famiglie, associate, rivendicano il diritto ad essere loro
a gestire i servizi, a loro uso e consumo, spesso senza neanche
pensare poi troppo all’utenza, ma con i soldi del contribuente…
Un po’ come se un malato di appendicite rivendicasse la
capacità diagnostica e volesse essere operato al cuore… Ma?
Le Timido - Dignitose:
Sono quelle che arrivano
all’ultimo minuto perché non ce la fanno più. Si vergognano di
chiedere aiuto a chicchessia e lo fanno solo se costrette. Non
vogliono pesare, non desiderano dare fastidio. Spesso non sanno di
avere dei diritti. Bisogna andarle a cercare, stanarle, non sempre
è facile. Ci fanno sentire quasi come un accessorio, potresti non
esserci e per loro la realtà non cambierebbe poi di molto.
Provate a spiegare loro che una società civile si deve occupare di
tutti e non solo dei prepotenti e dei profittatori. Sono talmente
umili che fanno venire agli educatori un senso di colpa. Quindi
via con gli straordinari non pagati, con le ore di sonno perse,
con le telefonate da casa. Anche in questo caso lo stress è in
agguato; già di per sé ci si chiede se è giusto intervenire poi,
lo sconforto di sapere che mentre altri hanno di tutto e di più
anche se non dovuto ci sono persone che non hanno mai
usufruito di nulla ci fa sentire delle merde. Perdiamo tempo con
gente che cerca solo di sfruttare l’occasione per i propri
interessi e ci scappano di mano le situazioni di vero bisogno. Se
uno si ferma a pensarci non ha neanche il coraggio di guardarsi
allo specchio al mattino.
Sarà anche per questo che molti educatori hanno la barba e
le educatrici non si truccano quasi mai?
Ovviamente non possiamo qui entrare nel merito di ogni famiglia.
Diverso sarà l’approccio ai servizi educativi a seconda dei
singoli casi.
Dalla mamma dell’handicappato che non vuole inserirlo al
lavoro perché la pensione equivale ad uno stipendio e nel
frattempo ha gratuitamente il servizio di un centro diurno, al
padre spacciatore che vuole un inserimento in comunità perché ha
beccato il figlio a farsi una canna.
Insomma ne abbiamo per tutti i gusti. Peccato per il povero
educatore al quale tocca cercare di mettere ordine in questi
marasmi mefitici.
A scapito della propria salute e dell’integrità mentale già
normalmente provata.
Tutti gli educatori si sono prima o poi trovati ad essere
minacciati di morte, castrazione o violenza carnale (a seconda del
sesso), da qualche genitore particolarmente incazzato. Molti si
sono trovati con le gomme dell’auto tagliate o i finestrini rotti.
Parecchi hanno dovuto cambiare numero di telefono.
Quello che però fa imbestialire e che non si può reagire
umanamente. Bisogna altresì mantenere alto il profilo
professionale, ingoiare il rospo senza neanche l’ausilio di
un Fernet e pensare che magari qualche ragione ce l’hanno anche
loro. Peccato che spesso la colpa non sia vostra ma di cose e
strutture più grandi di voi. In quanto ultima ruota del carro, ma
anche, con termine tecnico, front line, sarete voi a subire i
primi contraccolpi di una qualsiasi delusione da parte delle
famiglie.
Insomma le aspettative e le illusioni e le conseguenti
disillusioni delle famiglie vengono normalmente sfogate sugli
educatori che spesso nulla possono fare al riguardo.
I COLLEGHI
Dalle analisi effettuate sui risultati delle schede di rilevamento
dati emerge, in tutta la sua portata culturale, un dato
particolarmente significativo e denso di contenuti.
Dalle risposte ottenute sembra che il gruppo di lavoro,
inteso genericamente come l’insieme di colleghi coi quali ci si
trova quotidianamente ad operare, siano una delle classiche
fonti inesauribili di stress, demotivazione e B.O.
Conoscendo vizi e virtù della classe educatrice la cosa non
ci può certo stupire.
Dalle interviste effettuate emergono delle “costanti
comportamentali” che ci consentono di elaborare dei “profili”
entro i quali determinati atteggiamenti, comportamenti e posizioni
possono essere integrati.
Ci preme però soprattutto sottolineare ed analizzare i
profili che con il loro modo di operare si sono maggiormente
rilevati come apportatori di stress all’interno del gruppo di
lavoro.
In altre parole cercheremo di definire quali sono gli
educatori più rompiballe ma soprattutto, in un secondo tempo, come
fare per eliminarli o anche solo per disinnescare o limitare il
loro potenziale distruttivo.
I perfetti
In
primo luogo, come educatori rompiballe, secondo i sondaggi, ci
sono gli educatori perfetti, gli onnipotenti. Qualsiasi cosa
facciano, foss’anche pulire i cessi o cambiare un pannolone, lo
faranno sicuramente meglio di voi, con una maggior valenza
educativa. Fin qui sarebbe il meno. Il problema grosso è che non
solo sono convinti di essere i migliori, ma vogliono convincere
anche voi. Se anche una semplice operazione, come il cambio di un
pannolone, voi lo fate nella stessa identica maniera da loro
ideata, non andrà lo stesso bene.
O avete un atteggiamento sbagliato, troppo morbido o troppo
duro, o non fate abbastanza attenzione agli aspetti emotivi della
cosa o ne mettete troppa. Il colore del vostro maglione non è
consono all’ambiente e forse anche il vostro deodorante non è
funzionale all’intervento che dovevate fare.
Insomma ogni vostro atto viene vagliato, analizzato e
valutato da queste figure che tutto sanno, tutto hanno letto,
tutto hanno sperimentato.
Generalmente non sono persone votate al lavoro o
all’utenza; hanno una vita privata e altri interessi. Loro non
devono sforzarsi di imparare delle cose nuove, sanno già tutto.
Insomma visti dal di fuori sembrano anche simpatici. Hanno del
fascino.
Problematico è lavorarci insieme, soprattutto in situazioni
di contiguità quotidiana.
Il massimo dell’effetto stressante però lo ottengono al
momento in cui il gruppo di lavoro deve prendere delle decisioni.
Sono bravissimi nel demolire qualsiasi teoria e punto di
vista dei colleghi; dotati di un sorriso da carnivoro a 46 denti e
di una parlantina sciolta e fluente, espressa in un italiano
perfetto e farcito di tecnicismi dal significato oscuro, ma che
nessuno si può permettere di ammettere di non conoscere, sono in
grado di fare passare ore di riunione su cavilli etici o formali.
Quando poi il gruppo, ormai esausto dalla disamina di centinaia di
alternative, sta per gettare la spugna e rimandare la decisione,
arrivano loro. Belli, tranquilli e riposati, vi sfornano la
soluzione con aria subdola e saccente, della serie “siete delle
bestie ignoranti che non capite niente”.
In genere le loro soluzioni sono pragmatiche. Se voi vi
siete persi sulla moralità di una decisione, vi sputeranno in
faccia la necessità politica. Se al contrario avete analizzato
l’opportunità politica di una presa di posizione vi svergogneranno
con la chiara limpidezza della necessità di una svolta etica.
Ovviamente le decisioni le avevano già in testa in
precedenza e guarda caso, sono sempre quelle a loro più confacenti
e convenienti e come al solito voi avete torto e loro ragione.
Se poi alla fine il tutto si risolve in un fiasco non
preoccupatevi. La colpa sarà senz’altro vostra perché non avete
compreso l’ambito dell’operazione e la sua portata. Non vi diranno
mai:- Perché non hai fatto come ti ho detto?- Oppure:- Non hai
eseguito gli ordini.- Sarebbe poco elegante. Se voi foste
intelligenti avreste dovuto capire da soli che cosa andava fatto.
Ma se non avete neanche capito quello che loro vi hanno detto di
fare, allora siete proprio irrecuperabili.
Avere a che fare con gente del genere è, alla luce delle nostre
analisi, oltremodo stressante; gli educatori che lavorano con
colleghi che rientrano in questo profilo hanno un’ottima
probabilità di andare in B.O.
Al contrario, loro, i perfetti, dal B.O. ne sono quasi
immuni. Da un lato perché sono più che convinti che una cosa del
genere a loro, non potrà mai capitare, dall’altro perché in
generale, non restano mai troppo a lungo nello stesso posto.
Dopo un certo lasso di tempo, sufficiente a far esplodere
il gruppo e a mandare i colleghi in tilt, consci della loro
superiorità intellettuale e della oggettiva impossibilità di
lavorare con persone così incapaci, si trovano un altro luogo di
lavoro e un altro gruppo da distruggere.
In questo profilo troviamo anche alcuni “carrieristi”. Sono
coloro i quali non si limitano a cambiare gruppo di lavoro ma
decidono, in quanto esseri superiori, di essere destinati a mete
più alte come coordinare il lavoro degli altri, organizzare corsi,
seminari, dedicarsi all’amministrazione.
Se è stressante averli come colleghi, averli come capi è da
suicidio. Ma ne parleremo quando affronteremo il tema dei
superiori.
I missionari
Un
altro tipo di educatore particolarmente rompiballe è quello che,
con buon senso comune, viene definito: ”il missionario”.
Al contrario del precedente e dei comuni mortali, i
missionari, non lavorano per vivere ma al contrario vivono per
lavorare. L’unico scopo della loro esistenza è di occuparsi di
qualcuno o di qualcosa a tempo pieno.
Sono coloro ai quali le ferie bisogna imporle e quando
partono si portano dietro un utente oppure vanno a fare delle
ferie di volontariato, ma ogni settimana sicuramente, vi
telefoneranno sul lavoro per sapere come vanno le cose.
Il loro livello di creatori di stress è lievemente
inferiore a quello offerto dagli “dei” per il semplice motivo che
loro non si sentono superiori a voi, anzi sono i primi a chiedervi
consigli su come operare, a coinvolgervi; magari alle tre del
mattino, per telefono.
- Ciao, scusa, lo so che non è l’ora, ma non riuscivo a
dormire. Continuo a pensare a Paolino e mi sono venute in mente un
paio di soluzioni.-
- D’accordo, ma non potremmo parlarne domani? Sai com’è,
stavo dormendo e quando squilla il telefono nel cuore della notte
penso subito che sia schiattato qualcuno! Il che non mi rende
proprio dell’umore adatto per parlare di lavoro.-
- Si ti capisco, mi dispiace, ma è importantissimo. Ne va
del lavoro di un anno...-
E via di questo passo fino a quando non
avrete ascoltato tutte le teorizzazioni, le soluzioni, le analisi,
le interpretazioni e le alternative ipotesi di intervento sul
fatto che Paolino, che so, si mette le dita nel naso.
All’indomani, quando arriverete al lavoro stremati e con
gli occhi pieni di sonno, l’educatore missionario vi verrà
incontro con il sorriso sulle labbra:- parlare con te ieri sera,-
“ieri sera? Ma se era notte fonda!”- mi ha fatto molto bene sai?
Sono riuscito a capire alcune cose. Il tuo contributo è stato
essenziale.-
Il fatto che voi non abbiate detto niente è irrilevante.
L’importante è stata la vostra presenza, anche se intercalata da
ippopotameschi sbadigli e da qualche minuto di silente ronfare.
D’altronde a loro poco cala di quello che voi fate o
pensate, la loro è una missione e comunque sia vanno avanti per la
loro strada. Continuano ad essere stupiti del fatto che dopo 15
ore di lavoro non abbiate più voglia di andare ad una riunione
serale di educatori o ad una presentazione di un libro (educativo,
sull’educazione), accampando come scusante, flebile ai loro occhi,
che non vedete i vostri figli dal mattino e vostro marito
dalla sera prima. Se poi siete single, siete fottuti. Con quale
cuore, di fronte agli immensi problemi dell’educazione
contemporanea, con casi che dovrebbero strapparvi lacrime di
disperazione e suscitare in voi uno sdegno tale da mettere in moto
la vostra voglia di reazione ed il vostro desiderio di operare
fino allo stremo delle vostre forze, come potete, ora, declinare
un dibattito con il luminare XXXXXX (1) solo perché avete un
appuntamento in birreria. Non vi verrà detto di vergognarvi ma
leggerete una tale riprovazione nei loro languidi occhioni, che
come minimo vi dovrebbe togliere il sonno per una settimana per il
senso di colpa.
Se
invece giunti alla seconda media rossa con anche solo una remota
ipotesi di poter concludere la serata a casa della simpatica
biondina con la quale state amichevolmente chiacchierando di
atletica leggera, non pensate né al caso né alla collega, non vi
preoccupate. Forse siete fra i pochi educatori ancora sani di
mente rimasti in circolazione.
Gli imboscati
Un
altro profilo di educatori rompiballe e quindi fonte di B.O. per
chi sta loro accanto, sono i cosiddetti “imboscati”.
Sono quei colleghi che per un motivo o per l’altro si
cercano e costruiscono una “nicchia ecologica” dalla quale è
difficile schiodarli.
- Cose ne dite di fare una festa in quartiere?-
- Ah no. Qui le feste si fanno solo a natale e con gli
inviti già pronti. Usiamo ancora le fotocopie del natale 1975.-
- Ci sarebbe da dare un contributo operativo all’iniziativa
della Circoscrizione...-
- Se proprio volete fate pure. Io resto qui. Era meglio
quando non c’era tutto sto casino.-
Insomma sono quelli che vivono una tranquilla routine e soffrono e
fanno soffrire se questa gli viene anche minimamente modificata.
Qualsiasi novità li manda in ansia, ogni nuovo ingresso di
personale o di utenti crea loro degli scompensi psicofisici che in
genere sfociano in un discreto periodo di mutua.
Per loro la tradizione è legge. Ogni cambiamento è vissuto
come rivoluzione universale e mina le basi della loro
organizzazione di vita.
Di per sé non sono particolarmente pericolosi, sempre che
si accetti lo status quo e non si cerchi di modificarlo. Nel
momento in cui però, per un qualsiasi motivo, gli si cambia le
carte in tavola la loro reazione può esser veramente
destabilizzante.
Possiamo dividerli in due sottospecie: gli struzzi e le
serpi.
Gli struzzi di fronte ad un cambiamento anche minimo
tendono a mettere la testa sotto la sabbia e ad aspettare che il
maremoto passi e che torni il solito tran tran. Vi faranno
diventare matti con i loro -“non so..., forse..., però in
genere..., noi facevamo...” - e via dicendo. Si appelleranno alla
tradizione, alla sua sicurezza. Non vi boicotteranno apertamente
ma non muoveranno un dito per aiutarvi a modificare le cose. Se
poi i vostri cambiamenti risulteranno vantaggiosi anche per loro
non vi diranno certo grazie. Lo daranno per scontato, anzi
sicuramente era da almeno una decina di anni che loro pensavano la
stessa cosa solo che non erano sicuri che fosse il momento giusto
per proporla e quindi hanno tralasciato.
Le
serpi invece non si limitano ad essere passive ma si propongono in
prima persona per rovinare qualsiasi iniziativa. Sono quelle
persone che godono nel vedere i colleghi che litigano fra di loro.
Le banderuole che appoggiano prima uno e poi l’altro a seconda di
come ritengono sia più conveniente. Sono quelli che vivono di
pettegolezzi sotterranei, di telefonate anonime, di rapporti
privilegiati con i capi, per cui dopo che voi vi siete fatti il
mazzo per progettare qualcosa di nuovo, vi verrà negato da
superiori perché, in separata sede le serpi ne avranno già parlato
coi capi, segandovi in partenza.
Sembra che siano i più amati dai superiori in quanto sono
sufficientemente furbi da non entrare in competizione con
loro ma anzi appoggiano ogni loro decisione, se poi queste sono di
disturbo al loro quieto vivere, continueranno come se niente
fosse. Incolpando però voi dell’insuccesso di ogni iniziativa.
In genere sono stanziali. Nel senso che non amano spostarsi
da un posto di lavoro all’altro. Per cui alla fine, quando i
gruppi vanno in crisi, le altre persone se ne vanno o vengono
mandate via, mentre loro riescono a rimanere salde al loro posto.
D’altronde non è mai colpa loro se un gruppo non funziona ma
sempre di chi arriva fresco fresco con idee nuove, a loro ostiche.
Le ostriche invece le apprezzano, soprattutto se offerte dai
superiori, coi quali, come già detto, hanno un rapporto
privilegiato.
Lavorare con costoro è stressante in quanto ci si sente
praticamente in gabbia. Qualsiasi cosa si faccia è sbagliata ma se
non si fa niente, in quanto impossibilitati, si viene considerati
imbecilli e destabilizzanti. Ovviamente sono bravissimi a gestire
rapporti funzionali con l’utenza , con le famiglie eccetera.
Rasentano quasi una certa aria di clan o di mafiosità. Non
stupitevi se alla domenica al posto di stare con la propria
famiglia si avventureranno su per gli erti monti in
cerca di funghi col genitore di un utente, fa parte del loro modo
di lavorare.
Ovviamente non lasceranno traccia del loro lavoro. Non
troverete progetti, relazioni, verifiche, nulla di nulla di
scritto. Solo la loro parola. E che ciò vi basti.
I burnoutizzati
Come
già detto in precedenza, qui esaminiamo solo i profili degli
educatori che sono fomentatori e creatori di stress. Ovviamente
esistono anche altre modalità lavorative, ma non è questa la sede
per dibatterne. Ci limitiamo quindi a definire a grandi linee
l’ultimo profilo. Quello dell’educatore in B.O. conclamato.
Costoro, poverini, hanno tutta la nostra solidarietà, ma in
questa sede dobbiamo essere scientifici, analitici e oggettivi.
Quindi, solidarietà a parte, siamo costretti a dire che un collega
in B.O. è di per sé pericoloso.
Nel senso che il B.O., a quanto sembra, è contagioso. Quasi
virale.
Anche se non è facile definire il B.O., né diagnosticarlo
su di una persona, tutti noi nell’arco della nostra carriera
abbiamo prima o poi avuto a che fare con un burnoutizzato.
L’incoerenza dialettica, le crisi esistenziali,
l’incapacità di elaborazione, l’inaffidabilità e via dicendo, sono
i sintomi che dai colleghi vengono colti.
Normalmente si parla di B.O. rispetto a chi ne soffre, meno
purtroppo a chi deve subire il collega in B.O.
Non
è nostra intenzione fare anche una disamina di questa casistica,
che lasciamo ad un altro momento; resta comunque significativo,
soprattutto in termini di prevenzione, il fatto che il B.O. è
trasmissibile per via aerea. Peggio di un raffreddore. Quindi, in
un ottica di superamento dello stress, sarà opportuno tenere conto
anche di questo fattore.
GLI EDUCATORI E I FIGLI
Perché parlare dei figli degli educatori? Cosa c’entrano con il
B.O.?
Ebbene, nonostante le apparenze contrarie c’entrano e
molto.
In primo luogo perché spesso subiscono le conseguenze del
B.O. genitoriale ma soprattutto perché altrettanto spesso ne sono
una concausa.
Ma procediamo con ordine. I pargoli degli educatori sono
fra i bambini più problematici e rompiballe del mondo. Superati
forse, solo da quelli degli psicologi, degli psicoanalisti e degli
insegnanti.
Normalmente o sono dei selvaggi “Devono crescere esprimendo
tutta la loro creatività” o sono delle lagne mostruose che non
possono neanche permettersi di aprire bocca che mamma o papà o
entrambi sono lì, testi classici alla mano, per stabilire fasi,
momenti, eziologie fenomeniche eccetera.
Sarebbe quindi meglio diffidare dei figli dei colleghi, ma
soprattutto dei colleghi con figli.
Impossibile invitarli a cena. Se i figli sono dei selvaggi vi
trovate con la casa smontata in men che non si dica e non potrete
neanche lamentarvi in quanto mentre il frugoletto sta beatamente
distruggendo la vostra preziosa collezione di francobolli
appiccicandoli alla tappezzeria, vi permettete di pronunciare un
timido:
- Scusa caro, ma queste sono cose che un bimbo non dovrebbe
toccare. Se vuoi ho ancora del Lego da qualche parte,- che verrete
fulminati dallo sguardo educativo - supervisionale del genitore.
- Insomma. Non puoi castrare così il pupo. In fondo è la
prima volta che viene a casa tua, (“e anche l’ultima” pensate
voi), deve fare conoscenza con lo spazio, ha bisogno di
introiettare il movimento abitativo in un’ottica di comprensione
del luogo tempo inerente il processo di crescita maturativa...-
- Si ma sono francobolli che valgono un sacco di soldi.
Erano del nonno.- Fate voi ormai angosciati.
- Cosa vuoi che sia qualche pezzo di carta appiccicaticcio
rispetto all’equilibrio psico - affettivo di mio figlio. Se adesso
glieli togli rimarrà sicuramente traumatizzato. La paghi poi tu
l’analisi?-
- No, cioè, scusa, non voglio assolutamente traumatizzare
nessuno -“e neanche pagare l’analista”- sarà che sono un po’
stanco e forse dovrei andare a dormire presto.- Questo lo dite
anche se siete solo al secondo piatto, nel tentativo di limitare i
danni. Chissà a cosa passerà dopo i francobolli se gliene date il
tempo.
- Sai domani sarà una giornata pesante...-
- Si certo, capisco, anche per me sarà dura. Lavoro al
mattino ed ho un sacco di impegni ad alto livello. Poi al
pomeriggio devo andare a parlare alle maestre di Paolino. Non che
lavorino male, insomma anche loro sono delle professioniste.
Solo che, ecco, non mi convincono alcune delle attività che gli
fanno fare, perché sai, lui è in quel periodo di crescita durante
il quale...-
La
prossima mezz’ora è dedicata all’anamnesi psico - socio -
educativo - affettiva del malefico gagno il quale, ormai
ritappezzata la stanza coi vostri francobolli si è dedicato a
colorare a pennarello la vostra collezione di fumetti.
Fortunatamente quelli erotici sono troppo in alto per le sue
piccole manine altrimenti verreste uccisi all’istante per aver
attentato alla sua crescita sessuale.
Giunti finalmente al termine di una estenuante serata sarete
ovviamente invitati a casa loro in modo da poter meglio
comprendere le dinamiche famigliari di un ambiente educativamente
costruttivo, atto a porre in essere tutte le risorse
biocompatibili per una perfetta maturazione, eccetera.
Questo se vi capita il selvaggio. Se invece per vostra sfortuna
beccate lo “psicologizzato” sarete sicuri di salvare le collezioni
di francobolli e di fumetti ma non si potrà dire altrettanto della
vostra integrità mentale.
Il fanciullo resterà li, immobile su una sedia, in attesa
di ordini superiori. Guarderà la mamma in attesa di un cenno di
riscontro positivo prima di servirsi per la seconda volta del
gelato che avevate comperato apposta per lui. Non avrà nessuna
macchia sul vestito e non cercherà mai di alzarsi da tavola prima
della fine della cena e neanche dopo.
Se malauguratamente, cercate di discutere, o anche solo di
chiacchierare di qualcosa che non siano le sue fasi di crescita,
ovviamente differentemente definite da mamma e papà, vi
ritroverete all’incrocio di sguardi allibiti e furenti.
- Forse non è il caso di parlare di questo!- La mamma.
- Certo in questa fase evolutiva la comprensione può essere
equivoca.- Il papà.
- Ma io volevo solo...- cercate di interloquire.
- Si ma da un professionista come te ci si aspetta un po’
più di attenzione.- Vi interrompe uno dei due genitori.
- Bhè. Veramente sarei fuori servizio.- Cercate di
giustificarvi con un po’ di ironia. Ma ovviamente la risposta che
otterrete sarà del tipo:
- Si capiamo. Ma anche tu non puoi dimenticare la tua
cultura e la tua preparazione. In te cerchiamo anche un appoggio
nel migliorare le tecniche educative cui sottoponiamo nostro
figlio.-
“A quando la vivisezione?” Ma questo lo pensate solamente.
Se
per sdrammatizzare e per allontanare il pargolo dal tavolo dal
quale non si era ancora scollato e rimaneva impettito a guardare i
genitori, gli proponete di andare in camera a fare un giochino col
vostro PC, sarà la mamma a saltare su.
Chissà perché ma sono sempre le mamme ad essere le
più apprensive.
- Quale gioco vuoi fargli fare?-
- Ma non so, uno qualsiasi, sceglierà lui, io gli faccio
vedere come funzionano e poi lui si arrangia...-
- Col cavolo che si arrangia. Prima mi fai vedere che
giochi hai, poi decidiamo se sono adatti a lui. Non è che sei
collegato coi pedofili americani Eh?-
- No. Cioè, io. Non è così facile collegarsi. E poi il
modem è spento.-
- Sicuro che non c’è niente di inadatto alla sua attuale
fase di crescita?-
- Bhè. Non so. Sono solo giochini.- Fate voi imbarazzato.
- Giochini, giochini. Stiamo facendo di tutto per evitargli
una crescita troppo frettolosa ed emotivamente instabile. Sai che
certi giochi creano uno stimolo alle violenza che poi e difficile
da gestire...-
Voi pensate che se il pupo le desse un sonoro calcio negli
stinchi, sarebbe una violenza più che giustificata che non
dovrebbe essere gestita, bensì agita. Ma lo pensate solamente
mentre fate vedere a mamma il giochino prescelto, fra i più idioti
e meno divertenti fra quelli che avete.
Ovviamente dovrete giocare tutte le schermate, anche se non siete
mai arrivati oltre alla quinta perché vi siete sempre rotti le
balle prima. Devono controllare tutto. Che non ci sia nulla di
pericoloso.
Quando alla fine sedete Paolino col mouse in mano davanti
al PC, sperate di risolvere la serata facendo una tranquilla
chiacchierata; tirate fuori una bottiglia di liquore, le sigarette
e fate per tornare in cucina o in salotto pensando di essere
seguito dai genitori, essendo ormai il piccolo impegnato per
almeno un’ora.
Errore!
Entrambi saranno a fianco del fanciullo, prodighi di
consigli su come svolgere il gioco e per evitargli i traumi della
sconfitta. L’unica loro reazione sarà alla vista della bottiglia e
delle sigarette.
- Non vorrai mica fumare nella stessa stanza di Paolino
vero?-
-No certo. Pensavo di andare di la e sederci tranquilli.-
- E lasciarlo da solo davanti al computer? Non ci penso
nemmeno. E metti via quella bottiglia. Non vogliamo che prenda
certi vizi.-
A voi non resta che ubbidire e sedervi
in attesa che Paolino, con il costante aiuto dei genitori, finisca
il gioco. La vostra speranza che gli venga sonno in fretta sarà
frustrata. Il sonno gli verrà all’ora giusta.
E quando questa sarà giunta, avrete da ottemperare ad un
contro invito a casa loro, al quale non potrete sottrarvi; per
vedere la sua cameretta, i suoi giochi, il suo spazio nel quale
crescere equilibrato...eccetera.
In
un modo o nell’altro non si può scappare da un invito a cena dei
colleghi con figli. Sarà che a forza di lavorare coi figli degli
altri, normalmente disagiati che porta a sopravvalutare i propri.
Resta il fatto che prima o poi verrete cuccati e invitati a cena.
Sarà magari dopo una riunione protrattasi a lungo:
- Dai, già che siamo qui vieni con noi che ci facciamo due
spaghetti.-
O sarà un invito più formale:
- Domani (ovviamene Venerdì o Sabato sera), facciamo una
cena fra amici. Perché non vieni anche tu?-
Inutile dire che a certi inviti non si può dire di no.
Dovendo lavorare per cinque giorni alla settimana con le stesse
persone, un no ad un invito a cena potreste pagarlo per almeno un
anno.
Se
finite a casa del “selvaggio” avete poco da fare. Farà tutto lui.
L’abitazione non è una normale casa ma un laboratorio euristico a
disposizione del bambino.
Non preoccupatevi se mangerete patatine con la marmellata,
mozzarella con la nutella e torta con la maionese. Che volete.
Sicuramente avrà cucinato lui o perlomeno avrà ordinato a mamma
come cucinare, la quale, ovviamente entusiasta vi proporrà i
piatti più ripugnanti, commentandoli amorevolmente.
- Assaggia questo. Gorgonzola mantecato con zucchero,
marmellata di prugne e dadini di pancetta. E’ un gusto un po’
strano ma interessante. Sai Paolino è in una fase di scoperta dei
gusti e gli piace sperimentare cose nuove.-
E’ inutile cercare di evitare l’assaggio
con scuse del tipo che il gorgonzola non lo digerite e che la
marmellata di prugne ha sul vostro intestino un effetto quasi
immediato, dovrete mangiare volenti o nolenti. Mica vorrete
castrare la creatività di Paolino, frustrando la sua iniziativa
culinaria, non assaggiando la sua produzione? Vorrete mica
traumatizzarlo?
E mentre cercate di ingerire le peggio schifezze che mente
umana possa inventare, vi toccherà anche sorbirvi la
videocassetta della carica dei 101, l’ultimo disco di Cristina
D’Avena e la lettura ad alta voce di Biancaneve.
Il tutto ovviamente in contemporanea e a volume
altissimo.
Il
Paolino selvaggio non è certo uno di quei bambini che giunti ad
una certa ora vanno a letto. Sicuramente vorrà sperimentare la
vostra resistenza al sonno ed alla noia sottoponendovi tutti i
suoi disegni degli ultimi tre anni, seguiti da una scatola di
meccano con annesso progetto di aereo che neanche all’Alenia sanno
fare, ma che voi sarete costretti, inginocchiati sul pavimento a
cercare di montare, con Paolino che vi confonde i pezzi mentre
mamma lo guarda entusiasta sospirando.
Guarda il pupo ovviamente, non certo voi né le gocce di
sudore che imperlano la vostra fronte. Né udirà lo scricchiolio
sinistro (e anche destro), delle vostre ginocchia doloranti e
neppure la strana piega che ha ormai assunto la vostra schiena.
Insomma dovrete subire fino a montaggio completato. Il prodotto
sarà, grazie all’aiuto di Paolino, simile ad un aeroplano quanto
può essere simile una nave ad un carro armato.
Ma se provate a fare delle modifiche alle modifiche del
gagno, il quale terminata l’enfasi creativa sta accompagnando alla
batteria la colonna sonora di Phocaontas, verrete immediatamente
fucilati sul posto. In primis da Paolino stesso, che
sperimenterebbe su di voi la sonorità delle bacchette sulla pelle
non conciata. Subito dopo dalla madre, inviperita perché una
giornata così ricca e creativa (per Paolino, non per voi), debba
finire in maniera così traumatica.
Non sarete al sicuro se non dopo aver raggiunto la vostra
casa, chiuso la porta a doppia mandata e staccato il telefono.
Paolino è già in grado di usarlo!
Se
invece capitate a cena dal Paolino psicologico, cominciate pure
col lasciare a casa le sigarette o al massimo in macchina. Non
portate la canonica bottiglia di vino. Verrebbe bevuta dopo la
maggior età di Paolino.
Non portate fiori alla mamma. Il pupo potrebbe fare
confusione e chiedersi (sic!), se per caso fra voi e lei non ci
sia qualcosa di losco. Non portate dolci, gelati, o alimenti vari:
ciò che non compra la mamma non è buono.
Al massimo può essere consigliabile recuperare dalla
libreria un classico della psicologia infantile. Inutile
sottolineare che il tomo deve essere di stretta osservanza della
scuola seguita dai vostri ospiti pena l’espulsione a vita
(magari), dalla cerchia degli intimi.
Consigliamo anche di premunirsi di un kit di sopravvivenza,
da lasciare rigorosamente in macchina, composto da almeno: 2 Alka
Seltzer, 1 pacchetto di sigarette, 1 bottiglietta di fernet, 1 di
brandy o grappa, 6 lattine di birra o 1 bottiglia di vino bianco,
1 pacchetto di fazzoletti di carta, 1 di salviettine umidificate.
Se poi i genitori sono di scuole diverse, come spesso
succede, lasciate perdere anche i libri ma non offritevi di lavare
i piatti. Paolino è abituato a vedere in cucina le stesse figure.
Un cambiamento sarebbe traumatico.
Giungete quindi a mani vuote, macchina piena e mente
aperta.
Sarà sicuramente Paolino stesso a farvi da guida in
casa per dimostrarvi la propria appartenenza e l’ottima conoscenza
dello spazio abitabile.
Con dolcezza potrete fermarlo, accampando una gran fame
quando, ormai giunti in camera sua ed annotato tutti i giochi in
ordine alfabetico o per categorie logiche, comincerà a
raccontarvi, in ordine cronologico, tutti i racconti della sua
collezione di Topolino.
Se siete fortunati alle vostre spalle avrete papà che,
citando i sacri testi, vi spiegherà esaurientemente la differenza
psicologica fra Paperino e Topolino. Se siete sfigati ci sarà
anche la mamma che mentre la pasta scuoce, vi parlerà del ruolo
della donna nei fumetti per bambini.
La cena sarà un miscuglio corretto di proteine, vitamine,
sali minerali. Il tutto praticamente privo di gusto ma sicuramente
equilibrato.
La conversazione, di alto livello (vietati sport, motori e
sesso), sarà infarcita da mammeschi incitamenti a Paolino:
- Dì al nostro amico perché le carote crude con lo yogurt
fanno bene?-
- Perché assommano le proprietà dei bacilli vivi con le
proteine del latte e le vitamine delle carote non denaturate.-
Risponde saccente il pupo.
- Visto?- Fa papà.- Stiamo cercando di far crescere in lui
la scintilla della curiosità intellettuale, anche per quanto
riguarda una alimentazione sana ed equilibrata.-
E via con frivolezze del genere.
Al dolce, di latte di soia, con succo d’acero e capperi, il
discorso si fa più serio: Paolino e la scuola.
Alla tisana di verbena con punte di asparagi e fiori di
camomilla in tazza (tocco di eleganza trasgressiva), la
discussione può aprirsi ad argomenti più pregnanti.
E’ papà che ovviamente inizia.
- Lasciamo stare la scuola, sappiamo tutti che gli
insegnanti non hanno mai letto XXXXXXXX 1. E’ meglio parlare di
cose più piacevoli. Lo sai che Paolino...”-
E li comincia la vostra Waterloo:
Paolino a cavallo, Paolino In piscina, Paolino a messa, Paolino
agli scouts.
Paolino lì presente che compunto annuisce, ma sottotono,
senza cercare di apparire.
Se siete sfigati oltre agli aneddoti vi toccherà subire
anche le foto. La vostra sfortuna è proverbiale se vi toccano
anche le diapositive.
Se poi dovrete subirvi anche i video amatoriali lasciate
perdere. La vita non fa per voi.
Come si dice, quando si arriva al fondo, non resta che
scavare. Ma se al posto di un Paolino vi trovate con una Paolina,
era meglio se vi portavate il piccone. Nessuno potrà esimervi
dall’assistere ad un saggio di danza eseguita per voi, solo per
voi, in cucina e senza accompagnamento musicale.
All’ora canonica, non un minuto prima non uno dopo, il pupo
dovrà andare a nanna.
La mamma lo accompagnerà in bagno per le quotidiane
abluzioni serali, mentre voi resterete col padre che vi parlerà
dell’importanza dei momenti precedenti la messa a letto.
Verrete salutati da un Paolino perfetto nel suo pigiamino
demodè con gli orsacchiotti e vedrete scomparire entrambi, mamma e
bambino con un:
- Buonanotte a tutti.- del pupo e un:
- Torno subito.- Della mamma.
Dopo un quarto d’ora passato per lo più in silenzio,
cercando di reprimere la voglia di fumare, anche il padre si
alzerà:
- Vado a rimboccargli le coperte. Sai è importante che a
quell’età la figura paterna sia presente e non solo aleatoria. Ti
lascio solo cinque minuti. Non ti dispiace vero?-
- No figurati. Magari vado sul balcone...-
-Si ma non fumare, con la porta aperta il fumo arriva fin
di là.-
E mentre voi pensate al balcone
come possibile strumento di: omicidio di una famiglia intera, fuga
rocambolesca da una situazione assurda, suicidio, anche il padre
si allontana, lasciandovi solo con i vostri truci pensieri.
Dopo un quarto d’ora di attesa cominciate a cercare
qualcosa da leggere in giro, ma a parte libri di psicologia e
pedagogia infantile non trovate altro se non dei Topolino o dei
Tiramolla. Oppure dei libri didattici sulla vita delle formiche o
sulla vita sessuale del panda maggiore (quasi estinto), disegnato
da un pedagogo professionista che ha fatto attenzione anche alla
psicologia dei colori. Infatti nessuno aveva mai visto un panda
azzurro e fucsia! Ma si sa. Per la psiche dei bambini...
Dopo un’ora di solitudine cominciate ad essere inquieti. La
voglia di fumare si fa pressante e il pacchetto che vi gira nella
tasca non aiuta.
Il pensiero del brandy chiuso nel cruscotto della macchina
invoglia ad alzare le tende. Ma l’educazione (il super io?), la fa
da padrona e restate tristi, silenti e assorti, assisi al vostro
posto, in attesa del ritorno dei genitori.
Quando dopo un’ora e mezzo, uno per volta, fanno il loro
ingresso in cucina, i loro volti sono radiosi. Per nulla consci
del dramma che avete appena subito, non hanno la più pallida idea
dei pensieri, fugaci e incontrollabili che vi hanno colpito.
Non immaginano le visioni che voi avete visto dietro alle
vostre palpebre socchiuse, dei loro corpi spiaccicati sul
marciapiede, cinque piani più in basso, o del corpo di Paolino
lanciato sui loro mucchi d’ossa rovinati da attenta tortura.
No. Sono ansiosi di raccontavi come, chissà perché, forse,
anche la vostra presenza, abbia stimolato Paolino a farsi narrare
una favola fino alla sua conclusione. Cosa mai accaduta prima.
- Ti immagini,- fa mamma,- prima arrivavamo alla dodicesima
pagina e si addormentava. Oggi, dopo una così bella serata, ha
voluto rimanere sveglio fino alla fine. E’ un grosso passo avanti,
un’evoluzione. Chissà se domani vorrà farsi leggere di nuovo una
fiaba fino alla fine?-
- Dev’essere una fiaba molto lunga.- Fate voi per
sottolineare che sono assenti da ben 130 minuti. Ma l’appunto non
viene colto. Anzi.
- No. E’ breve, sedici pagine. Ma noi non le leggiamo come
tutti gli altri. Cerchiamo di interpretare i personaggi, di dar
loro una voce. Poi, quando qualche frase è più complessa ci
fermiamo per spiegargli le allegorie, le metafore, i significati
simbolici. Sai bene che le fiabe hanno contenuti apologetici
diversi a seconda del modulo di lettura utilizzato. Noi vogliamo
che il linguaggio usato sia consono al suo livello di crescita e
quindi...bla...bla...-
La
scusa della riunione dell’indomani o della relazione da fare, per
la quale sarebbe opportuno documentarsi è nei confronti di questo
tipo di persone un’ottima scusa per riuscire a svignarsela nel
minor tempo possibile.
E se giunti in macchina vi fate la bottiglietta di brandy
accompagnata da una birra e da quattro sigarette una in fila
all’altra prima ancora di accendere il motore, non vi preoccupate.
Siamo solidali con voi.
Anche una cena quindi può essere un presupposto al B.O.. Ma se
siete persone normalmente equilibrate non avrete molto da temere.
Alcune riunioni coi superiori possono essere molto peggio.
Vacanze con colleghi e figli (loro)
C’è
solo una cosa che, rispetto ai figli dei colleghi, può veramente
distruggere una persona e mandarla fuori di testa: le vacanze con
i colleghi e con i loro figli!
Se non vi è mai capitato, siete persone fortunate.
Già prima di partire le avvisaglie ci sono, ma
difficilmente le potrete notare. Andando via con dei bambini è
normale che ci si preoccupi dei luoghi, delle risorse, dei
divertimenti eccetera. Ma quando oramai avrete dato il vostro
assenso e non potrete più tirarvi indietro, cominciano i problemi.
Se avrete scelto un qualsiasi posto di tipo stanziale:
campeggio o albergo, sicuramente non sarà adatto al ragazzino. O
non c’è abbastanza animazione o ce n’è troppa; l’alimentazione non
è equilibrata; il mare sporco e la sera c’è troppo rumore. Insomma
se aveste optato per fare le ferie in un monastero a meditare
sarebbe stato meglio.
Ma non è ancora il peggio. Se malauguratamente vi foste
associati ad un viaggio itinerante, non avete scampo. Sarà una
tortura.
Se pensavate di partire con la macchina carica solo della
vostra roba, scordatevelo; la “loro” auto non sarà mai abbastanza
capiente per contenere tutte le cose “assolutamente indispensabili
e necessarie” per il bambino. A seconda dell’età potrete
trovarvi a caricare sulla vostra auto m3 di pannolini:
-Laggiù sicuramente non li troviamo-
Ttricicli, biciclette, filtri per l’acqua.
- Ma la compriamo in bottiglia.-
- Non importa. Magari ci sputano dentro
all’imbottigliamento.-
Per continuare con decine di chili di carta igienica.
- Là la fanno ancora con il petrolio.-
Omogeneizzati, pappine e pappette varie. Giocattoli
di tutti i tipi, compresa la pista per automobiline che sviluppa
tre Km di percorso.
- Non si sa mai. E se piove?-
- Ma come la monti. In tenda? E l’elettricità?-
- Non importa, va anche a pile.-
Quindi caricherete anche pile, integratori
vitaminici, un pronto soccorso che neanche la protezione civile
possiede, maschere, pinne, scarponi da montagna, ramponi,
piccozze, salvagenti, canotto, tavola da surf, corda da
arrampicata.
- Ma non andiamo verso il mare?-
- Se si è itineranti, non si sa cosa si incontra. Meglio
essere previdenti.-
Probabilmente sarete voi a dover rinunciare alla vostra
attrezzatura fotografica, per far posto alla scatola delle
costruzioni del pupo.
Si
narra nei circoli di categoria, di una vacanza in Turchia di un
gruppo di educatori con al seguito una bambina di dieci anni. A
quanto si racconta, ma non si sa se la storia è vera, tutto il
gruppo dovette girare fino a notte fonda per il centro di Istanbul
(che non è New York e nemmeno Torino), per trovare un ristorante
che avesse gli spaghetti al ragù, in quanto la malefica ragazzina
voleva gli spaghetti a tutti i costi e li voleva al ristorante.
Non si accontentava di quelli portati da casa e cotti sul
fornellino.
No, lei li voleva al ristorante, magari servita da un
cameriere in costume locale. Li desiderava in maniera così morbosa
che erano due giorni che non mangiava obbligando così il gruppo a
raggiungere la capitale in fretta e furia, unico posto in cui ci
fosse qualche possibilità di trovare l’agognato ristorante.
Non è dato di sapere come sia andata a finire la storia.
Ovvero se la bambina è stata soffocata con 10 Kg. Di spaghetti
scotti infilati in gola, se è stata annegata nel Bosforo, se è
stata scambiata per due cammelli o se è tornata sana e salva a
casa per raccontare alle sue amiche i trucchi del ricatto
alimentare.
Rimane come notazione l’enorme rischio che si corre nel
fare le vacanze con colleghi con prole al seguito.
Se poi ci andate con il fidanzato/a, non chiedetevi perchè
al ritorno vi pianta preferendo a voi un bancario/a, o un
idraulico/a. Oppure rimane con voi ma a due condizioni
inderogabili: non farete mai dei figli e alle ferie ci
penserà lui/lei.
Vacanze con una collega
Capita a tutti, prima o poi, di conoscere e
frequentare una collega anche al di fuori del lavoro. E’
abbastanza normale. In genere si finisce per frequentare gli
stessi ambienti, le stesse persone. Può quindi anche capitare che
in un attimo di smarrimento del lume della ragione o più
propriamente, non sapendo come organizzare altrimenti le vacanze,
ci si trovi ad affrontarle con una collega.
In linea di massima è la disperazione per non aver
trovato nessun altro compagno in tempo, magari perché dovete
prenderle a Maggio per via dei turni o perché i colleghi non hanno
ancora deciso quando fare le ferie e vi comunicano che
cominceranno con un po’ di mutua.
Il risultato è che, vedendovi così depresso e demotivato,
una collega vi propone di andare in vacanza con lei, o con loro.
Ovviamente, a seconda del carattere della collega, potreste essere
coinvolti in ordine di obbrobrio:
• Vacanze di “volontariato”;
normalmente in ambito affine al vostro lavoro quotidiano.
• Vacanze “ecologiche” a ripulire
qualche bosco o riattare qualche rudere.
Scoprirete solo in seguito che il bosco è dello zio e
il rudere del cognato della collega. Non vi preoccupate. Le cose
vanno così. E poi d’altronde l’ha fatto solo per il vostro bene
no?
• Viaggio ascetico-meditativo in qualche località
orientale. Vi basterà controllare le vaccinazioni, procurarvi
degli antidiarroici e fare testamento. Nella speranza di tornare.
• Viaggio di avventura in gruppo. Ovviamente
prima di partire non conoscete nessuno. E neanche al ritorno. Se
vi sembrerà di essere la “buona azione del gruppo” non vi
sbaglierete poi di molto. Il peggio che vi può capitare è di
essere il capro espiatorio di tutti i guai che immancabilmente
succederanno.
• Viaggio con educatore con figli.
Ma di questo ne abbiamo già parlato in un altro capitolo.
• Voi due soli.
Ci
limiteremo a parlare di quest'ultimo in quanto a nostro avviso
risulta essere il più pernicioso in assoluto.
Ingenuamente avete pensato che, in fondo, partire solo voi due non
sarebbe poi stata la soluzione peggiore.
D’altronde, se vi siete abbassati ad accettare questa
ipotesi è perché non avevate nessun’altra possibilità.
Per cavalleria, per pigrizia, nonché per non
pregiudicare già dall’inizio la riuscita delle vacanze, lascerete
a lei la scelta del luogo o dei luoghi e il tipo di sistemazione.
Data l’esiguità degli stipendi degli educatori siete
praticamente sicuri che, se va bene, finirete in un campeggio
greco, spagnolo o croato. Unici paesi non distantissimi nei quali
l’Euro ha ancora qualche potere d’acquisto relativamente al vostro
stipendio. Vada quindi per il campeggio.
In fondo, pensate voi, l’importante è non andare da
soli.
Il primo problema si presenta quando è ora di decidere come
sistemarsi: una tenda o due?
Sicuramente con una tenda sola potreste risparmiare
qualcosa, ma appena proponete questa ipotesi si apre la prima di
innumerevoli battaglie.
- E secondo
te dovremo dormire insieme?-
- Ho una
tenda da quattro posti. – Dite sottolineando implicitamente che
non sarete costretti a dormire appiccicati.-
- Non è che
ci vuoi provare?- Ribadisce incollerita.- Con me? –
Quel “con me?” vi lascia molto
perplessi. O è un esame di realtà molto ben fatto, quasi a dire
“sarebbe una delle poche volte che qualcuno, non ubriaco o cieco,
ci prova”, oppure è proprio una domanda con un sottofondo
leggermente minaccioso: “se ci provi te lo taglio”.
- Se andiamo in vacanza insieme è perché sono buona.
Voi la guardate dall’alto in basso, da
destra a sinistra. Vi rendete conto che il rapporto è di circa 1:1
e decidete di mantenere le vostre precedenti conclusioni: provarci
con lei non fa parte delle vostre perversioni e che se fosse solo
per voi due l’umanità sarebbe già estinta.
Ovviamente non potete esprimere ad alta voce i vostri
pensieri, sicuramente si offenderebbe e vi chiederebbe:
- Perché. Cos’ho io che non va?-
E dato che un trattato di teratologia non sarebbe
sufficiente a descriverla, vi limitate ad un composto:
- Il rispetto che ho per te mi impedirebbe un
qualsiasi approccio che non sia di affettuosità amicale.-
Il che vuol dire che il “Buon
Giorno” al mattino, quando la vedrete con gli occhi impastati, i
bigodini in testa e una vestaglia a fiorami larghi un palmo, vi
sforzerete di offrirglielo lo stesso.
- Mi limitavo a considerare che con una tenda sola
potremmo avere un risparmio forfettario di circa il 30%. Il che
significa poterci permettere qualche cosa in più in termini di
beni di consumo.- Cercate di mediare.
- E ora che mi ci fai pensare, mio cugino quest’anno si è
fatto il camper, quindi non usa la tenda, la sua è un igloo
famigliare, doppio abside con camere separate e veranda
centrale, facile da montare, pagheremo per una tenda ma sarà come
dormire in due tende separate.-
Così rabbonita la tenda unica in multiproprietà passa
l’esame.
Il luogo ovviamente, lo ha già scelto lei:
- Sai me lo ha raccomandato una mia amica che ci è andata
con marito e figli, un paesino stupendo, ci sono tutti i servizi.
I giochi per i bimbi, le serate con spettacoli di burattini, il
cinema con i cartoni animati. Pensa, dice che nei bagni pubblici
c’è anche il fasciatoio.-
Voi pensate, sorridendo amabilmente, che
siete due adulti e che il fasciatoio potrebbe essere messo anche
nel confessionale della chiesa, per quello che vi riguarda, i
burattini appesi a testa in giù ai lampioni della strada
principale con le pellicole dei cartoni animati che fungono da
corda. Ma sempre sorridendo vi limate ad un:
- D’accordo ma tu che ne pensi, non sarebbe più
interessante fare una vacanza itinerante? Mi spiego. Potremmo
fermarci qualche giorno in quel paesino e poi spostarci, cercare
un altro campeggio, visitare altri luoghi...-
- Ah no!- Vi interrompe.- Non ci penso nemmeno di montare e
smontare la tenda ogni due o tre giorni, caricare e scaricare la
macchina e cercare un campeggio decente. E magari finire in un
buco di culo dove non c’è niente di carino. Non se ne parla
neanche. Ho solo un mese di ferie e vorrei godermelo in santa
pace. Mica penserai di andare in uno di quei posti pieno di
ragazzini, con le discoteche, i negozietti e i locali notturni?
No?-
Voi che ingenuamente avevate pensato proprio ad un posto
del genere, nella remota possibilità che qualche ragazza nordica,
precoce, libertina e un po’ miope avrebbe eventualmente accettato
la vostra compagnia, vi rassegnate a passare un intero mese in una
specie di kindergarten con una pia illusione che vi vagola nei
meandri del cervello. Che qualche mammina solitaria, una volta
sistemato il pupo in qualche attività “ludico ricreativa ad alto
contenuto educativo” si lasci stupire, commuovere, affascinare,
erotizzare, intenerire, impietosire dalla vostra solinga presenza
e vi rivolga la parola.
- No no, figurati. Per meglio comprendere la cultura di un
paese è meglio starci per un po’. Se si gira troppo si perdono i
particolari.- Dite anche se non con troppa convinzione.
- Certo, e in più potresti portarti da dipingere. Mi ha
detto la mia amica che ci sono due scogli sulla spiaggia che hanno
dei colori bellissimi.-
Il fatto che voi non sappiate tenere un pennello in mano
non la scalfisce nemmeno. L’immagine aulica di vedervi dietro un
cavalletto con un basco in testa, una camicia bianca chiazzata di
colori e un foulard al collo mentre dipingete un pezzo di roccia,
con lei, assisa ai vostri piedi, che si lascia cullare dalla
brezza marina tenendo leggiadramente fermo sul capo un cappellino
di paglia a tesa larga con una manina l'ha commossa. E mentre
l’occhio le si inumidisce vi dice con voce suadente:
- Vedrai. Saranno vacanze tranquille ma bellissime.
Finalmente potremo toglierci dal casino e fare un po’ di sana vita
nella natura. Una sana colazione al mattino, senza fretta, un giro
in spiaggia, un pranzo leggero, un riposino, la merenda, spiaggia,
doccia, cena, passeggiata in paese e gelato. E che belle dormite.
In un mese saremo come nuovi.-
Il calcolo delle calorie giornaliere che avete fatto
mentalmente mentre vi indicava i pasti principali, spuntini
esclusi, si aggira sulle 7000 Cal/die. In un mese sarete
sicuramente nuovi.
Nuovi obesi...
Nella speranza di poter, almeno in loco, modificare la routine
giornaliera con qualche escamotage o qualche golpe, cominciate a
preoccuparvi dell’organizzazione pratica.
La tenda la mettete voi. La macchina anche.
Guarda caso lei viaggia ancora con un vecchio
catorcio che ha bisogno di un cambio d’olio ogni 100 Km. Il
tavolino lei non lo possiede perché è sempre andata con altri che
ce l’avevano. Ma le minuscole e consunte sedie del vostro kit, non
reggerebbero certo il suo peso. Dovrete quindi sobbarcarvi
l’acquisto di un tavolo e di due sedie capienti. Il fornellino e
la batteria da cucina sono anni che vi seguono fedelmente ma
neanche loro vanno bene.
- E quello sarebbe un fornello? Scusa ma quello va bene si
e no per fare il caffè. Per campeggiare bene ci vuole almeno un 3
fuochi con mobiletto, se no dove metti la roba? E anche le
pentole. Piuttosto prendi quelle di casa tua. Ma antiaderenti mi
raccomando. Altrimenti come facciamo a cucinare il pesce comprato
al porticciolo, davanti ai pescherecci? Non trovi?-
“Pescherecci che sono anni che non si muovono da li, mentre
il pesce viene scaricato dai camion frigoriferi che arrivano dal
Baltico” pensate.
- E poi,- continua lei,- occorre una veranda o un tadzebao
con un tavolino di servizio o uno scaffale per gli alimentari no?-
Forse intendeva gazebo, ma fa lo stesso. L’importante è
capirsi.
Insomma dopo aver rinnovato completamente la vostra attrezzatura
da campeggio e averla adeguata a quella necessaria ad una famiglia
di 6 persone, siete quasi pronti a partire.
Avete caricato la macchina con logica, pensando che
non dovendo lei portare altro che gli effetti personali, lo spazio
sia sufficiente. Sbagliato.
Quando vi presentate al suo uscio, in perfetto orario, con il
classico:
- La macchina è qui sotto in seconda fila, se prendi il tuo
zaino...-
Le parole vi si strozzano in gola,
mandandovi di traverso la colazione e il doppio zabaione che vi
siete fatto in previsione della giornata. Lei è in accappatoio,
con i capelli bagnati. Ai suoi piedi, nell’ingresso,
un’interminabile serie di valigie, borsoni, borse, zaini e
sacchetti vi attende.
- Un attimo e sono pronta. Il tempo di asciugarmi, farmi la
ceretta e truccarmi e poi ci sono.-
E mentre voi spostate la macchina prima
che passi il carro attrezzi e ve la porti via, andate a comprare
le sigarette, anche se in macchina non potrete fumare, leggete
mezzo giornale al bar tirandovi giù due grappini per tirarvi su il
morale, nell’appartamento della vostra collega sta avvenendo una
sciagura biblica.
Quando dopo un paio d’ore suonate nuovamente al suo
campanello, la scena che vi appare agli occhi è campale.
Bermuda stile Hawaii sotto il ginocchio (per fortuna),
camicia a righe tipo pigiama del nonno, azzurre e marroni a
maniche corte, collana di conchiglie al collo, orecchini di finto
corallo e madreperla da 3 etti ciascuno e capelli arricciati al
ferro.
- “Cosi fa più giovane”.-
Ai piedi sandali a zeppa alti 20 cm. Le valigie sono
aumentate.
- Mi sono ricordata che una volta alla settimana in
paese danno una piccola festicciola. Mica posso andarci con
la roba che metto in campeggio no?-
- No certo,- fate voi sempre più increduli,- però non so se
ci sta tutto sulla macchina...-
- Sai mi sono sempre chiesta perché non l’hai ancora
cambiata,- fa lei,- vivi solo, non hai figli, non hai grosse
spese, potresti comprarti una station wagon.-
“Anche tu” pensate voi, “guadagni quanto me”, ma lasciate
stare e dite diplomaticamente:
- Prima o poi farò anche quello ma ho avuto altre spese,
sai com’è.-
- Si si, me lo immagino. Sempre uguali voi maschi.-
“Non ti immagini un bel cazzo di niente, brutta
stronza.” Pensate, sempre sorridendo.
- O.K. Che ne dici di partire?- Fate in tono conciliante.
- Va bene, va bene, ma non facciamoci fretta. Siamo in
vacanza no? Se vuoi cominciare a portare giù la roba io faccio le
ultime telefonate, chiudo casa e ti raggiungo.-
- Le ultime telefonate?- Voi increduli, mentre un ceruleo
colore vi si affaccia sul volto e i grappini fanno a cazzotti con
lo zabaione nel vostro stomaco.
- Vorrai mica che parta senza lasciare un recapito a
qualcuno no? E chi mi bagna le piante? E poi devo salutare qualche
amica. Bisogna organizzarsi.-
- Si ma... Va bene. Vado a prendere la macchina e la
carico.-
Per
fare stare tutta la sua roba dovete svuotare la macchina, tirare
giù i sedili posteriori e incastrare millimetricamente ogni collo.
Quando avete finito il retro della vostra auto sembra un camion di
traslochi. La marmitta si avvicina pericolosamente a terra ed è il
terzo vigile urbano che passando (di li non passano mai visto il
tappeto di siringhe che orna l’asfalto), vi chiede se siete sicuri
di non superare il carico massimo ammesso.
Quando avete terminato lo stivaggio e l’unico vostro
desiderio sarebbe quello di buttarvi sotto una doccia tiepida,
seguita da un birra fresca, dalla vostra ex fidanzata calda e da
un riposino di almeno quattro ore, ella scende, nel suo splendore,
finalmente, dopo più di tre ore, pronta a partire, con ancora due
borse nelle mani.
Per farle stare dovrete spostare di due tacche in avanti il
sedile dell’autista e vi troverete a guidare con il volante sotto
il naso e le ginocchia sotto il mento.
Ma finalmente potete partire. Ma non avete ancora acceso la
macchina che:
- Scusa un attimo. Non sono sicura di aver staccato
il boiler. Vado a controllare.-
Dopo un quarto d’ora torna.
- Tutto a posto ma c’era un messaggio in segreteria. Non
potevo non rispondere.-
- Vabbè. Mo partiamo? O No?-
- Certo certo, non ti innervosire. Che strada facciamo?-
- Come che strada prendiamo. Facciamo lo svincolo, ci
infiliamo sulla tangenziale, imbocchiamo l’autostrada e ci
mangiamo un po’ di chilometri.-
- Ma come. Siamo in vacanza, non abbiamo niente da fare se
non goderci le giornate e tu vuoi farmi viaggiare in autostrada
dove non si vede niente, solo asfalto e macchine. E poi è più
pericolosa. Ma non la vedi tu la TV? Ci sono sempre incidenti
mortali. Facciamo la statale, cosi ci vediamo il panorama, i
paesini e possiamo fermarci quando vogliamo.-
- Si ma è già mezzogiorno. Non arriveremo mai a
destinazione.-
- Al massimo arriveremo domani mattina. Posso sempre darti
il cambio alla guida.-
“Col cavolo che ti lascio guidare la mia macchina” pensate
in silenzio” non sarà un gioiello ma è l’unico che ho”.
E intanto vi immettete nel traffico cittadino in cerca
della statale che vi porti verso la destinazione designata.
Buone vacanze!
I CAPI
Per
un educatore parlare dei capi equivale normalmente a farsi venire
in ordine di importanza:
• un attacco di vomito
• una crisi intestinale (caghetta)
• una recrudescenza dell’ulcera
• la sicurezza di una litigata in
famiglia.
• un collasso
Parlare con i capi invece crea meno problemi. A parte il normale
senso di nausea provato, la consapevolezza dell’ineluttabilità e
dell’inutilità della cosa riescono normalmente a contenere la
sintomatologia psicosomatica a dei livelli accettabili. A questo
si aggiunga l’esperienza e la capacità di ogni educatore a
far fronte alle situazioni più drammatiche mantenendo il sangue
freddo e possibilmente la lingua a posto.
Non ce ne vogliano le colleghe, per le quali sarebbe
leggermente antiestetico, ma è quello che normalmente viene
chiamato “pelo sullo stomaco”.
Dalla nostra indagine abbiamo rilevato come il rapporto con
i superiori sia quasi sempre di tipo conflittuale. Questo per
quanto riguarda gli educatori seri, ovviamente. Per i lecchini o
gli arrivisti rimandiamo ad altri capitoli.
Di capi, come tutti sappiamo ce ne sono di diversi tipi.
Proveremo di seguito ad elencare le specificità di ogni gruppo
caratteriale. E’ però necessaria una prima distinzione in tre
fasce distinte di ruolo e conseguentemente di potere:
1. Il capetto:
Normalmente è il gradino superiore a quello dell’educatore. In
genere coordina l’attività di un gruppo, fa da tramite con le alte
sfere politiche e amministrative, dovrebbe gestire
l’organizzazione della quotidianità e la progettazione degli
interventi.
2. Il boss:
E’
il superiore del capetto. Non è operativo, nel senso che
difficilmente si confronta con l’utenza o con il quotidiano dei
servizi. In compenso frequenta tutte le riunioni politiche o
amministrative ad alto livello per poi scodellare ai sottoposti
“linee guida”, “priorità di intervento” e amenità del genere.
3. Il dirigente:
Sia
che lavori nel pubblico che nel privato il dirigente lo si
riconosce subito. Non parla, emana! Non discute, ordina!
Il suo normale interesse non è che le cose funzionino ma
che non ci siano casini.
Questo in generale. Dato però che questo studio vuole dare delle
risposte più concrete cercheremo di analizzare ulteriormente le
varie sottospecie di superiori.
Partiamo quindi da quelli più vicini a noi educatori:
I capetti
I carrieristi di professione.
Questi capi (o se preferite coordinatori), sono coloro i quali non
hanno la benché minima idea di cosa sarebbero tenuti a fare. Il
loro interesse primario è il potere. Il loro periodo come capetti
è solo un passaggio verso mete più elevate. Il loro scopo è andare
oltre, varcare i confini della dipendenza e rendersi decisori di
tutto. Il fatto che non comprendano una mazza dei servizi, del
lavoro educativo, del valore sociale di un intervento non li
sfiora nemmeno. Per loro l’importante è emergere.
Non solo si venderebbero a chiunque abbia una
qualsiasi possibilità di farli salire più in alto; schiacceranno
chiunque provi a mettergli i bastoni in mezzo alle ruote.
Sono le persone che fanno fare progetti megagalattici agli
educatori per poi appropriarsene e firmarli per poterli vendere
come propri. Se poi non funzionano la colpa sarà degli operatori,
dei sottoposti. Accamperanno il fatto che non hanno abbastanza
potere decisionale.
Avere un capetto così è un ottimo preludio al B.O.. Se
progettate va bene, ma l’idea sarà ovviamente loro. Se eseguite
siete fottuti, non hanno molte idee e quelle poche le hanno
confuse. Se cercate di essere indipendenti sarete boicottati. Se
poi qualcuno più in alto del vostro capetto ha qualche balzana
idea rivoluzionaria e se questa può servire a fare carriera, state
tranquilli, in una maniera o nell’altra vi verrà imposta.
Questi personaggi normalmente non restano nello stesso
posto a lungo. Essendo il loro scopo la carriera faranno di tutto
per andare oltre, per fare il gradino successivo.
Nel pubblico faranno tutti i concorsi interni che possano
cambiargli il livello, nel privato mireranno a qualche ruolo
dirigenziale.
E’ normale e non bisogna sentirsi in colpa se a costoro si
augura una carriera veloce e progressiva; spesso è l’unico sistema
per toglierseli dai piedi e poter ricominciare a lavorare
serenamente. C’è un unico rischio: che aumentino di grado
rimanendo nello stesso posto di lavoro. In questo caso l’unica
soluzione (legale), e chiedere un trasferimento immediato o
trasferirsi ai tropici.
Gli ex educatori.
Buona razza anche questa. Se sono sufficientemente intelligenti
cercheranno di andare a fare i capetti da qualche altra parte. Se
invece rimangono nello stesso servizio, qualcosa non funziona.
Probabilmente nel loro cervello, ma noi non possiamo certo dirlo
apertamente.
Anche se ognuno di costoro ha le sue peculiarità
psicopatologiche possiamo distinguerne due tipi in genere: quello
che vuole fuggire da un servizio, dal contatto con l’utenza, dai
colleghi e pensa che un minimo di avanzamento possa risolvere i
suoi problemi e quelli che invece, presi da furore sacro, sono
convinti che occupando un posto di maggior potere possano
modificare il mondo.
In
entrambi i casi ci troviamo di fronte a persone che “vivono” il
ruolo; per loro non esistono orari, rapporti sindacali,
lavorativi.
Mentre i primi, i fuggitivi, cercheranno di ottenere
consensi utilizzando le solite modalità del genere: “eravamo
amici, colleghi”; “quante cose abbiamo fatto insieme” eccetera, i
secondi invece opereranno, magari con qualche cognizione di causa,
sull’organizzazione dei servizi, cercando ovviamente di imporre,
ora che hanno il potere, quello che hanno sempre cercato di fare
in precedenza, quando erano educatori, quando magari il gruppo di
lavoro li ha segati. In altre parole hanno spesso un atteggiamento
di tipo vendicativo: “non me lo avete fato fare quando ero come
voi e adesso lo fate perché io l’ho deciso.”
Come già detto l’unica speranza è che cambino luogo di
lavoro. Avere un ex collega come capo deve essere una cosa
terrificante, da esaurimento nervoso. Altro che B.O. qui si parla
di nevrosi allo stato puro.
Gli emigranti.
Sono
quelle persone che stufe del loro lavoro in un altro ambito
pensano che entrando a far parte del mondo dell’educazione e
dell’assistenza possano trovare uno scopo alla loro vita, se non
altro a quella lavorativa.
Da un punto di vista statistico nel pubblico sono quelli
che cercano un avanzamento di carriera cambiando assessorato
tramite concorsi interni. Nel privato sono coloro i quali cercano
posti più elevati in altre cooperative o associazioni, oppure se
ne inventano di nuove.
In entrambi i casi comunque si possono considerare più
vittime che aguzzini. Nel senso che non sanno quello che fanno; e
quando lo scoprono ormai è troppo tardi e si trovano nella merda
fino al collo.
In questi casi molto dipende dall’individualità del singolo
soggetto. C’è la persona che spaventata dal casino del comparto
educativo assistenziale cerca di uscirne al più presto, sia
facendo ulteriore carriera sia cercando qualche miliardario/a che
possa mantenerli. Altri invece si lasciano prendere dal gioco e ci
si perdono. Faranno di tutto per riuscire a svolgere al meglio il
proprio ruolo cercando di allearsi ai sottoposti ma anche ai
superiori.
Sono quei poverini che si ritrovano alla fine fra
l’incudine e il martello. Si beccano le responsabilità delle quali
vengono giustamente investiti dagli educatori (se guadagnano di
più qualche responsabilità dovranno pur prendersela), dall’altra
vengono delegati alla soluzione di tutti i problemi gestionali dai
“loro” superiori i quali ovviamente hanno di meglio e di più
importante da fare.
Insomma per costoro una mezza assoluzione: non sapevano a
cosa andavano incontro. Ma anche un consiglio: è meglio informarsi
prima di quella che è la realtà e non basarsi solo sul cambiamento
o carriera qualsiasi.
I missionari.
Dalle nostre statistiche non si riesce a capire compiutamente se
sono più pericolosi questi o gli ex educatori arrivisti. I punti
in comune sono molti ma c’è una sottile differenza. I missionari
non ricercano il potere per il piacere di esercitarlo. Lo bramano
perché avendolo possono condizionare (o almeno ci vorrebbero
provare), lo stato delle cose e modificarlo secondo le loro
certezze.
Da un punto di vista filosofico il problema può essere
inquadrato anche in questi termini: ognuno di loro ha una propria
visione del mondo, dell’assistenza e dell’educazione e in quanto
tendenzialmente integralisti sono convinti che la loro idea è
l’unica “oggettivamente giusta”.
Pur essendo gli autori estremamente liberali (e libertini),
e disponibili a vivere in una società multiculturale si domandano,
come ipotesi di fantasia, cosa sarebbe il ramo socio assistenziale
educativo se i vari capetti sparsi per i vari servizi
dovessero essere tutti di questo genere.
Provate a immaginare un quartiere in cui il coordinatore
sia un cattolico convinto: centri diurni per minori e handicappati
con messa mattutina e vespri serali, mense del digiuno, preghiere
ovunque e magari soggiorni estivi a Lourdes. Se poi invece il
nostro capetto fosse di fede islamica oltre alle cinque preghiere
quotidiane non si potrebbe neanche più farsi un panino al
prosciutto con un sano bicchiere di barbera.
Certo non è solo un problema di religione, anche un
coordinatore svisceratamente comunista potrebbe creare dei
problemi. A parte l’alza bandiera e il tai chi quotidiano, chi
sopporterebbe di cantare “bandiera rossa “ ad ogni piè sospinto?
Come spiegare loro che con il nostro stipendio da fame facciamo
anche noi parte del proletariato urbano?
Non parliamo poi della sfiga di avere un capo di destra (il
termine fascista non si può più usare), sarebbe come dire il
massimo dell’incongruenza. Riapertura dei manicomi, scuole
speciali, eutanasia... da brivido.
Meglio tralasciare e lasciare al lettore la propria
interpretazione; in fondo questa è solo una provocazione.
Ribadiamo comunque come i coordinatori spinti da un impeto
missionario siano estremamente pericolosi per il B.O. di un
educatore. Nel migliore dei casi se anche voi pensaste che un
certa azione non sia del tutto legittima o che perlomeno non
vi sia equamente riconosciuta e/o retribuita, saranno loro i primi
a farvi venire dei sensi di colpa grandi quanto il prelievo
fiscale che mensilmente vi viene sottratto dalla busta paga. Il
che è tutto dire!
I boss
Anche in questo caso, cosi come per i capetti, possiamo
distinguere i boss in alcune categorie principali. E’ però
necessario in primo luogo qualificare la figura in senso lato.
Generalmente sono più affezionati all’immagine che al
ruolo, nel senso che quello che per loro importa non è tanto
quello che fanno ma la visibilità che hanno. Che siano presidenti
di cooperative, responsabili di istituti, di servizi o quantaltro
l’importante per loro è apparire. Sono sempre adeguatamente
abbigliati, con quella sobrietà professionistica e
professionale che li distingue dalle altre figure. Portano con sé
una sorta di alterigia che anche se spesso non suffragata da
effettive capacità e competenze tecniche, mostrano con un
malcelato orgoglio e una condiscendenza a volte ostica per chi
deve eseguire gli ordini.
I carrieristi
Vale
quanto detto per i capetti. Sono anche qui di passaggio.
L’importante non è quello che si fa ma il ruolo che si
ricopre. Se poi si trova di meglio si fa in fretta ad
andarsene lasciando le cose così come stanno; magari nella merda.
Dagli educatori pretendono il massimo in termini di
pubblicità, di visibilità. Non fanno molto sul campo delle idee e
della progettazione anche perché forse di idee ne hanno poche e
confuse. In compenso sono molto bravi a giocare con i politici
proponendo progetti da altri elaborati ma senza poi seguirli.
Per loro gli educatori non esistono né come persone né come
professionisti; sono semplicemente uno strumento da utilizzare per
avanzare nella scalata ai vertici dell’organizzazione.
I capetti o i coordinatori sono il loro strumento
preferito: a loro delegano le responsabilità degli insuccessi
mantenendo per sé il merito delle iniziative funzionanti.
Saranno loro ad aver avuto l’idea della mostra mercato,
della festa di quartiere, dell’assemblea territoriale, ma non li
vedrete mai sporchi di polvere a preparare cartelloni o luci o
scenografie.
Se vi va bene li troverete con un bicchiere in mano a
parlare coi politici all’inaugurazione, salvo poi cazziarvi perché
avete fatto troppo straordinario.
Gli emigranti
Anche per questa categoria vale quanto detto per i capetti. Non
capiscono un cazzo di quello che dovrebbero andare a fare ma ne
hanno i titoli e quindi ci provano. Chi paga siamo noi e l’utenza.
Così va il mondo.
Provate a spiegare che se uno scontrino manca è perché il
ragazzino (quel figlio di...), lo avete mandato da solo a
comprarsi la pizza. Educatività, responsabilizzazione, a loro poco
frega:
- A fronte della circolare N° XXX del XXX risulta
comunque un ammanco di cassa. Non è certo così che si gestisce un
servizio.-
- Mica potevo mandarlo a scuola senza merenda no? -
- Ci sono delle regole a rispettare! -
- Certo d’accordo ma in certi casi, forse un po’ di
elasticità.. -
- E’ una questione di procedure. Non vorrei che la
mia richiesta di trasferimento venga annullata per queste
stupidaggini-
E
via di questo passo. Della serie che chi emigra e ha tutto il
diritto di farlo, dovrebbe se non altro prima informarsi su quella
che è la realtà dei servizi alla persona; soprattutto in
situazioni di rischio e di disagio. Se poi un educatore si incazza
e comincia a sbattere i pugni sul tavolo ovviamente è perché e
troppo fragile e non regge il lavoro.
I missionari
Sono
senza ombra di dubbio i più pericolosi in assoluto. Non ci tengono
molto alla carriera nel senso che era proprio lì che volevano
arrivare. Non si vedono dietro una scrivania alle prese solo con
atti di tipo amministrativo burocratico. Loro vogliono continuare
a sentirsi partecipi del cambiamento epocale dei servizi e delle
strutture, ovviamente da loro stessi gestiti. Sono coloro i quali
ricevono spesso e volentieri l’utenza e presi dal loro solito
sacro furore promettono mari e monti in funzione di un “diritto
inalienabile”. In altre parole sono quelli che vi sbattono un
utente in un servizio anche se non è quello adatto a lui. Quelli
che anche se il vostro centro o la vostra comunità sono
ormai sature di utenti, ve ne inseriranno altri. E se vi lamentate
che il personale non è sufficiente neanche per gestire le normali
attività giornaliere vi risponderanno che il risolvere i bisogni
degli utenti (poverini), è prioritario rispetto a delle semplici e
bieche problematiche aziendali. Insomma basterebbe metterci un po’
più di impegno, di disponibilità e di comprensione.
Mitiche fra queste figure sono quelli che arrivano in
ritardo alle riunioni perché erano da altre parti, ad altre
riunioni importantissime, ma che si incazzano se ad una certa ora
voi cercate di andarvene perché vostro figlio è più di mezz’ora
che vi aspetta davanti a scuola. Loro non hanno ancora finito di
dire tutto ciò per cui hanno fatto l’incredibile sforzo di essere
presenti. Se poi cercate di affermare che le ore di attesa del
loro arrivo comunque ve le segnate, verrete ovviamente
rimproverati. ”Rubare così delle ore”. Insomma non si fa, potevate
andare a farvi un giro. Inutile dire che voi la riunione l’avete
fatta lo stesso e avete affrontato altri problemi. Se non ci sono
loro, le discussioni hanno poco o nulla valore.
Una
prerogativa di questi capi però è quella di non esserci quasi mai.
Hanno sempre di meglio, scusate, di più importante da fare.
Saranno sicuramente felici però di partecipare ad ogni iniziativa
pubblica che voi organizzerete. Ovviamente non vi daranno nessuna
mano per prepararla, arriveranno in ritardo e con fare
condiscendente e magari una pacca sulla spalla vi faranno notare
che i festoni non sono proprio attaccati alla perfezione, che i
dolci non sono di prima qualità o altre cose del genere.
E’ chiaro che il primo pensiero di un educatore e di
mandarli a quel paese ma come sappiamo non solo non è
consigliabile ma può essere controproducente per il vostro lavoro
e per la vostra persona.
Infatti uno degli aspetti peculiari dei boss missionari è
la capacità vendicativa. Non dimenticano nulla. Se per caso in
sede di riunione avete avuto l’ardire di non essere pienamente
d’accordo con loro o addirittura vi siete permessi di
contraddirli, siete finiti. Fregati. Kaputt. Qualsiasi iniziativa
che vi possa venire in mente, qualsiasi idea, progetto, vi verrà
bocciato. Non tanto perché non valido ma perché l’avete espresso
voi.
Insomma hanno bisogno di sentirsi coccolati, viziati,
garantiti. Necessitano che la loro “missione” venga riconosciuta
con la giusta importanza e valore.
Quindi a voi non resta che tacere, ascoltare, eventualmente
eseguire e ingoiare la bile e gli insulti che spontaneamente fanno
capolino fra laringe e faringe. Questo vi creerà qualche problema
di digestione e di capacità linguistica; se vi trovate a
balbettare non vi preoccupate è abbastanza normale. Probabilmente
ci sarà una componente inconscia che in qualche maniera vi
impedisce di esordire con un sonoro:
- Ma va ‘ffa ‘n culo!!!-.
Se poi tornando a casa in auto suonate a
dismisura il clacson per ogni coglione che non scatta
immantinemente al verde e se pensate a quanti punti vale se
prendete sotto la vecchietta daltonica che confonde il giallo con
il verde o la donna incinta con carrozzina e pupo, siete
semplicemente in B.O.
I dirigenti
Anche per i dirigenti vale quanto detto per i boss. Con una
differenza sostanziale: questi ultimi in genere si occupano solo
degli aspetti burocratici e amministrativi dei servizi, siano essi
cooperative, servizi sociali, scuole, istituti eccetera.
Normalmente sono abbastanza colti, come minimo sono laureati;
magari non sono molto aggiornati in quanto sono già di una certa
età e quasi nessuno ha ripreso in mano un libro. In compenso hanno
un’incredibile capacità mnemonica nel ricordare tutto ciò che la
burocrazia può inventare per rendere il lavoro di chi deve essere
operativo il più complicato e sgradevole possibile. Sono i geni
malefici dei cavilli legali e formali. La loro specialità è quella
di dare un colpo alla botte e uno al cerchio nel senso che sono
loro che devono formalizzare e far applicare le decisioni dei
politici, ma ovviamente avendo dalla loro la competenza giuridica
alla fine sono loro che decidono. Se poi le proposte arrivano dal
basso sono sempre loro ad avere l’ultima parola.
In
altri termini potremmo definirli l’ago della bilancia di qualsiasi
servizio.
Adorano circondarsi di circolari, leggi, decreti, lettere e
materiale cartaceo vario, nonché di segretarie. Parlano solo con i
boss e sono praticamente irraggiungibili dagli operatori o
dall’utenza. I primi devono seguire la normale scala gerarchica i
secondi vengono prontamente dirottati ai politici.
Insomma il potere reale è nelle loro mani.
Per quanto riguarda gli educatori e il B.O. i dirigenti
sono figure mitiche, distanti, irraggiungibili. Come causa
di stress spesso non sono direttamente coinvolti in quanto usano
gli altri.
Avete un progetto di qualsiasi tipo? Bhè prima dovrà
passare al capetto, poi al boss, quindi magari ad un politico il
quale a sua volta lo darà al dirigente per poterlo rendere
esecutivo. A seconda del giorno, dell’umore dei dolori prostratici
o della menopausa il dirigente potrà accettarlo o trovargli
qualche strano vizio di forma, o carenze di fondi o qualsiasi
altra cosa vi venga in mente ma che possa impedire l’approvazione
della vostra idea.
Ovviamente loro non ne hanno la responsabilità, si limitano
ad eseguire quelle che sono le loro mansioni, ovvero accertare che
tutto sia burocraticamente perfetto.
Si narra di un dirigente di circoscrizione che ha bocciato
dei progetti in quanto nelle lettere di presentazione degli stessi
gli indirizzi dei destinatari non erano posti in corretto ordine
di importanza.
Si narra inoltre di un dirigente di cooperativa che pur di
non perdere una commessa per dei soggiorni marini per
handicappati, essendo in scarsità di personale, abbia arruolato
buona parte della sua parentela facendola arrivare dal paese con
la promessa di una vacanza gratis in una nota località turistica e
facendoli passare come volontari.
Meraviglie dell’impossibile.
Per amore di correttezza bisogna anche dire che i dirigenti
pur non essendo degli stinchi di santo e neppure adatti per essere
cotti al forno, sono anche utilizzati spesso come capro
espiatorio.
Il boss si è scordato (o non ha voluto), portare avanti un
vostro progetto? Bene la colpa è del dirigente che non lo ha
neanche letto, non voleva utilizzare i fondi e roba del genere.
Comunque per noi educatori anche i dirigenti sono una
buona fonte di stress anche se non così palese. Sono un po’ il
destino, il fato, degli dei. Li si può bestemmiare, maledire, ma
non c’è grosso contatto. Si può sempre sperare nella pensione
anticipata (la loro, per noi non c’è scampo), e nella sostituzione
con qualcuno più illuminato. La speranza è l’ultima a morire.
La nostra si è suicidata qualche tempo fa.
Ci
occuperemo in questo capitolo degli effetti che lo stress e il
B.O. hanno sugli educatori e sulla loro vita. Anche in questo caso
abbiamo deciso di suddividerli in temi più ampi in modo da dare
una visione il più possibile esaustiva dell'argomento.
Se
ne sconsiglia la lettura ai colleghi con tendenze all'ipocondria.
VITA PROFESSIONALE
Demotivazione
Uno
degli effetti principali che un educatore può subire in seguito ad
un prolungato periodo di stress o di B.O. è sicuramente la
demotivazione al lavoro.
Vogliamo però in questa sede, distinguere tra quella che è la
demotivazione dovuta allo stress, che può essere risolta
eliminando le cause dello stress stesso, da quella dovuta al B.O.,
cronica, per la soluzione della quale sono necessarie misure più
drastiche (es. cambiare vita).
Demotivazione da stress
In
questo caso la causa scatenante è uno stress. Esso può essere di
vario tipo: il collega rompiballe, problemi in famiglia, utenza
non rispondente, eccetera.
Normalmente, quando tutto va bene, si potrebbe risolvere
con un congruo periodo di mutua o di ferie, magari in località
esotiche, o eliminando la causa scatenante.
Purtroppo però non sempre le cause sono eliminabili: non
possiamo uccidere il collega, il capo o l'utente. E neanche andare
a lavorare quando i servizi sono chiusi perché non si sopporta più
il gruppo.
Vediamo comunque quali sono i principali sintomi della
demotivazione da stress, sul come superarla ne parleremo in un
altro capitolo.
La prima cosa che si evince dalle interviste è che in
questi casi il problema, come il sole, nasce al mattino.
Vi svegliate, sempre ammesso che abbiate dormito, già di
malumore, leggermente incazzosi. Si rallentano i ritmi, nel senso
che cercate di stare in casa fino all'ultimo minuto possibile.
Infatti uno dei sintomi di demotivazione da stress visibili
dall'esterno, sono i frequenti ritardi di chi ne è affetto.
Al lavoro quindi arrivate già incazzati e magari con un po’
di senso di colpa perché il collega ha dovuto coprire l'assenza.
Manca la voglia di essere propositivi:
- Cosa facciamo oggi? Giardinaggio, bricolage,
potremmo uscire...-
- Bho? Fate come volete. Ditemi quel che devo fare.-
- Veramente ci sarebbe anche da andare alla riunione.-
- E a discutere di che?-
- Del progetto che hai presentato sei mesi fa.
- Già e arrivano adesso a discuterne?-
- Meglio tardi che mai no?-
- A sissi vabbè se è necessario ci vado.-
- Ma era un tuo progetto, ci tenevi così tanto.-
- Bhè. Se vuoi te lo regalo.-
Spesso si è anche troppo reattivi o permalosi:
- Ehi! Non hai visto che Paolino sta distruggendo quel
coso?-
- Si e allora?-
- E perché non sei intervenuto?-
- E lascialo fare. Tanto è così tutti i giorni.-
- Ma se seguito non fa proprio così.-
- COSA CAZZO VORRESTI DIRE. CHE NON FACCIO IL MIO
LAVORO? VA BENE SARO' ARRIVATO LEGGERMENTE IN RITARDO MA STO
SCRIVENDO ANCHE LA RELAZIONE CHE NESSUNO HA ANCORA FATTO! E SE NON
TI VA GUARDATELO TU IL TUO PAOLINO.
E via di questo passo. Il problema in
questi casi è che nei gruppi di lavoro, i colleghi si rendono
conto di questo stato di cose e cercano di darvi una mano. Il
guaio è che se voi siete già depressi e avreste voluto essere
rimasti sotto le coperte, ma essendoci di fianco vostra
moglie/marito, il male minore era andare a lavorare, arriva la
collega a chiedervi:
- Cosa c'è che non va? Posso darti una mano?-
Se la mandate a cagare siete giustificati.
Se poi è proprio il lavoro in quel momento che non vi va
giù per un qualsiasi motivo potete stare certi che i colleghi
cercheranno immancabilmente di coivolgervi il più possibile, nel
maggior numero possibile di attività lavorative.
Magari voi nella vostra ingenuità e grazie a quel poco di
senso del dovere che vi rimane avreste preferito mettere a posto
l'archivio, non toccato da nessuno da almeno tre anni, oppure
riorganizzare il magazzino, anche fare qualche pulizia. Invece no!
Sarete costretti a partecipare a:
• una riunione di gruppo della
quale non ve ne frega un cazzo;
• un colloquio con una
famiglia per la quale in quel momento pensate che l'unica
soluzione sia il gas;
• una festa in quartiere;
• e ciliegina sulla torta,
una cena fra colleghi per una chiacchierata amichevole;
Il tutto ovviamente per il vostro bene.
Il
massimo della sfiga lo raggiungete quando lo stress è dovuto ad un
collega, il motivo non è importante. E' che in quel momento
proprio non vi va giù. Qualsiasi cosa faccia la vedete in negativo
quindi cercate di evitarlo il più possibile. Ebbene sarà
sicuramente lui il primo a cercare di "riportarvi alla normalità".
Sarà sollecito, onnipresente. Insomma non vi lascerà in pace
neanche un attimo. Ovviamente le maledizioni che gli lanciate non
funzionano cosi come sono ininfluenti i vostri tentativi di
evasione.
Il tragico è che non potete neanche dirgli che è
proprio lui la causa del vostro malessere, se la prenderebbe a
male e la paghereste fino alla pensione o fino al trasferimento di
uno dei due.
Demotivazione da B.O.
Qui
il discorso si fa più duro. Se nella demotivazione da stress
il recupero è relativamente possibile, nella demotivazione da B.O.
si è di fronte ad una cronicità grave.
Anche la sintomatologia risulta essere di gravità maggiore.
L'insonnia è all'ordine del giorno, pardon, della notte. Non
riuscite ad addormentarvi perché nel vostro cervello una sola
frase riesce a giungere alla vostra coscienza: DOMANI DEVI ANDARE
A LAVORARE!!!
Al mattino non solo non sentite il trillo della sveglia,
che nel sonno scambiate per il trillo di un onirico telefono. Ma
quando finalmente riuscite a riemergere dal coma profondo nel
quale siete sprofondati verso le cinque del mattino, non
sarebbe strano né anomalo se aveste dei conati di vomito. Il caffè
sarà imbevibile, la temperatura o troppo calda o troppo fredda.
Quella esterna non quella del caffè.
Se poi avete famiglia...cazzi loro. Li tratterete male, i
figli non saranno pronti in tempo, vostra moglie/marito sarà
sicuramente in grado di farvi incazzare, qualsiasi cosa faccia.
Quando uscite, ovviamente all'ultimo minuto, l'ascensore
sarà sicuramente occupato. La macchina farà fatica a partire o il
pullman si farà aspettare un'eternità. Il traffico sarà
bestiale e tutti gli altri autisti dei coglioni che non avevano
niente di meglio da fare che andare a congestionare le strade
mentre voi avete una fretta della madonna.
Giunti al lavoro, il solo odore dei locali vi farà
rigurgitare il caffè.
I colleghi poi. Non ne parliamo. Qualsiasi cosa dicano,
qualsiasi cosa facciano, per voi sarà un dramma. Lasciamo perdere
i capi. Il solo pensiero vi farà venire delle coliche paurose.
Dal punto di vista del rendimento poi, è meglio
sorvolare, l'unico termine che vi si può affibbiare è
"inaffidabili". Dimenticate gli appuntamenti, trascurate l'utenza,
durante le riunioni gli unici pensieri che vi vengono in mente
sono i diversi modi di far fuori i colleghi.
Insomma una vita di merda.
E non è che tornati a casa la cosa migliori. Anzi se può
peggiora, se non altro perché la tensione accumulata durante il
giorno comincia a farsi sentire.
L'aggressività che riuscite ad esprimere rasenta il tentato
omicidio, con l'aggravante della tortura. In alternativa a questa
fenomenologia di tipo più reattivo, c'e quella a carattere
depressivo.
Nulla funziona bene, nessuno capisce le cose.
E' evidente la vostra inutilità in quel gruppo di lavoro,
tanto fanno sempre quello che vogliono loro.
I capi ce l'hanno con voi, la società vi impedisce di
espletare le vostre funzioni.
I colleghi sembrano pagati per rilevare ogni minima vostra
mancanza, ogni parvenza di errore. Non osate aprire bocca, tanto
sarebbe inutile. Cos'ì com'è inutile la vostra vita.
La tendenza, o perlomeno il pensiero del suicidio vi si
affaccia alla mente sempre più spesso. Tanto non potrete cambiare
nulla!
Insomma siete oltre ad una semplice demotivazione rispetto
al lavoro. Qui si corre il rischio di una demotivazione rispetto
alla vita.
La domanda che ci si pone a questo punto è sul perché si
continui a tirare avanti, giorno dopo giorno, sapendo che sarà la
stessa merda. Perché non si scappa con i soldi della cassa per il
sudamerica (perché sono troppo pochi, coglioni!), perché non si
cambia lavoro (non ce n'è), perché non ci si fa un'amante (e chi
lo paga il pied a terre?), perché in una maniera o nell'altra non
si reagisce?
La
demotivazione da B.O. come risulta evidente è quindi una brutta
bestia, da prendere con le molle.
Imboscamento
Un
altro degli effetti che lo stress o il B.O. possono avere su di un
educatore è quello dell'insorgere di un'insostenibile desiderio di
imboscamento.
Si cominciano a invidiare gli orsi che ad un certo punto
prendono e se ne vanno tranquillamente in letargo. Si vorrebbe
fare lo stesso.
A
quel punto cominciate a sentire la stanchezza di essere sempre in
prima linea, sentite il bisogno di prendervi un attimo di respiro.
Non vi dispiacerebbe un anno sabbatico. Ma dato che a noi questo
non è possibile cominciate a guardarvi intorno cercando un luogo,
una nicchia nella quale nascondervi e non farvi più trovare.
Evitate ovviamente il più possibile le riunioni, cercate di
gestire il quotidiano senza farvi coinvolgere, smettete di essere
progettuali.
Se possibile cercate di occuparvi di una sola cosa, il più
possibile distante dall'utenza e dai colleghi, magari vi offrite
di occuparvi di alcuni aspetti amministrativi del lavoro che
nessuno ha mai voglia e tempo di fare ma che vi consentirebbero,
almeno per alcune ore al giorno di starvene fuori dalle balle.
Senza che nessuno vi giri intorno.
Ed è qui che spuntano degli strani lavori sul territorio,
dei laboratori ancor più strani, la necessità di seguire
individualmente un utente, l'organizzazione teorica di mostre o
manifestazioni che mai vedranno la luce.
L'importante è stare fuori dal quotidiano, dal gruppo,
dagli utenti.
- Stasera andiamo al cinema con tutti i ragazzini. Vieni
anche tu vero?-
- Scusa, verrei ben volentieri ma ho ancora la cassa da
sistemare poi ho una relazione da finire... Non so a che ora
finirò. Mi dispiace sarà per la prossima volta.-
Tanto per fare un esempio ma ce ne sono tanti altri, ognuno
valido:
- Stiamo organizzando una festa in quartiere con tutti gli
utenti, le famiglie, pensiamo di invitare anche i politici.
Potresti darci una mano...-
- Potessi lo farei ma sai com'è l'altro giorno è morta mia
madre e quindi non sono nello spirito adatto.-
- Ma non era morta otto anni fa?-
- Si ma è l'anniversario e per me è come se fosse ieri.-
- Insomma il tuo è un no! Bhè se non sei d'accordo con le
decisioni del gruppo potevi dirlo in riunione e non tirarti
indietro all'ultimo minuto.-
- Ma non ho detto niente.-
- Appunto l'hai dato per valido però poi quando è ora di
lavorare ti appiccichi alle gonne di mammà.-
- No cioè, lo sai, se volete mi occupo di fare la spesa, di
lavare i pavimenti, di ripulire l'indomani.-
- Ma va 'ffa 'n culo.-
Comprendiamo la collega che vi ha mandati a stendere ma
comprendiamo anche voi. Che ci stareste a fare in mezzo a gente
allegra, socievole, che ha voglia di divertirsi e di far vedere il
lavoro che ha fatto?
Al massimo la tappezzeria, ma dato che non è più di moda è
meglio che vi occupiate di qualcosa a cui ancora nessuno ha
pensato, che ne so ridipingere i mobili o cambiare le tendine.
Questo nel caso migliore, se non altro un minimo di lavoro viene
svolto, e in genere per senso di colpa, quello che nessuno riesce
mai a fare, ma c'è un'ipotesi peggiore nella quale l'imboscamento
è totale. Nel senso che quel collega non lo vedete quasi mai.
Giusto per bollare la cartolina.
Qualsiasi incombenza ci sia da fare al di fuori del posto
di lavoro sarà sempre il primo ad offrirsi volontario per
eseguirla:
- Bisogna andare a mettere gasolio al pulmino, io ho
attività, chi riesce ad andarci?-
- Vado io, tanto stamattina non ho molto da fare.-
Se poi lo vedete tornare giusto in tempo
per bollare l'uscita non preoccupatevi.
Ogni riunione è loro, ogni acquisto, ogni contatto che non
implichi la presenza sul posto di lavoro ma soprattutto che non
implichi la presenza vostra.
Il
massimo però lo si raggiunge quando l'imboscamento si manifesta
dentro alla struttura, qualsiasi essa sia, senza il pudore di fare
finta di fare qualcosa.
Sono quei colleghi che hanno la capacità di non farsi
trovare mai. Eppure sono in servizio. Li trovate negli
angoli più nascosti a leggere un libro o un giornale, oppure a
fare le parole crociate. Al massimo faranno in modo di avere un
utente al seguito così tanto per giustificazione.
LIBIDO
Dall’indagine effettuata, sia tramite le schede sia attraverso le
interviste risulta che gli educatori, sia maschi sia femmine,
abbiano nei confronti della libido e della sessualità degli
atteggiamenti a dir poco interessanti.
In primo luogo si può tranquillamente affermare che il
lavoro educativo, svolto in qualsiasi campo, non ha una grossa
connotazione erotica.
Al contrario di altri lavori (top - model, attore,
camionista, militare, eccetera), nei quali esiste sempre, più o
meno esplicito, una sorta di fascino erotico, nel campo educativo
la sessualità è ampiamente relegata in secondo piano.
Riferendoci nello specifico al B.O. abbiamo potuto verificare come
lo stress ed il B.O. stesso modifichino l’atteggiamento degli
educatori nei confronti della libido. Nella fattispecie si
verifica quasi all’unanimità un calo del desiderio in caso di
stress. Si è anche rilevato come questo sia più marcato nelle
donne che negli uomini.
Le
cause di questo fenomeno sembrano essere molteplici. In primo
luogo sembra che il fatto di doversi occupare della sessualità
degli altri, siano essi adolescenti con tendenza allo stupro o
handicappati privi di inibizioni, crea una grossa fonte di
disinteresse nei confronti della propria sessualità.
Ci viene in mente l’immagine del marito che fa delle
“avance” alla moglie educatrice e si sente rispondere:
- Ho una ragazzina che deve decidere se abortire, non
vuole dire chi è il padre e tu vieni a propormi del sesso? Fatti
una sega!-
- D’accordo, comprendo il problema. Ma io e te siamo
sposati e poi tu prendi la pillola...-
- E allora? Tu hai due mani. Arrangiati e smettila di
pensare col pisello.-
Non
approfondiamo l’indagine ma immaginiamo che al povero maschietto
sia venuta un’impotenza psicologica e masturbatoria, sentendosi
responsabile dell’incremento demografico anche del terzo mondo.
Questa gli sarebbe durata almeno fino alle ferie, durante
le quali, sotto l’ombrellone, guardando le tette delle turiste lui
faceva sogni erotici ad occhi aperti e lei, accorgendosi del fatto
gli disse bruscamente:
- Smettila di fare il guardone, in fondo hai una moglie,
sono mesi che mi trascuri.-
- Io ti trascuro? Scusa ma la tua ragazzina che
doveva abortire? Non sei tu che mi hai detto di darmi alle seghe?
Guarda che calli. Eri tu che non avevi più voglia.-
- Che centra quello. Tu hai sposato me. Stai con me e se
proprio “bisogna” farlo, lo fai con me.-
- Come “bisogna”. Avrebbe dovuto essere un piacere. E poi
“bisognava” farlo anche sei mesi fa.-
- Sempre meglio farlo noi che vederti con gli occhi fuori
dalle orbite e la bava alla bocca ogni volta che vedi due tette.-
- Guarda che sei tu che hai deciso sei mesi fa appunto, di
dormire con la maglietta. Prima ho sempre apprezzato le tue, di
tette. Almeno fino a che ho avuto la possibilità di vederle.-
- Vabbè vabbè. Andiamo in camera così ci togliamo il
pensiero.-
- Col cazzo che ci vengo.-
- Certo che vieni anche con quello. Vorrai mica lasciarlo
qui a sbavare sulle ragazzine?-
Non
ci è dato di sapere chi giunse prima alle chiavi della macchina
lasciando al partner l’ingrato e umiliante compito di recuperare i
bagagli e farsi il viaggio in treno.
Si sa che la separazione fu il passo successivo. A tuttora
lei continua a fare l’educatrice e si è iscritta a tutti i corsi
di sessuologia disponibili sul mercato, non trova un uomo che le
piaccia e che sia disponibile anche per una sera se non a
pagamento, cosa che si rifiuta di fare.
Lui si è risposato con una commessa che è felice di avere
una casa alla quale badare e non declina mai nessun invito ad
assolvere ai suoi doveri coniugali. Lui è quasi un uomo felice e
sta pensando di allargare la famiglia. O fa un figlio o diventa
poligamo.[1]
Un’altra causa di calo del desiderio può anche essere la
sovraesposizione a materiale erotico, ovvero nausea da organi
genitali.
- Cara che ne diresti se stasera...cenetta intima...un
bicchierino di Porto e TV spenta? Magari un po’ di musica...-
- Vorresti dire, in altre parole, che vuoi fare del sesso?-
- Bhè, non è obbligatorio. Ma se la serata conciliasse...-
- E tu pensi che dopo aver passato la giornata a lavare
piselli di utenti pisciati, aver visto quell’altro che si spara
seghe in continuazione, io abbia ancora voglia di vedere il tuo,
di pisello?-
- Ecco. Cioè però..., non so, se vuoi possiamo farlo al
buio.-
- Fa ‘n culo! Devo telefonare ad una collega.-[2]
E’
inutile dire che anche gli educatori, maschi in questo caso, non
sono immuni dal calo di desiderio all’insorgere dello stress.
- Caro, se ti fai la doccia vengo a lavarti la schiena.-
Dice l’ignara moglie al marito educatore.
- E questa sarebbe la terza.- Risponde lui.
- La terza cosa?-
Dice lei in sottoveste trasparente con sotto una mise
nera traforata, mentre apre alcune ostriche. Sul tavolo fanno
bella mostra di sé due calici di vino bianco gocciolanti condensa.
- La terza persona che vuole lavarmi la schiena o farmi il
bidè o vedere dal vivo cosa prova un maschietto quando ha
l’orgasmo.-
- Ma stanotte non eri in servizio in comunità?-
- Appunto!-
- Da come la racconti sembra che lavori in un bordello, non
certo in una comunità alloggio.-
- Sotto certi aspetti non è che cambi molto. Tizia era
preoccupata perché il suo fidanzatino guarda troppo la sua amica,
che ha la quarta, e si chiedeva se il silicone l’avrebbe
riavvicinato. Caia ha deciso che sono da utilizzare come
palliativo perché non vuole storie serie alla sua età, ma vorrebbe
comunque qualche esperienza, ed io alla mia, in quanto sposato,
offro ottime garanzie. Sempronia invece, che deve sempre
esagerare, ha deciso che sono l’uomo della sua vita e che vuole un
figlio da me.-
- Lo farai?-
- Cosa?-
- Il figlio no? Perché se è così ti impacchetto le ostriche
e te le porti domani a lavorare. Il vino però me lo tengo e me lo
bevo. Da sola. In camera da letto. Sai dove sono le lenzuola per
il divano.[3]
Questi pochi esempi per dire come il B.O. riesca a distruggere
delle famiglie, a incrinare rapporti sentimentali solidi.
Sarà per questo che molti educatori/trici sono separati, o
comunque hanno più storie sentimentali alle spalle? Potrebbe
essere interessante verificare la situazione di coppia degli
educatori, sia quella attuale sia quella passata e vedere di prima
mano quanto questo lavoro distrugge le coppie.
Un aspetto particolare di questo argomento infatti sono le
“storie parallele” e/o le “avventure”.
Non abbiamo dati certi, anche perché sarebbe facile
mentire, ma sembra, diciamo "sembra", che gli educatori non siano
il massimo esempio di fedeltà coniugale.
Le giornate sono lunghe, le notti ancora peggio; Il/la
marito/moglie non può comprendere certi stati d’animo. Il/la
collega si.
A volte basta una carezza, un incoraggiamento. A volte una
pacca sulla spalla. Un massaggio (e chi è che non ha fatto almeno
un corso di massaggi?), un po’ di respirazione, di psicomotricità.
Siete lì che cercate di alleviare lo stress ad un/una collega...e
non si sa come mai vi ritrovate a condividere momenti che
dovrebbero essere vissuti col vostro/a compagno/a.
Dai pettegolezzi giunti agli autori risulta comunque che
queste pratiche, moralmente discutibili, professionalmente
inadeguate e legalmente perseguibili (ma sotto sotto anche
piacevoli), siano comunque uno degli strumenti usati per superare
momenti di stanchezza e di stress.
In conclusione si ritiene che il discorso sulla libido non
sia da trascurare, né sul versante della prevenzione primaria, né
sul versante del recupero funzionale della piena professionalità
educativa.
VITA SOCIALE
Come
già espresso in precedenza, non è che gli educatori abbiano poi
una gran vita sociale.
Se lavorano nel pubblico sono tendenzialmente portati a
utilizzare il loro tempo libero in famiglia, nella gestione
di quei delinquenti dei loro figli o nella distruzione programmata
del loro rapporto di coppia.
Coloro i quali invece operano nel privato sono sempre alla
ricerca di nuove possibilità lavorative quindi tendenzialmente
cercano di essere sempre aggiornati su cosa succede nel mondo
della cooperazione. Sono quelli che trovate in birreria alla sera
che parlano di lavoro, fanno progetti fra una "media" e l'altra,
cercano di creare alleanze e via di seguito.
E' comunque risultato importante la quantificazione dei
rapporti sociali degli educatori rispetto al resto del mondo.
Bene, possiamo tranquillamente dire che la maggior parte degli
educatori o frequenta parenti (fratelli, genitori, suoceri
eccetera), oppure frequenta altri educatori.
Visto e considerato che qui ci occupiamo di B.O. e non
potrebbe fregarcene di meno del privato delle persone in quanto
tale, possiamo comunque affermare che il mondo degli educatori è
un mondo abbastanza chiuso.
Sarà per lo stipendio limitato, che non consente di fare
grandi cose, sarà perché ormai si sono assunti e introiettati
alcuni meccanismi comportamentali difficilmente comprensibili
dalla gente normale, resta il fatto che al di fuori del lavoro,
l'educatore è tendenzialmente una persona relativamente isolata se
non in ambiti che in qualche maniera possono essere riallaciati
alla professione.
Si
vorrebbe trattare in questo capitolo, dei meccanismi, delle
strategie che possono permettere ad un educatore di effettuare una
"prevenzione primaria" rispetto al B.O.
Ovviamente non si può essere esaustivi. Ogni persona avrà modalità
particolari per cercare di prevenire il B.O. In questa sede
cercheremo comunque di analizzare le principali risorse
utilizzabili.
RISPETTO ALL'UTENZA
Come
abbiamo visto l'utenza è una delle maggiori fonti di stress e
quindi di B.O.
Le strategie utilizzate normalmente dagli educatori per
contenere il rischio sono sostanzialmente:
1. non farsi prendere la mano;
2. non legarsi troppo emotivamente agli utenti;
3. non credere di essere i salvatori del mondo;
4. prendere con le dovute cautele ciò che l'utenza
riferisce;
5. non essere neanche troppo menefreghisti o evitare
qualsiasi responsabilità;
Andiamo quindi qui di seguito a cercare di spiegare più in
dettaglio, ma senza esagerare, le varie strategie adottabili.
Non farsi prendere la mano
Come
abbiamo visto uno dei grossi rischi che un educatore corre è
quello di farsi prendere la mano dal lavoro con le conseguenze che
ben conosciamo.
Uno
dei primi consigli è proprio quello di non dimenticare che il
nostro è pur sempre un lavoro (brutto, sporco e malpagato), ma
solo un lavoro. Chi non ne è convinto e pensa che ci sia qualcosa
di più e consigliato di andare a rileggersi il capitolo che tratta
delle cause del B.O. e a pensare se per caso non sia egli
stesso in B.O.
Un altro semplice consiglio è quello di ricordarsi che al
di fuori del lavoro esiste anche una vita privata. Molti educatori
hanno una famiglia, sia ascendente sia discendente. Altri vivono
rapporti di coppia. Sarebbe opportuno ricordarsi che anche loro
hanno dei bisogni che debbono essere soddisfatti. Quindi evitate
se possibile, o almeno limitatelo ai soli casi di reale necessità,
di rientrare in casa dopo una giornata di lavoro particolarmente
dura, di sbattervi sul divano dicendo:
- Non voglio vedere nessuno!-
- Ma caro stasera siamo invitati a cena dai tuoi amici...-
- Non me ne frega un cazzo! Telefona che non andiamo. Che
sto male. Che sono MORTA!-
- O.K. Però calmati. C'è qualcosa in freezer?-
- Non lo so e non mi interessa. Non li hai gli occhi?-
- D'accordo. Va bene. Però non ti lamentare se nessuno ti
invita più a cena. E' già la terza volta che fai dei bidoni.-
- Se sei tanto preoccupato degli amici vacci tu. Io ho
avuto una giornata di merda e l'unica cosa che vedo è il letto! E
non certo come lo intenderesti tu!-
- Hai ragione. Sai che ti dico? Ci vado da solo a cena
fuori. E il freezer guardatelo tu. In fondo siete quasi uguali.
Sembra che viviate per gelare gli altri. Salvo gli utenti
ovviamente. E non mi aspettare stanotte, magari la brunetta che
c'era l'altra volta è meno ghiacciolo di te.-
Anche rispetto ai figli il discorso è analogo. Se dialoghi come il
seguente si ripetono spesso in casa vostra è sicuramente meglio
che vi diate una calmata e che pensiate seriamente di verificare
se per caso il lavoro non vi abbia preso la mano.
- Papà allora mi accompagni tu a giocare a calcio, la mamma
ha l'appuntamento con la parrucchiera.-
- No!-
- Come no? L'avevi promesso. E' una partita importante.-
- Ho detto NO! E' tutto il giorno che inseguo ragazzini che
devono giocare al pallone e adesso ne ho le palle piene.-
- Ma avevi detto che...-
- Avevo detto forse, e ora il forse è diventato un no. Non
me lo far ripetere e dimmi dove tua madre ha messo il giornale.-
- Mamma mamma - urla il bambino cercandola disperato - papà
non mi porta alla partita.-
- Come non ti porta. Non eravate già d'accordo?-
- Si me l'ha promesso. Ma adesso dice che è stanco e che
vuole leggere il giornale. Dice che ha già giocato con i bambini
della comunità.-
- Va bene adesso vediamo cosa fare.-
- Mamma...-
- Si?-
- Senti posso andare anche io a vivere in comunità?
-Perché?
- Così almeno mi porta a giocare!-
Non legarsi troppo agli utenti
Abbiamo visto come ci siano situazioni nelle quali l'educatore si
trova a vivere esclusivamente per uno o più utenti. Oltre al fatto
che gli altri utenti potrebbero avere qualcosa da dire al
riguardo, sentendosi trascurati si rischia di venire completamente
esclusi dal mondo. Evitare di legarsi troppo ad un utente permette
quindi di continuare a vedere anche che cosa succede intorno a
noi, di non perdere il contatto con la realtà.
Questo non significa ovviamente massificare e generalizzare
gli interventi. Ogni persona è specifica ed ha bisogno di risposte
specifiche. Quello che vorremmo evitare e di vedere degli
educatori che pensano "senza di me quell'utente non ce la può
fare". Sarebbe una sorta di delirio di onnipotenza, di simbiosi,
rispetto ai quali, oltre alla loro reale efficacia ne confronti
dell'utente stesso, abbiamo grossi dubbi, per non dire delle
certezze sull'impatto psicologico sull'educatore.
Consigliamo quindi, per la sanità mentale dell'educatore,
di occuparsi di più utenti (anche a seconda della struttura nella
quale si opera), in termini di Servizio, offrendo ad ognuno ciò
che si è in grado di fornire rispetto ai bisogni.
Riteniamo che in queste occasioni, la supervisione possa
essere uno strumento adeguato (se fatta bene ovviamente), per
aiutare l'educatore a rischio di B.O. per simbiosi, di rivedere in
termini costruttivi il suo operare.
E ci raccomandiamo: quando partite per le ferie non
portatevi dietro l'utente e lasciate a casa tutti i numeri di
telefono a lui collegati.
Non credere di essere i salvatori del mondo
Ovvero cercare di evitare il più possibile il delirio di
onnipotenza.
Un sano e sereno esame di realtà ci dirà che il mondo non è
fatto solo da noi e dai nostri utenti e che i loro bisogni, pur
legittimi, non sono gli unici bisogni esistenti né gli unici
problemi dell'umanità.
Proviamo a spiegarci meglio: il fatto di occuparsi
dell'handicap o dei minori non significa che il resto dell'umanità
non abbia anche dei problemi e il fatto di essere più o meno
"specializzati" in un campo specifico non ci impedisce di tenere
aperti occhi e orecchie su quello che succede in giro.
La guerra atomica, la fame nel mondo, il buco nell'ozono,
la disoccupazione e via dicendo sono fenomeni che al nostro
prossimo spesso sono più vicini di quanto non sia il problema dei
vostri utenti che magari non hanno ancora ottenuto l'agognata
visita del Sindaco per fargli vedere i loro lavoretti col pongo.
Anche in questo caso un sereno esame di realtà può essere
preventivo al B.O.
Se poi mentre un vostro amico vi chiede se è meglio usare
una corda di canapa o una di nylon per impiccarsi perché ha perso
il lavoro, sua moglie l'ha piantato e sua figlia si è data alla
prostituzione per comprarsi il giubbotto, voi gli rispondete che
il vostro utente hai dei gravissimi problemi all'unghia incarnita
del mignolo... Bhè o siete delle bestie o siete in B.O.
Se poi gli dite anche che risolverete tutto,
proponendogli di venire a fare un po’ di volontariato presso di
voi, così si renderà conto di cosa vuol dire soffrire, ragazzi
fatevi curare, pensate di essere un dio?
Un'ottica "relativa" riteniamo sia un buon approccio per
evitare il rischio di sentirsi onnipotenti.
Un altro aspetto dell'onnipotenza è quello politico. Nel
senso che per fare funzionare le cose, tutte le cose, ci si lancia
in diecimila attività pubbliche, dalle riunioni alle petizioni,
dalle manifestazioni agli scioperi della fame.
Certo a volte anche delle prese di posizione più incisive possono
essere utili, ma anche qui bisogna cercare di non eccedere.
Magari mentre voi state facendo il giro di tutti gli uffici
per cercare di ottenere un biliardino da mettere in comunità, i
vostri ragazzotti stanno rapinando un supermercato.
Consigliamo quindi un minimo di senso della misura per non
incappare in uno stress di onnipotenza che poi, vista la realtà si
tramuta in senso di impotenza e quindi in B.O.
Prendere con la dovuta cautela ciò che l'utenza dice
Premettiamo che questa non vuole essere una cattiveria né sminuire
le reali esigenze dell'utenza.
Ribadiamo che qui si parla di B.O. e quindi di difesa
dell'igiene mentale degli educatori.
Con tutto il rispetto dovuto all'utenza affermiamo però che
in giro per i vari servizi, spesso e volentieri si fanno vivi i
profittatori. Sono quelle persone che credono che tutto gli sia
dovuto, che i servizi siano a loro completa disposizione, e
soprattutto che gli educatori hanno il dovere di occuparsi
esclusivamente di loro, giorno e notte, per qualsiasi cosa.
Sono quegli utenti che vi telefonano a casa (dove avranno
preso il numero?), per dirvi che non riescono a dormire. Sono i
ragazzini che vi dicono che sono stati violentati brutalmente
(anche se non hanno un graffio), dai compagni. Guarda caso quelli
che a loro sono più antipatici. Non ci dilunghiamo troppo sugli
esempi, presupponiamo che ogni educatore ne possa raccontare di
tutti i generi e anche di molto succosi.
Ci preme rimarcare come a volte questo atteggiamento possa
anche essere di delega totale e di pretesa inconscia, un trovare
più semplice far lavorare gli altri al posto tuo. Parallelamente
però ci sono anche degli utenti che più bravi di noi a scoprire i
meccanismi sociali, ne approfittano consciamente e con cognizione
di causa. Della serie meglio i sussidi che il lavoro.
Come già detto più volte non è questa la sede né per
discutere delle politiche sociali né per dare giudizi morali o di
valore sulle richieste dei cittadini. Vogliamo solo ricordare agli
educatori che esiste il rischio di essere usati, strumentalizzati.
Uno magari ci crede anche ma quando poi si accorge di
essere stato preso per il culo magari si incazza anche e per
reazione magari poi tende a non credere più a nessuno.
Il nostro consiglio per evitare lo stress è quindi quello
di fare attenzione alle richieste dell'utenza; cercare di
verificare se sono reali, immaginarie o di bieco sfruttamento di
una situazione.
L'analisi dei casi in rete, quindi con punti di vista
diversi sembra sia una delle opzioni maggiormente usate dagli
educatori, la supervisione può essere altrettanto funzionale, per
lo meno rispetto ai dati pervenutici.
Se poi proprio non riuscite a sganciarvi da una famiglia
che in un modo o nell'altro ne approfitta di voi, utilizzando
tutti i canali conosciuti, bhe almeno vendicatevi, fate le visite
domiciliari a certe ore in modo che siano obbligati a darvi cena e
se possibile fatevi portare olio , frutta e verdura dal paese,
loro ne hanno sempre. E ovviamente non pagatela.
Non essere troppo menefreghisti
E'
questo un tema delicato anche perché ognuno ha una sua propria
definizione di efficienza, efficacia e menefreghismo (o
imboscamento).
In questa sede il menefreghismo lo intendiamo come
patologia e fonte di B.O. e non come difesa (a volte legittima),
dallo stress e dalle sue conseguenze.
Ci riferiamo più nello specifico a quegli operatori che
fregandosene di tutto e di tutti (utenti, colleghi, lavoro
sociale), vanno in B.O. perché non sanno più che cazzo fare delle
loro giornate. Ciondolano avanti e indietro e non riescono a
trovare qualsiasi cosa che possa occupare il loro tempo
lavorativo.
Da quello che ci risulta l'eziologia di questi casi è
dovuta ad una risposta eccessiva ad uno stress.
Probabilmente si parte o da una sorta di stacco
mentale dal lavoro o da un momento di demotivazione, i quali
però non vengono risolti ma si cristallizzano, fino ad arrivare ad
un menefreghismo puro.
In alcuni casi si è rilevato come questi atteggiamenti
siano anche relativi ad una carenza di "vita personale" (vedi
effetti), e da un precedente eccessivo attaccamento al lavoro.
Per costoro abbiamo solo un consiglio: trovare anche solo
una piccola cosa che, sul luogo di lavoro, possa attirare la loro
attenzione.
Sappiamo che gli educatori non sono il massimo della beltà
(se no farebbero i modelli), ma non c'è proprio nel servizio
un/una collega che stimola qualche pensiero lubrico? Bene
appelliamoci a questo e anche se rimarrà sempre una fantasia,
magari fa leggermente aumentare la voglia di andare a lavorare.
Poi magari per starle/gli vicino si inizia a collaborare a qualche
attività e una volta cominciato, con calma, si può rientrare nel
gruppo ed essere operativi. In pratica una sorta di convalescenza.
Ovvio che i colleghi devono essere comprensivi e
disponibili (e quando mai?),e non devono cazziare troppo il
malcapitato.
L'importante utilizzando questo metodo è di evitare le
ricadute. Quindi se poi il/la collega non ci sta, ricordatevi che
era solo un gioco mentale.
RISPETTO AI COLLEGHI
Due
considerazioni preliminari, tanto per rompere il ghiaccio su una
questione estremamente delicata.
Come disse un saggio: "Gli amici te li scegli. I parenti e
i colleghi no!" E come disse un altro saggio: "Come il tempo e col
tempo anche noi si cambia. Oggi è sereno ma domani potrebbe
piovere."
A parte i fortunati educatori che riescono a creare un
gruppo di lavoro su un obiettivo comune con modalità di lavoro
comuni e condivise, la maggior parte di noi si trova a dover
lavorare in gruppi coatti.
Abbiamo visto come ci siano vari tipologie di colleghi, che
abbiamo ricondotto a delle figure precise. Proviamo ora a vedere
come ci si può difendere da loro.
E' inutile dire che anche voi in qualche maniera rientrate
in una di queste categorie, per cui anche i vostri colleghi
dovranno difendersi da voi.
Non preoccupatevi se pensate di giocare una sorta di
battaglia navale nella quale tocca una volta a testa definire le
posizioni dell'altro, non siete poi così fuori strada. Al massimo
siete in alto mare!
Ricordandoci queste metafora andiamo a vedere le
singole voci.
I perfetti
Con
costoro c'è ben poco da fare. Se li controbattete, se vi mettete a
discutere, fate il loro gioco. L'unica alternativa che vi rimane è
ignorarli. Non sarà facile perché bisogna ingoiare un pacco di
merda e ridurre l'orgoglio a una flebile fiammella che aspetta la
loro dipartita per riaccendersi. Ma è così. L'unico sistema per
far si che se ne vadano è togliere loro il terreno da sotto i
piedi.
Loro sono perfetti e voi siete delle cacche, loro fanno
tutto giusto e voi non riuscite a fare niente che vada.
Ebbene lasciateli fare. Sminuitevi ancora di più e date
loro importanza. Visto che comunque sono talmente presi da loro
stessi che non sono in grado di vedere nulla attorno a loro prima
o poi la situazione dovrà esplodere; a quel punto se ne andranno.
Facciamo un esempio, il perfetto e voi:
- Guarda che il pannolone non si cambia così. Devi
considerare l'emotività del ragazzo e inoltre sarebbe meglio che
ti togliessi i guanti. Stai dimenticandoti dell'importanza del
rapporto corporeo.-
- Mi sa che hai ragione. Ma sai com'è, ogni tanto mi
dimentico. Fammi vedere come si fa.-
In questo modo lo costringete a operare e non solo a
comandare e intanto le mani nella merda (senza guanti), le mette
lui. E la cosa non gli farà sicuramente piacere. Se poi
ostinatamente cerca di dirvi:
- Va bene prova a fare come ti dico.-
Voi potete sempre rifugiarvi in un:
- Avrei comunque paura di sbagliare ulteriormente. E'
meglio se lo fai tu. Come dici sempre bisogna pensare all'utente.
Non vorrei creargli dei traumi. Ti guarderò mentre lo fai così
imparo.-
Oppure:
- Mi sento molto umiliato da questo tuo rimprovero e non me
la sento di andare avanti. Ho ancora molte cose da imparare da te
ma se non vedo come effettivamente le fai non riuscirò mai a
raggiungere o anche solo ad imitare la tua professionalità.-
Ovviamente questo è solo un esempio riferito ad un caso specifico
ma pensiamo che lo spirito sia lo stesso anche in altre
situazioni.
Se avvertite che quando andate a delle riunioni di
qualsiasi genere, poi il Perfetto critica ciò che riportate o ciò
che avete detto, bene, fate in modo che ci vada lui. Intanto ve lo
togliete dalle palle per qualche ora, che non è poco, in più lo
costringerete ad esporsi.
Probabilmente dirà che è colpa vostra se le cose non
funzionano, non importa. Ci vuole un po’ di pazienza.
Dopo un po’ di tempo di questa terapia si troverà a dover
fare tutto lui, e dato che è una persona che normalmente non vuole
fare nulla se non quello che gli pare e che preferisce comandare,
si sentirà spiazzato e se avete fortuna cercherà un altro posto
dove andare a lavorare.
Nell'eventuale ipotesi però che il trasferimento non sia
così immediato non preoccupatevi, cercate di capire cos'è che voi
preferite fare e cercate di dedicarvici utilizzando i suoi
molteplici impegni. Non confrontatevi con lui sul vostro lavoro.
Cercate di scavalcarlo. Avete delle idee, dei progetti e vi
interessa portarli
avanti?
Fatelo, parlatene direttamente coi superiori e cercate il loro
avvallo, se poi vi viene chiesto cosa ne pensa il gruppo, che
tradotto vuol dire il Perfetto potete sempre rispondere che è
talmente impegnato che non ve la sentite di caricarlo
ulteriormente di lavoro.
Insomma con questi figuri l'atteggiamento migliore da tenere è
l'indifferenza e l'esclusione. Dategli la possibilità e cercate di
far sì che siano il più possibile al di fuori delle dinamiche del
gruppo. A forza di non essere cagati da nessuno si stuferanno e o
arriveranno a più miti consigli oppure se ne andranno.
Bisognerà poi ricostruire un bel po’ di lavoro ma sicuramente ne
sarà valsa la pena.
I missionari
Non
fatevi fregare.
Con queste persone c'è un'unica soluzione. Non farsi
fregare, appunto.
Essendo in genere persone gentili che non ordinano ma
chiedono per favore, è facile cedere e rendersi disponibili.
Questo è un errore che non bisogna mai fare.
A costoro se gli dai un dito ti prendono, sempre
gentilmente, la mano, il braccio e anche tutto il resto.
Quindi mai cedere.
Una rigorosa divisione dei compiti è un ottimo strumento di
salvaguardia. Se una cosa non vi compete è inutile che venga a
piangere o a supplicarvi di dargli una mano. Non vi compete e
basta. Che si arrangi.
Ovvio che non vogliamo invitarvi a lasciar bruciare la
struttura perché non siete un vigile del fuoco. Ma quando vi viene
lacrimosamente richiesto di fare di più di quello che normalmente
siete tenuti a fare negatevi sempre. Poi magari lo fate lo stesso,
ma in un secondo tempo, per scelta vostra. NON perché vi è stato
richiesto dal Missionario.
Un'altra difesa da questi elementi è la segreteria
telefonica. Se avvertite col quinto senso e mezzo dell'educatore
che, data la situazione, il Missionario potrebbe telefonarvi a
casa per discuterne, lasciate la segreteria accesa. Se vi chiama
qualcun altro potrete sempre rispondere ma se è lui non
rispondete. Attenzione non rispondete mai, anche una sola volta
potrebbe costarvi la vita.
In alternativa fate rispondere a vostra moglie/marito con
l'istruzione di dire che non ci siete.
Qualche altro consiglio rispetto ai Missionari. In primo luogo
mantenete le distanze. Costoro sono dei fagocitatori e dato che il
lavoro è la loro vita tenderanno a coinvolgervi anche nel privato
quindi non accettate mai di vedervi al di fuori dell'orario di
servizio. Nessun invito a cena, nessuna birra, nessun film, nessun
convegno. Rispetto a loro voi, quando avete finito di lavorare,
dovete essere delle altre persone. Sconosciute.
Non fatevi scappare che siete capaci di fare delle cose che
non usate normalmente in campo lavorativo Loro ne
approfitterebbero subito. Se per esempio avete l'hobby della pesca
vi chiederanno di portare con voi qualche ragazzino, ovviamente di
Domenica quando voi vorreste stare tranquillamente a
pucciare il verme in compagnia della fidanzata. Se vi piace fare
teatro vi chiederanno di fare degli spettacoli o di coinvolgere
nel vostro qualche utente, qualsiasi esso sia. Insomma con i
Missionari bisogna essere delle tombe. Non far trapelare nulla.
Bisogna anche essere accorti sotto un altro aspetto. I Missionari
in genere, anche se in buona fede, sono subdoli, cercheranno
comunque di entrare nella vostra vita privata quindi sarà
necessario fare attenzione anche ai famigliari. Della serie non
stupitevi se non trovandovi in casa al telefono cercheranno di
parlare e coinvolgere il vostro coniuge o addirittura i vostri
figli, fa parte della loro natura. Vi conviene quindi educare i
vostri famigliari a glissare, con eleganza se preferite ma
comunque insegnate loro a evitare i forse.
Un'ultima cosa: non accettate mai favori. Di nessun tipo.
- Domenica andiamo in montagna con il gruppo di
volontariato. Perché non fai venire anche tuo figlio? Starebbe in
mezzo alla gente, ci sono io che garantisco che tutto vada bene.
Sarà divertente. In più potreste avere tutta la Domenica per voi
da soli. Che te ne pare?-
Attenzione è una trappola. Sicuramente vostro figlio sarà accudito
con tutti i crismi, non è per quello che dovete preoccuparvi. Ma
dato che non si fa nulla per nulla la settimana dopo ecco che
arriva la segata:
- Paolino è stato bene con noi Domenica scorsa; ha anche
fatto amicizia con Giuseppe. Tu lo sai Giuseppe è molto solo, i
suoi non lo seguono abbastanza, perché non te lo porti in montagna
con te e Paolino? Sarebbe per entrambi una bella esperienza.-
A
parte il fatto che la Domenica precedente, in assenza di Paolino,
l'avete passata a litigare con vostra moglie/marito. Tralasciando
che non avete nessuna intenzione di andare in montagna, ma passare
la Domenica con gli amici/che a mangiare e bere senza il coniuge e
che dura sarà la lotta per decidere chi si beccherà il pupo, il
ricatto morale che vi viene posto è evidente.
Quindi ribadiamo il concetto: Non lasciatevi fregare.
Gli imboscati
Con
questi elementi il discorso si fa un po’ più pesante. Al contrario
dei precedenti che se non altro hanno delle idee o delle ipotesi,
o comunque qualcosa fanno, questi tendono a non fare nulla, a
lasciare che le cose seguano il loro corso. E' oggettivamente
complicato trovare delle modalità comportamentali che riescano a
eliminare il loro intervento in quanto sono estremamente
soggettivi e quindi ognuno di loro a modi e comportamenti diversi.
Abbiamo più o meno definito le caratteristiche peculiari
del gruppo in sé ma per difendersi da loro bisognerebbe analizzare
caso per caso. Ovviamente non siamo in grado di farlo, ci
limitiamo pertanto a dare alcuni consigli derivati dall'esperienza
dei tanti colleghi coi quali abbiamo parlato.
In primo luogo sembra che siano comunque "fedeli alla
linea" nonché "rispettosi del potere". Il che vuol dire che è
assolutamente inutile cercare in loro delle motivazioni (che non
siano il 27), o provare a stimolare della creatività. Ne sono
completamente privi.
Dalle interviste effettuate sembra che l'unica soluzione
sia quella di "usarli". Ovvero usare le loro capacità residue in
maniera funzionale ai progetti che si hanno in testa.
- Per Natale ci hanno invitati a fare la festa in
Circoscrizione con tutti gli altri CST con uno scambio di regali.-
- Qui la festa si è sempre fatta solo fra di noi. Sai che
casino con Paolino che quando è in mezzo alla gente si incazza e
picchia. Con Maria che si caga. Con Giuseppe che sputa in faccia a
tutti. E poi chi ci guadagna sono solo i politici che si fanno
pubblicità.-
- Bhè forse hai ragione, non si può andare con tutti. Ci
sono anche i problemi di trasporto. Possiamo fare così, noi
andiamo con quelli che possono starci bene, tu rimani al centro
con quelli che non gliene frega niente.-
In
questi casi il trucco, se così si può chiamare, consiste
generalmente nel dipingere, nel presentare la cosa che si vorrebbe
fargli fare come la meno faticosa:
- So che a te non piace uscire. Ci sarebbe da riordinare il
magazzino. Dato che non ci siamo te ne occupi tu?-
- Io non ho mai detto che non voglio uscire, vengo con
voi.-
Ovvio che l'obiettivo era quello di avere la persona in
uscita, per il magazzino c'è tempo.
E' comunque rilevante come queste persone pur cercando di
defilarsi siano sempre alla ricerca di un palcoscenico. Le abbiamo
distinte in struzzi e serpi per le loro generali diverse
caratteristiche. Vediamo quindi come si può fare a combatterle
nello specifico.
Gli
struzzi in quanto tali vanno usati. Bisogna cavar fuori da loro
ogni stilla di capacità a nostro uso e consumo. O esplodono e
quindi si modificano o si rassegnano e comunque qualcosa fanno. In
caso di struzzaggine grave si può sempre fare riferimento ai capi.
Essendo queste persone sensibili al potere se il capo impone loro
eseguono. C'è il rovescio della medaglia. Tenderanno a boicottare
ma se voi siete astuti (il che non è possibile se no non fareste
gli educatori), farete in modo che i compiti assegnati loro siano
indiscutibilmente responsabilità soggettiva, per cui al capo
dovranno in una maniera o nell'altra, dare delle risposte. Se poi
per reazione si metteranno in malattia per qualche mese state
tranquilli.
1. lo avrebbero fatto lo stesso;
2. senza di loro in fondo lavorate meglio;
Per
quanto concerne le serpi invece il discorso è più complesso. Loro
non si mettono in mutua. Anzi sono fra i più presenti. E in quanto
molto abili a cogliere le contraddizioni, le idiosincrasie, gli
scazzi dei vari colleghi ci giocano su. Il loro motto non è:
"lasciatemi in pace". Il loro motto è:"voglio rompere i coglioni".
Neutralizzarli è quindi complicato. Con loro è necessario
misurare le parole, non uscire fuori dalle righe, mantenere la
calma. Eventualmente si può cercare di attribuire le decisioni
prese ad altre figure (i capi), rispetto ai quali, per deferenza e
convenienza, preferiscono non controbattere.
Un'altra strategia è quella dell'isolamento. Ovvero
prendere le decisioni più cruciali in loro assenza e dargliele
come dati di fatto. Ovviamente si incazzeranno un po’ e
cercheranno di boicottare le cose cercando delle alleanze con
alcuni operatori, in genere i più deboli, ma alla fine non
potranno dichiararsi completamente contro perché questo
presupporrebbe prendere delle posizioni definite. Cosa che a loro
non piace assolutamente.
Abbiamo detto anche che costoro tendono ad avere dei
rapporti privilegiati con i capi. Il modo migliore per eliminare
questo problema è la depistazione, ovvero fare in modo di
screditarli agli occhi dei capi stessi.
Ci rendiamo conto che questa pratica non è il massimo
dell'etica ma è anche vero che a volte il fine giustifica i mezzi.
Se voi avete un progetto in mente e cercate di portarlo
avanti nel rispetto delle regole e la Serpe, parlando a tu per tu
col Capo ve lo smonta, non perché sia sbagliato ma solo
perché potrebbe modificare il suo ambiente quotidiano, avete il
diritto di incazzarvi e di correre ai ripari. Soprattutto se a
quel progetto ci credete.
Ci sembra quindi legittimo se alla Serpe date informazioni
false sul progetto in questione di modo che essa possa andare dai
capi per segarvi. E' ovvio che poi ai capi porterete il vero
progetto (magari scritto in precedenza), e alle sue rimostranze
basate sulle notizie avute dalla Serpe potrete tranquillamente
ribattere che voi non avete mai detto nulla del genere. D'altronde
c'è anche uno scritto che lo dimostra.
Normalmente le serpi non leggono mai, preferiscono il pettegolezzo
sotterraneo.
I bornautizzati
Con
questi c'è poco da fare. Possiamo però, sempre in difesa dei
colleghi, dividerli in due categorie: quelli che se ne rendono
conto e quindi cercano di superarlo e quelli che non se ne
accorgono.
Rispetto ai primi è ovvio che un minimo di solidarietà sia
dovuta, se non altro per il fatto di aver condiviso per tanto
tempo le stesse situazioni. Se poi sono andati in B.O. magari è
anche per fattori esterni e come si sa il tutto è maggiore della
somma delle parti. Insomma non sono irrecuperabili. Magari con un
po’ di aiuto si può cercare di ricondurli ad una condizione
normale.
Attenzione però a non ricadere nell'Assistenzialismo o
nell'onnipotenza educativa. Potrebbero essere strade che portano
all'inferno lavorativo.
Tutto il rispetto quindi per chi scoppia ma non è e non
deve diventare un utente.
L'unica maniera per uscirne fuori quindi è quella di far si
che trovino un'altra collocazione se si pensa che il loro B.O. sia
irreversibile. Sostenerli invece se si pensa che il B.O. sia una
sommatoria di fattori non esclusivamente lavorativi.
Se la fidanzata/o l'ha lasciato/a è chiaro che qualche
scompenso si possa avere e che dal punto di vista professionale ci
si possa sentire bornoutizzati. Idem se ti è morto qualche parente
caro, o per qualsiasi cosa mini quelle poche certezze che abbiamo.
Questo atteggiamento può essere funzionale solo però se il
soggetto in questione si rende conto di essere fuori fase, di
essere in B.O. In questo vale l'invito a cena, la birra in
compagnia, la coccola affettuosa e magari un chiudere un occhio su
alcune deficienze lavorative.
In fondo prima o poi potrebbe succedere anche a noi.
Diverso invece è l'atteggiamento da tenersi nei
confronti di chi pur essendo in B.O. conclamato non se ne rende
conto ma anzi, presume di essere in perfetta efficienza.
Con
costoro ci sono solo due alternative:
1. li si elimina;
2. li si rende consci del proprio stato;
Certamente non li si può eliminare fisicamente (c'è la galera),
d'altro canto non li si può neanche zittire o rendere
completamente ininfluenti. Sono queste ultime però gli obiettivi
che in una maniera o nell'altra bisogna cercare di raggiungere.
Zittirli e/o renderli ininfluenti. In questo caso parliamo
di zittirli in una ottica comunicativa, ovvero bisogna fare
in modo che non si esprimano troppo. Le castronerie che potrebbero
uscire dalle loro bocche potrebbero compromettere il lavoro di
anni.
Bisognerebbe quindi evitare che abbiano rapporti con
l'esterno, in modo di evitare che si esprimano.
Sarebbe opportuno inoltre evitare che si esprimano troppo
durante le riunioni di gruppo, sarebbero facile preda di Serpi,
Missionari, Perfetti, che li userebbero per i loro giochi neanche
tanto velati.
Diremmo quindi che rispetto ai burnoutizzati l'unica
soluzione sia di circondarli con un muro di protezione che
impedisca loro di farsi del male ma soprattutto di farlo ad altri.
L'obiettivo ultimo sarebbe quello di far si che si rendano conto
del loro stato e quindi, una volta presone coscienza cerchino di
liberarsene o di cambiare lavoro se questa risulta essere l'unica
alternativa.
Un
ultimo consiglio: è facile confondere un burnoutizzato con un
imboscato, quindi bisogna fare attenzione alla diagnosi in quanto
la prognosi potrebbe dimostrarsi infausta.
RISPETTO AI CAPI, CAPETTI, BOSS, BUROCRATI VARI
E'
molto difficile capire come difendersi dal B.O. rispetto ai capi.
Mentre nei confronti dei colleghi qualche possibilità di limitarli
esiste se non altro per il fatto di averli quotidianamente al
fianco, per i capi no. Al fianco ci sono certo, ma in quanto
spina.
Uno dei dati sostanziali è che il capo è sempre una figura
cui volenti o nolenti bisogna fare riferimento, in fin dei conti
la responsabilità del servizio è sua, anche se cercherà di
cedervela quando gli fa comodo o quando bisogna finire nella
merda.
Un altro dato fondamentale, derivato da quelli sopra
esposti è che nella norma il rapporto coi capi è sempre
conflittuale.
Non ci risulta che Esista un capo che si schieri a piè pari
con l'educatore, al massimo succede il contrario ma dei lecchini
abbiamo già ampiamente parlato.
Male che vada il capo potrà fungere da mediatore (e già
questa sarebbe una fortuna).
Normalmente sembra inseguano qualche meta segreta e
incognita, che non vogliono rivelare, anche se qualche maligno
insinua che non avendo molte idee i capi se le inventino li per li
e ne restino poi invischiati.
A noi però interessa capire come evitare che i vari capi ci
facciano andare in B.O..
Abbiamo precedentemente suddiviso i capi in varie
categorie; saranno le stesse che qui utilizzeremo per cercare di
capire come difendersi da loro.
I carrieristi di professione
Rispetto a questi non ci sono molte alternative. Fategli fare
carriera!
Proponete loro ogni concorso, ogni progetto, qualsiasi cosa
vi venga in mente che possa stimolarli ad andarsene dal vostro
luogo di lavoro.
Non solo si sentiranno gratificati data la loro naturale
presunzione ma potreste addirittura essere innalzati all'altare
delle "persone significative", ovvero potrebbero anche parlare
bene di voi.
Non ci è dato di sapere se questo sia in fondo utile alla
vostra carriera, visto da che pulpito viene la predica, ma
lasciamo alla vostra arguzia l'analisi della cosa e vi lasciamo
trarre la vostre sacrosante conclusioni. Cazzi vostri se i
colleghi, quelli normali, vi toglieranno il saluto oppure se vi
faranno un monumento. Molto dipenderà da come riuscirete a
giocarvi la cosa.
Gli ex Educatori
Come
abbiamo visto nel capitolo delle Cause, ci sono i fuggitivi e i
rivoluzionari.
Rispetto ai primi una delle difese migliori a nostro avviso
è fargli comprendere che in fondo non è cambiato niente. Sono
scappati da un posto perché non sopportavano più i colleghi nella
speranza di non dover a che fare con altri educatori? Bene,
assillateli, invitateli a tutte le riunioni, a tutte le feste.
Andate a trovarli in ufficio e portatevi dietro l'utenza.
Mandategli le famiglie. Insomma rendetegli la vita impossibile. Se
vi va bene cercheranno di cambiare genere di lavoro, oppure si
arrenderanno e vi lasceranno in pace. Il che sarebbe già un buon
risultato.
Con
i rivoluzionari ovvero con quelli che pensano che un po’ più di
potere gli permetta di cambiare il mondo, uno dei sistemi usati è
quello di frustrare le loro aspettative, di deluderli. Arrivano lì
belli belli in giacca e cravatta (o tailleur), con progetti
megagalattici? Non discutete, accettateli, anzi magnificateli. Poi
non fate più nulla! Lasciate che il tempo segua il suo corso.
Quando poi vi chiederanno i risultati o lo stato di avanzamento
del lavoro, accampate scuse dovute a emergenze varie, pastoie
burocratiche:
- A che punto siete con il progetto di attivazione di un
laboratorio di pedicure per la prevenzione delle unghie incarnite?
- Ci stiamo lavorando sopra, ma sai com'è. Ci sono i soggiorni da
organizzare e le scadenze sono immantinenti.-
-Dovreste darvi da fare, è un progetto al quale tengo
molto.
"E scrivitelo allora!"
- Stiamo facendo il possibile, ma il Dirigente (inchinatevi
mentre lo pronunciate), vuole il prospetto ferie per ieri e
dobbiamo ancora farlo, anzi in quanto responsabile vuole che lo
firmi tu, quindi se puoi fermarti per qualche minuto vediamo di
controllare che tutto vada bene.-
In questo modo l'avete fregato. Non solo non gli avete
fatto il progetto, ma l'avete anche obbligato a fare il suo
lavoro, ovvero gestire i gruppi operativi. E' già un successo e
anche se poi non vi sarà di nessun aiuto almeno avrete la
consolazione di farvi qualche grassa risata ricordando la sua
faccia quando si è accorto di doversi fermare in un gruppo di
educatori che discutono.
Come si sa una risata è un ottimo antidoto allo stress.
C'è poi un ultimo sottogruppo dei capi ex educatori, quelli
che per puro sadismo o per pura deficienza, rimangono nello stesso
posto nel quale hanno fatto gli educatori.
Rispetto a costoro la vendetta è vostra! Fateli morire
lentamente anche per noi.
Dato che questi tetri figuri già da educatori erano dei
rompiballe in quanto perfetti o missionari, se adesso gliela fate
pagare ne avete il sacrosanto diritto.
Quindi non fatevi venire scrupoli morali; ricordatevi
quante volte avete vomitato bile perché erano dei colleghi coi
quali era impossibile lavorare, quanto stress vi hanno fatto
ingoiare. Ricordate le litigate con il vostro coniuge (che magari
se ne è andato), la depressione, la solitudine. Ora è il vostro
momento.
Se erano degli educatori perfetti, quelli che continuavano
a farvi pesare la vostra incapacità, segateli sminuendovi ancora
di più in modo che siano loro a dover fare tutto. Se invece erano
missionari fate pesare loro come la loro assenza "front line" sia
una cosa gravissima, che nulla più funziona. Fate in modo che si
sentano in colpa e quindi facciano il doppio lavoro, il loro di
capetti e il vostro di educatori.
Pensiamo comunque che in questi casi la fantasia degli
educatori possa sbizzarrirsi adeguatamente per cui se a qualcuno
di voi viene in mente qualche sana cattiveria da propinare a
costoro, ce lo faccia sapere, cercheremo di farne un elenco da
distribuire a tutti coloro che si trovano alle prese con un ex
collega che fa il capo. E forse giustizia sarà fatta.
Gli Emigranti
Con
questi non è che ci sia molto da fare. In fondo fanno anche un po’
pena. Pensavano di trovare la manna e invece hanno trovato la
merda. Cosa volete farci. Bisogna vedere che tipi sono. Se sono
dei rompiballe che non riescono ad adeguarsi qualsiasi tipo di
difesa è legittimo, se invece cercano di ambientarsi e si
dimostrano volenterosi dategli pure un appoggio e spiegategli come
vanno le cose. Tanto non vi crederanno e crederanno ai boss ma
almeno, tentare non nuoce.
In sostanza è meglio verificare caso per caso.
Se tendono a imboscarsi nei loro uffici delegando a voi
tutto il lavoro, bene sommergeteli di relazioni, richieste,
lettere. Mandategli gli utenti, le famiglie, chiunque possa
scalfire la loro tranquillità.
Se sono dei burocrati, magari perché arrivano da un
apparato amministrativo di stampo rigido, ricordatevi che la
burocrazia è un'arma a doppio taglio. Spesso ci impedisce di fare
molte cose, ma a volte ci difende da inopportune ingerenze o
pretese. Quindi usatela. Appellatevi a ogni cavillo, ad ogni
circolare. Più rompono i coglioni più voi potete opporre qualche
regolamento che se non li blocca almeno li limita. Vogliono le
relazioni scritte bene e battute a macchina? Voi non siete dei
dattilografi, consegnatele scritte a mano. Vogliono turni, orari e
quant'altro in perfetto ordine, voi non siete degli
amministrativi, è compito loro organizzare il lavoro dei gruppi.
Vi chiedono elasticità ma non ne danno? Siate rigidi anche voi.
Appellatevi al mansionario.
Certo con questi atteggiamenti si corrono dei rischi. Il
primo è quello di non riuscire più ad essere operativi, a
discapito dell'utenza e della professionalità, ma qui stiamo
parlando di casi estremi nei quali l'operatività sarebbe comunque
compromessa, quindi come si suol dire "a mali estremi, estremi
rimedi".
Capita a volte che arrivi gente di buona volontà, di grandi
speranze ma di poco senso del reale, sono quelli che abbandonano
posti comodi e poco impegnativi perché "vogliono fare qualcosa".
Hanno un po’ l'atteggiamento del missionario ma non hanno le
chiavi di lettura dell'ambiente socio-educativo. Restano dei pesci
fuor d'acqua e ci vuole tempo prima che si rendano conto della
realtà. In genere prima che questo succeda passano degli anni ed
in genere vanno loro in B.O.
Con questi l'unico sistema è manipolarli, far si che le
vostre verità diventino anche le loro, in tal modo saranno loro a
portarle avanti rispetto ai superiori e le difenderanno come
proprie. Sembrerà un po’ cinico, ne conveniamo, ma riteniamo che
sia meglio che un capetto appoggi le progettualità che vengono dal
basso piuttosto che sia succube di un boss le cui competenze sono
ancora tutte da verificare. In questi casi quindi bisogna saper
giostrare, ed in questo gli educatori dovrebbero ormai aver
acquisito sufficienti abilità
I missionari
Avere un capetto missionario è una bella rogna.
Non solo perché onnisaccente, onnipresente, onnivedente.
I missionari anelano al dono dell'ubiquità in modo da poter
essere sempre e dovunque per portare il loro verbo e le loro idee.
Non sono in grado di dare spazio alle progettazioni altrui.
Per loro gli educatori sono strumenti del divino disegno, del
quale ovviamente sono gli unici depositari.
Combattere costoro non è semplice anche perché sono i primi
a non risparmiarsi. In genere è inutile cercare di fare dei
tentativi di sciopero bianco, tanto faranno loro quello che voi
non riuscite (o non volete), fare. L'importante è che si proceda.
Hanno un'incredibile capacità di attivare risorse umane che voi
neanche vi immaginate: volontari, parenti, amici, cognati, suocere
e cugini. In genere poi non si limitano al solo lavoro ma hanno
anche altri molteplici impegni di volontariato (gruppi,
associazioni), e purtroppo per gli educatori non sono molto bravi
a scindere le due cose. Siete bravi a dipingere? Vi chiederanno di
andare a dar loro una mano nel loro gruppo, così magari nel
frattempo potete parlare del vostro progetto…malcelato ricatto?
Come difendersi? Negate sempre! Non sapete fare nulla. Al
di fuori dell’orario di lavoro siete oberati da figli delinquenti,
parenti moribondi, coniugi isterici. Non fatevi fregare. Se cedete
anche una sola volta siete finiti e ricordatevi che sono
vendicativi, quindi non dite mai “non ho voglia” ma sempre “non
posso”.
Ma soprattutto fate in modo che non sappiano nulla della
vostra vita privata. Lo sappiamo è difficile non raccontare mai
nulla, anche fra colleghi. Ma anche i muri hanno le orecchie, ed
anche i telefoni. Se malauguratamente vi scappa di dire che siete
stati in montagna a fare un corso di roccia potete stare
tranquilli che il capo lo verrà a sapere, lo memorizzerà ed al
momento opportuno vi chiederà di mettere la vostra esperienza al
loro servizio, pardon al servizio delle persone di cui, sul lavoro
o fuori, loro si occupano.
Quindi silenzio assoluto su tutti i fronti.
Questo lavoro ovviamente non è esaustivo. La nostra
speranza è che qualche altro educatore un po’ rincoglionito come
noi prosegua nell’opera sia di analisi sia di ricerca delle
difese.
Perché come abbiamo ampiamente dimostrato il B.O. è sempre
lì che non aspetta altro che noi molliamo un attimo per s-fotterci
allegramente, lui. Noi un po’ meno.
Abbiamo comunque dimostrato come il B. O. possa anche
essere evitato con qualche semplice accorgimento.
Non ci resta molto altro da dire per non essere ripetitivi.
Molto di ciò che pensavamo lo abbiamo scritto, altri pensieri, ben
più torbidi, lugubri, truci ma anche divertenti ce li teniamo per
noi. In primo luogo perché ci teniamo alla nostra libertà
personale e la galera non è prevista nel nostro futuro, perlomeno
quello immediato. E poi perché alcune cose è meglio non dirle.
Quindi buon born out a tutti.
Ulceratico
Note:
[0] Inserire a vostra scelta al posto delle X un nome
scelto fra quelli qui esposti: Freud, Lacan, Montessori, Piaget,
Spook, Marx, Pestalozzi, Klein, Garena, Hitler, Ghandi,
Bernardini, Basaglia, Il parroco, la lattaia.
[1] Per le eventuali lettrici tale esempio vale anche per
loro. Sarà sufficiente modificare qualche piccolo particolare
grammaticale ed anatomico. Gli autori ritengono che tali reazioni
possano essere espresse da ambedue i sessi.
[2] Vale quanto detto alla nota 1.
[3] Anche questo esempio può essere modificato di genere.
Anche le educatrici sono attaccate dai ragazzini.
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